Con grande piacere copio integralmente il testo di Mimmo dedicato a Setak, pubblicato sul Cantautore. "Il Cantautore è il libretto di sala che ogni anno viene redatto e distribuito gratuitamente a tutti gli spettatori delle serate della Rassegna" come riportato sul sito della stessa.Il testo di Mimmo si distingue per la sua autenticità, per la totale distanza dalla banalità e dai soliti stereotipi, e non sembra veramente scritto in soli dieci minuti (se Mimmo afferma questo non ho motivo di dubitarne): evidentemente se ha impiegato così poco tempo, i concetti erano già ben definiti nella sua testa e nel suo cuore, e i dieci minuti sono serviti solo per la stesura di qualcosa che probabilmente non ha avuto nemmeno bisogno di correzioni.
Vedo Mimmo molto concentrato su quanto gli sta accadendo nel presente (e accadrà anche nell'immediato futuro), strettamente legato alla musica, ma, ancora una volta, lo invito a non accantonare questa sua attitudine per la scrittura e a cimentarsi quando sarà il momento, in una nuova prova, che sarà una voce fuori dal coro.
Ed ora gli cedo volentieri la parola:
SETAK (o
dell’Appartenenza) di Mimmo Locasciulli
A mezza
strada tra Pescara e il Gran Sasso ci sono delle colline che degradano a
grembiule verso il mare. C’è un’armonia disegnata con sapienza divina nella
geometria delle forme e delle trasparenze di quei luoghi. Lì non si misurano le
distanze, non ce ne sono, e puoi toccare con un soffio la prossimità del cielo,
la profondità del mare. Tutto è sospeso, sopra le curve del tempo, dentro un
respiro antico che scorre dentro i labirinti dell’anima. E tutto quanto si
fonde, in un insieme sublime, dentro altre anime. Che si appartengono. Perché
chi nasce lì appartiene a qualcosa, a qualcuno, a ogni altro. E si appartiene,
in una esclusiva e perfetta identità con il suo essere.
Setak è la
traduzione moderna di questa appartenenza, la declinazione al presente di un
passato prossimo e remoto, una maschera ridisegnata su un canovaccio volato di
mano in mano, inevitabilmente sbiadito. É il rintocco lento della campana che
ti accompagna alla preghiera, che poi acquista ritmo e ti sorprende a ballare.
Nicola SETAK
Pomponi appartiene prima di tutto a sé stesso. Pienamente, coerentemente e
pervicacemente. Con quel sorridente pudore che si stampa sulle facce delle
genti d’Abruzzo. Si appartiene nella confessione, nella commozione, nel non
detto prudente delle sue declamazioni, nella celebrazione delle vittorie e
nell’accoramento della resa. Nelle fughe, nei ritorni. Nei baci invisibili
lanciati nel vento.
“Non devi
avere paura, la vita può aspettare / e fermati un momento quando vedi che non
ti torna / Guarda queste paure / ma quanto possono durare / scegliti i pensieri
che ti possono portare più in alto / e se poi il vento sale / non ti chiedere
perché / sei sangue di questo sangue / guarda davanti a te / e gioca con il
mondo / sta qui per te / lascialo passare che poi il giusto torna…../ Questa
vita è un pensiero che cambia per inventare / ora non ti pare niente ma quanto
ti può dare…./ E poi sei nato freccia / non te lo dimenticare / Fatti portare
lontano / fatti guardare tornare ” (1)
Nicola si
appartiene e, di rimando, appartiene: prima di tutto alla sua terra, di cui è
espressione e testimone. E poi al sentimento custodito per sé stesso, al suono
sconfinante degli echi della memoria, al canto smerigliato da una lingua oscura
e affascinante che ti sussurra piano, come una carezza lieve.
Appartiene
al gioco misterioso della rivoluzione dei sensi, come succede nei sogni: il
reale si frantuma in pezzi e si ricompone scompostamente, disegna un quadro
astratto in un insieme estatico di tormenti, di speranze e meraviglia. Quel
mistero che ti porta altrove, e ti sventaglia un mondo di colori sconosciuti
che poi danno forma all’universo del possibile. Certamente Setak appartiene
allo strumento dell’amore, alla didattica del cuore. E allo stupore.
“….Quanto
sarebbe bello se non finisse/ se il giorno dopo non ci fosse/ Portami ancora
più lontano/
che non ho
neanche più paura/ Non vedo l’ora che mi dai la mano / portami là in mezzo, per
favore / non vedi quanta gente / io non l’ho vista mai / che domani sera è già
arrivato / Chissà chi ci può stare/ non riesco più a dormire /senti quant’è
bello ‘sto rumore”(2).
Nicola, poi,
appartiene alla sua storia, ai suoi viaggi, alle sue imprudenze, ai suoi amici,
alle sue sfide. Alle fermate dei tram, ai tavolini dei locali dove si beve e si
canta, dove si crea amicizia e si discute a oltranza. Appartiene alla notte
fonda, al cielo rosso dell’alba, ai passi silenziosi di una piazza
addormentata, alle ombre dietro i muri, ai risvegli lenti. Appartiene alle
corde di una chitarra che dà voce ai suoi richiami, a una scrittura insolita,
all’agilità del verso, al mondo antico che lo risucchia e lo rimastica, al
passo giovane che marca il ritmo di un rinnovamento.
E poi
appartiene a chi l’ascolta. Lo vedi suonare, lo senti cantare e ti trovi di
fronte a un cowboy che lancia il lazo e cattura il bisonte. E il bisonte sei
tu, ti lasci prendere come se fosse un gioco, e schiudi le porte dell’anima per
giocare in luoghi sicuri. Ogni verso ha una magia, inaspettata, sorprendente. È
un meccanismo seducente e disarmante che ti vince un po’ per volta, senza
compiere aggressioni. E’ il segreto dell’appartenenza, non c’è mai disarmonia.
Probabilmente Nicola appartiene alle sue canzoni più di quanto le sue canzoni
appartengano a lui. È come se esse lo chiamassero con messaggi cifrati, con un
linguaggio incomprensibile al mondo, che solo lui può decrittare perché glielo
concedono e, anzi, lo pretendono. Lui obbedisce alla chiamata, chiude gli occhi
e vola. E atterra, traducendo, su pentagrammi di blues, di folk e di musica
cosmica.
Nei suoi due
album (3) non c’è altro che appartenenza. Perché, infine, Nicola Setak Pomponi
appartiene interamente al suo tempo; che è anche il tempo delle strette di mano
rare e frettolose, delle canzoni informi, dei mercanti nel tempio, degli
assalti dei briganti, degli scippatori della bellezza. La sua è un’appartenenza
svelata dagli intendimenti, che va controcorrente, sentita e perciò vincente.
In un mondo che fa rumore e ti assorda di niente, arriva questo giovanotto
moderno e d’altri tempi che con le sue canzoni tira fuori dalle tasche
mucchietti di crediti, tutti inderogabilmente esigibili.
(1)
Traduzione del testo di “Lu juste arvé”
(2)
Traduzione del testo di “Dumane ha ‘ggià ‘rrivate”
(3) Blusanza
(2019) – Alestalé (2021)