OSTAGGIO DEL PASSATO
Mi gira in testa il titolo di un
breve brano musicale di Mimmo, Son
tornati i capelloni. Mi risuona la musica, che porta in sé il rimpianto per
qualcosa di lasciato e perduto: parte cautamente, poi esplode e racconta in
questa esplosione che forse non sempre quel
che lasci lo perdi per sempre, perché può tornare, magari sotto altre
forme, oppure anche se non dovesse tornare, potrebbe scatenare una forma di
nostalgia struggente e dolce al contempo. Lo ascolto in sottofondo mentre
scrivo: finisce e ricomincia, questo vecchio pezzo tratto da Sognadoro, e io per un po’ non lo
interrompo.
Mi estraneo, e lascio vagare
liberi i pensieri. Non so bene per quanto tempo Son tornati i capelloni mi abbia fatto compagnia, ma ora è il
momento del commiato, per lasciare spazio alla riflessione. Senza un apparente
motivo, davvero da qualche giorno ho in mente questo pezzo solo musicale, uno
dei pochi che Mimmo abbia inserito nei suoi lavori, e gli dedico più di un
pensiero. Veramente da sempre, fin da quel lontano 1983, mi sono domandata il
perché, di quel titolo, e a tutt’oggi non ho soddisfatto questa piccola
curiosità. Non è detto che debba esserci per forza un motivo, a volte i titoli
vengono così, altre, invece traggono spunto da qualcosa di preciso. Qualcuno
sostiene che voler svelare troppo, voler dare una risposta a tutto, non
aggiunga niente al piacere dell’ascolto, così come niente, al piacere della
lettura, sapere se le storie raccontate nei romanzi siano autobiografiche. Non
c’è bisogno di cedere alla tentazione un po’ greve di guardare dal buco della
serratura.
Concordo spesso con quei qualcuno: è vero, non aggiunge niente,
ma proprio non riesco a contenermi, e a evitare di cadere nel morboso, vittima
di un tarlo malefico che da tempo immemorabile non mi dà pace: dove erano
stati, i capelloni? Con chi, a far che? Tornati dopo quanto tempo? Si
nascondevano? Erano ostaggio di un gruppo di calvi invidiosi e incarogniti? Temevano
un passaggio obbligato al salone del barbiere? Ho chiesto in giro, ma nessuno
ne sa niente. “Saranno stati affari loro” - mi son sentita rispondere - “Smettila di impiacciarti”.
Non so se sia stato il titolo,
con quel tornati, a suggerirmi l’idea
della nostalgia, (proprio nel significato etimologico di dolore, sofferenza
legato a un ritorno sofferto o difficoltoso: vedi l’esempio classico di Ulisse; vedi anche un altro esempio più vicino al
nostro tema: il protagonista di Canzone a mio nonno) prima dolorosa e poi in fondo dolce, sta di
fatto che l’ascolto della musica mi suscita proprio le sensazioni che ho
descritto in apertura.
Ancora una volta, nell’occuparmi
di Mimmo, cedo alla tentazione di frugare
dentro il passato, usando (e questo mi accomuna a tanti) le sue canzoni come
madeleinette per ritrovare intatti
ricordi, situazioni, profumi del passato. Sono le sue canzoni le chiavi che aprono
meglio le porte d’accesso alle stanze del tempo perduto. Non ne so spiegare
razionalmente il motivo, so che è così. Non so neppure bene perché sento
irresistibile il richiamo di andare a ritroso negli anni, dato che ero molto
più irrequieta e irrisolta di adesso, e non sono neppure incline a idealizzare la giovinezza, sia che si
tratti della mia, sia che la si consideri come tempo mitico in assoluto. Mistero. Chissà se tra
vent’anni mi capiterà la stessa cosa con la produzione dell’ultimo decennio,
quella che ho divorato con l’ingordigia dell’affamato, per recuperare il
tempo perduto, e che fin dai primi ascolti ho sentito familiare, perché pur cogliendo
i mutamenti propri della sua evoluzione artistica, mi son sentita gioiosamente a
casa: Mimmo è sempre Mimmo, o meglio, la sua musica è sempre la sua musica.
