Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

giovedì 18 novembre 2010

ZONDER PROBLEMEN? LE INSIDIE DELLA TRADUZIONE





ENTRAMBI PORTANO IL CAPPELLO, TUTTAVIA....

E dire che avevo pensato a suo tempo, di cimentarmi nella traduzione, libera, pur nel rispetto delle intenzioni dell’inclito Nume, de L’inganno del tempo, in quella che avrebbe potuto essere, ma non è stata, la mia lingua madre, il sardo. Meno male che l’ardito progetto non è andato in porto, meno male che la traduzione, rivelatasi quasi subito molto ardua, non è andata al di là di una forma solamente (e malamente) pensata, nelle due varianti sardo campidanese e sardo barbaricino del sud, quelle nelle quali un po’ mi districo. Il mio, nelle intenzioni avrebbe voluto essere un omaggio, ma nei fatti sarebbe stato uno scempio, per cui ho desistito e problemen me ne sono posta eccome.

Certo, al massimo il mio testo avrebbe avuto la "sfavillante" ribalta di Folgorata, nessun supporto lo avrebbe accolto, ma il risultato sarebbe stato deludente, e avrei certamente perpetrato un tradimento: per quanto a volte qualcuno sostenga che si tradisca per troppo amore, io ho preferito rinunciarvi. Quando poi, raggiungendo un piccolo obiettivo che mi ero prefissata, ho comprato e letto un libro che tratta proprio delle questioni intorno alle traduzioni di canzoni nate in un lingua, e riproposte poi in un’altra, ho tirato un sospiro di sollievo, perché, da quel che leggo, l’inclito Nume forse non avrebbe gradito il mio omaggio, tanto appassionato quanto inopportuno.

Nel lontano 1987 un cantautore olandese, Andrè Hazes, pubblicò un album di cover di canzoni italiane molto note, Volare, Piove, Sei rimasta sola…Tra queste trovò posto anche la bella Cara Lucia di Mimmo, tradotta dal signor Hazes con il titolo Zonder problemen, che vuol dire senza problemi. Evidentemente ne fu colpito, dimostrando con questa scelta un certo buon gusto. Forse ha fatto delle canzoni italiane un tutt’uno un po’ indistinto, le ha accostate insieme senza troppo discernimento, ma era sicuramente mosso da buone intenzioni. Attingiamo direttamente alla fonte, riportando le esatte parole di Mimmo Locasciulli. Sono d’accordo che tradurre sia un po’ tradire, premetto questo, tant’è che avrei molta paura se qualcuno volesse tradurre i miei testi in altre lingue… Mi hanno regalato, in vinile, la versione di un rozzo cantautore olandese, di cui non ho presente neanche il nome, di una mia canzone intitolata Cara Lucia, tradotta come Zonder problemen, non so neanche cosa voglia dire… Però immagino che sia difficile per un autore riconoscersi in una traduzione… Di Zonder problemen uscì il 45 giri, che immagino sia quello ricevuto in dono da Mimmo (lo avranno graziato evitando di donargli l'intero album) e che ora dovrebbe essere un pezzo da amatore....
Una riflessione: com’è possibile pubblicare qualcosa di un altro senza chiedere l’autorizzazione? Gliel’avrà chiesto, il permesso, o no, il signor Hazes, al dottor Locasciulli proprietario dei diritti? Io ho ascoltato la versione olandese, questa Zonder problemen.
http://www.youtube.com/watch?v=QZ7I6QtRQBI Chiunque può ascoltarla per potersi fare l’idea che crede. Che dire? Me la posso cavare diplomaticamente sostenendo che la musica di Mimmo, seppur riproposta con un arrangiamento molto…olandese, nobilita qualsiasi cosa?

Lasciando da parte i problemen, mi soffermo per un momento sul libro, La Tradotta, Storie di canzoni amate e tradite, Pieve al Toppo, Zona, 2003, diretta conseguenza di un momento di incontro sul palco del Tenco, avvenuto nell’edizione del 2002, quando un certo numero di persone, cantautori, autori, critici, molto diversi tra loro per provenienza, generi, età, sesso (ci sono anche delle donne, sempre poche) ma uniti dalla comune avventura di essersi cimentati chi occasionalmente, chi più frequentemente, chi sistematicamente nella traduzione di canzoni di artisti stranieri, racconta la propria esperienza. Di fatto tale incontro in realtà fu un vero e proprio convegno, dal titolo Tradutori & Tradittori, e il libro La tradotta ne contiene gli atti.
Chi ha curato la trascrizione intelligentemente si sente di poter assimilare a una traduzione da una lingua straniera, il passaggio dal linguaggio informale, immediato e colloquiale delle testimonianze durante l’incontro, a quello più formale della scrittura. Si è tentata una mediazione tra le due forme, tentando di conciliare immediatezza e fluidità con chiarezza e precisione.

Alla fine del libro troviamo un quasi censimento degli autori che sono stati tradotti, di quelli che li hanno tradotti e delle opere tradotte. Una vera miniera di informazioni, una lettura interessante che permette di scoprire al di là delle cose più note, tante curiosità. Trovo come traduttori alcuni signori (pochi a dire il vero) che a mio avviso conoscono, e non benissimo, solo l’italiano o qualche forma dialettale. Sicuramente è una mia errata convinzione, ma danno quell’impressione. Forse qualcuno avrà tradotto alla lettera per loro, e loro avranno aggiunto il marchio d’autore. Chissà!

La molla, al di là di operazioni meramente commerciali, (abbastanza frequenti in passato, come accadeva in cover spesso improbabili degli anni sessanta) è spesso da ricercarsi nel grande apprezzamento nei confronti di alcuni grandi e molto noti, che induce chi traduce a rendere loro un tributo, ma anche nel desiderio di far conoscere artisti altrettanti grandi, ma molto meno noti. In entrambi i casi è una sfida da parte di chi traduce, che deve entrare nel mondo dell’autore per renderne nel modo migliore possibile, in un’altra lingua, non solo il testo, ma proprio gli intenti, lo spirito, la poetica. Tradurre è un po’ tradire, come convengono in molti, (anche Mimmo nel suo intervento) e come ci suggerisce la comune radice delle due parole.

Non è raro che quello che vorrebbe essere un omaggio non venga considerato tale, e che spesso chi ha tradotto sia stato osteggiato e bocciato dall’autore. Ne sa qualcosa Mimmo che ha dovuto combattere non poco per alcune canzoni contenute nel suo Il futuro, e ha dovuto rinunciare a inserirne altre perché gli autori non hanno accordato l’autorizzazione. A un certo punto, dopo una serie di estenuanti scambi di fax con gli avvocati, e continui ostacoli, aveva pensato di non andare avanti col progetto discografico, finchè, per converso, e per fortuna altri artisti diedero il loro placet nel giro di brevissimo tempo e senza opporre alcuna resistenza.

Il futuro è come sappiamo bene un album del 1998. Mimmo già in un passato lontano si era cimentato nella traduzione di alcuni brani di Dylan (forse il più tradotto in assoluto, scopro anche in sardo) e di Brel e Brassens, (anch’essi tradottissimi, come molti altri francofoni, in alcuni casi integralmente, non solo in italiano, ma anche in milanese, in bolognese…) per non parlare, con l’aiuto dei suoi amici scandinavi del tempo di Perugia, perfino di artisti folk norvegesi, (lì poteva davvero sbizzarrirsi) ma si era limitato a cantarle, quelle sue versioni, e non le aveva mai incise. Nell’ultimo scorcio degli anni settanta si era cimentato, e anche questo lo abbiamo ricordato, perfino con Brecht, proponendo ai discografici della RCA una versione di Mio fratello faceva l’aviatore, anch’essa mai pubblicata.

Dopo il lungo, ma alla fine felice parto de Il futuro, Mimmo ha curato la versione italiana di Hotelsong, ma questa è stata una cosa fatta in amicizia con il suo amico Büne, che a sua volta l’ha omaggiato con la versione tedesca di Natalina. Ha tradotto anche un’altra canzone di Randy Newman, I miss you, che mi sono subito andata a sentire, (nell’album del 1998 aveva inserito I’ts money that I love, Sono i soldi che amo) e ha, sempre in occasione del suo intervento al Club Tenco da cui poi è scaturito il libro, dichiarato di avere l’intenzione di pubblicarla, autore permettendo, in un album successivo. Concordo pienamente, molto nelle corde, anzi nei tasti di Mimmo, questa canzone. Spesso nel corso di questo mio cammino ho trovato intenzioni e progetti non realizzati, e mi domando se il tempo o il superamento dell’interesse li abbiano cancellati, o se siano ancora vivi in qualche angoletto, ben custoditi, in attesa che arrivi l’occasione giusta.

Mi piace, in conclusione, riportare ancora qualche stralcio della testimonianza di Mimmo Locasciulli … Tradurre, in definitiva, è andare, invitati o forzatamente, in casa d’altri, guardare tutto com’è fatto, vedere perché un quadro è stato messo lì…e tornare a casa propria per tentare un ripristino totale di quelle sensazioni.Non sono un traduttore e quindi è molto difficile per me entrare nella cifra compositiva altrui. Non mi piace l’idea di violentare, forzare, derubare, spogliare (come amo dire io, in queste parole c’è tutto lui) Ci sono autori che non sono in linea mentalmente e spiritualmente con me. Viviamo mondi diversi e culture diverse, e soprattutto trovo molto brutto che nel mondo della musica, che dovrebbe essere un mondo di vicinanze e un mondo di comunione, ci siano comunque degli interessi, degli ostacoli di ordine legale, burocratico, economico, che tolgono ecumenicità e universalità a questa bella cosa che è la musica.