VECCHIE FOTOGRAFIE
Prima della diffusione del CD non
avevo molta simpatia per il vinile, compravo cassette. Le osservo, le ho qui
davanti; l’ultima volta in cui le ho ascoltate è stato tre anni fa, forse due,
ma credo sia stato il canto del cigno. Mi soffermo sulle foto del cantante e
noto come sempre dei particolari frivoli, che con la musica non c’entrano
niente. Nella foto di Sognadoro e in quella di Mimmo Locasciulli, sembra vestito allo stesso
modo, solo che nella prima ha un aspetto, e una posa, da uomo molto vissuto, un
po’ sgualcito, mentre nell’altra sembra quasi un catechista.
Ho quasi sempre comprato
cassette, forse mi sembravano più pratiche - si potevano sentire anche in macchina - ma ora sarei contenta di avere i
dischi, con quelle belle copertine che riservano sorprese, foto sul retro e
all’interno. Le cassette hanno in genere un corredo cartaceo, di testi e immagini,
ridotto, ma non tutte sono così povere; tra quelle che possiedo io, Adesso glielo dico e Uomini, sono dotate di piccolo
pieghevole con testi e immagini, foto e disegnini. Nel primo c’è, ad esempio, la
foto che ricorda la giornata con i Cetra; in Uomini, tra l’altro, il muso allungato di un cane e il volto
del cantante in versione duro inavvicinabile, parente stretto di
quello di prima, ma senza sorriso.
Non avendo, o non avendo più (non
più di due, ormai andati perduti per sempre) i dischi, sono andata a cercarmeli
nel sito della Discoteca di stato, dove non solo sono puntigliosamente
schedati, ma anche fotografati: si possono visionare tutte le immagini di
copertina e anche le altre a corredo del disco. Ho fatto delle scoperte
bellissime. Sul retro della copertina di Sognadoro
c’è una foto di cui è autore lo stesso cantante: vediamo l’interno di un
autobus urbano, con due soli passeggeri, colti fuggevolmente. Una foto molto
moderna, che nel soffermarsi velocemente sui due, induce chi guarda a
domandarsi cosa ci sia dentro i loro pensieri.
Il retro di Intorno a trentanni ci mostra un signore che cammina, di cui non si
vede il volto, ma la mano sinistra in evidenza, e il passo ne rivelano con
certezza l’identità. Essere ritratto o
ripreso in bianco e nero, in pose dinamiche, con indosso un cappotto
scuro, in scenari urbani, gli piace ed è una costante che lo accompagna nel
tempo, ad esempio nel video di Scuro.
Infine ci sono altre due immagini
che mi hanno colpito: la prima si trova all’interno dell’album del 1985 che
porta il suo nome, e rappresenta il gruppo di musicisti-amici che suonava sempre
con lui, il gruppo storico di quegli anni, quello che si porta nel cuore e a
cui dedica commossi e grati pensieri.
L’altra, il retro di Clandestina, rappresenta un bel primo
piano del cantante, colto, sembra, in un momento di riflessione o di semplice
disagio davanti all’obiettivo, perché lo sguardo è rivolto verso il basso e obliquo.
Forse semplicemente esegue le indicazioni del fotografo, ma l’effetto è
naturale, e c’è tutta la sua vena crepuscolare, lì dentro, anche se magari
sotto sotto se la ride. Bella immagine – intensa
– come banalmente si usa dire in questi casi. L’ho salvata, e l’ho usata, come altre in
altri momenti, come sfondo del desktop, tanto al mio computer dedicato, non
accede altri che me. Qualcuno è a conoscenza di queste presenze ma per il
momento rinvia la segnalazione perché l’autorità preposta provveda al ricovero
coatto. Questione di tempi: prima o poi accadrà, e un ingombrante veicolo a
sirene spiegate si fermerà sotto il portone di casa mia. Sarà inutile opporre
resistenza.
Non mi permetteranno di portare
con me un computer, ne' di ascoltare musica. Mi faranno iniezioni di oblio, e
quando, tornata a casa accenderò il
computer, non essendo in grado di cogliere il legame tra volto e
musica, esclamerò: “Che ci fa questo
sconosciuto qui dentro? Chi lo ha fatto entrare?" Senza la musica la sua
presenza non avrà alcun senso: un paesaggio autunnale tinto di rosso e di croco
prenderà definitivamente il suo posto.
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