Pur dichiarando quella della traduzione una bella esperienza, che comunque finisce qui, una piccola eccezione, la fece in occasione dell’invito a mettere in musica delle poesie. (Ne ho già ampiamente parlato dunque non ripeto i dettagli.) Ne scelse alcune di Cohen, (a parte Idra, delle altre non ho trovato traccia alcuna da nessuna parte. Spero che Mimmo almeno si ricordi che cosa ha tradotto, altrimenti noi biografi siamo messi male e soprattutto che il libro scomparso sia di nuovo bene in vista nella sua libreria) ma si limitò a cantarle in occasione dei recital di Torino e del Cairo.
Questo per quanto riguarda Mimmo. Se i miei tre piccoli lettori volessero leggersi integralmente le riflessioni, prima di tutto quelle di Mimmo Locasciulli, ma anche degli altri suoi colleghi che si sono confrontati, e si sono confidati storie di canzoni amate e tradite, non hanno che da comprare il libro. (Costa sedici euro, meno di uno dei tanti libri-panettone, che come tali riempiono il cervello di colesterolo, e non nutrono l'anima.) Se non volete comprarlo, andate a consultarlo o a richiederlo in prestito in una bella biblioteca.
Dopo averlo letto, penserete - Folgorata aveva proprio ragione!

domenica 7 novembre 2010

IN NOME DELL'AMICIZIA

Oggi c’è stato un concerto, a Roma, al Teatro Olimpico, per ricordare Corrado Sannucci e per parlare dell’Associazione, che si chiama Stentore, come il personaggio omerico dalla voce possente, che è stata istituita dalla moglie e da un gruppo di amici di Corrado. Il senso di quest’associazione, è oltre che ricordarlo, continuare a lavorare per le cose cui si era dedicato e in cui credeva, e anche, a tal scopo, come nel caso della manifestazione di oggi, raccogliere fondi proprio perché si possano realizzare i progetti dell’associazione. Molti articoli sono apparsi in rete e sui giornali per diffondere questa iniziativa.
Sul sito dell'associazione http://www.corradosannucci.it/ si possono trovare maggiori informazioni.

Non ne ho parlato prima, perché sarebbe stato del tutto inutile, data la scarsa diffusione del mio blog, che mai avrebbe potuto fungere da cassa di risonanza. Ne parlo oggi, a cose fatte, convinta che il concerto abbia avuto un grande successo, per la risposta del pubblico, ma anche perchè tante persone che lo conoscevano si sono ritrovate unite dall'affetto e dalla stima per l'amico. Tra gli altri vi ha partecipato anche Mimmo, che Corrado Sannucci lo ha conosciuto al Folkstudio, quando entrambi erano giovani studenti di medicina, e cantautori della fucina del locale romano. Sull’Unità di ieri è apparsa un’intervista a Mimmo Locasciulli, in relazione alla manifestazione di oggi dedicata a Corrado. Mimmo ricorda le conversazioni e le discussioni appassionate e stimolanti con l’amico, molto impegnato in politica, molto “estremo” nelle sue posizioni. Ne ricorda le doti di cantautore, fa riferimento ad alcune canzoni. Credo che si fossero ritrovati qualche anno fa, e che avessero ripreso a frequentarsi. Credo anche che Corrado abbia fatto ascoltare a Mimmo delle nuove canzoni, e che ci fosse anche l’intenzione di pubblicarle, ma poi non so bene perché, la cosa non ha avuto un seguito, o non c’è stato il tempo.
Io di Corrado Sannucci non sapevo niente, forse solo che era un giornalista della redazione sportiva di Repubblica, ma non leggevo i suoi articoli (quelli di sport in genere, al di là del valore del singolo giornalista, ed è sicuramente un mio limite). L’ho incontrato nel corso del mio viaggio a dorso di mulo, per Mimmo e dintorni, che sono piuttosto estesi, ma spesso riportano al Folkstudio. Ho letto qualche intervista a Sannucci in cui era menzionato l’incontro con Mimmo, la nuova frequentazione, il progetto di fare qualcosa insieme. In un’altra intervista di Mimmo, dei tempi di Sglobal, ho trovato riferimento al disegno della bambina, che poi ho scoperto essere figlia di Corrado (ne avevo parlato in un vecchio post, senza entrare troppo nel dettaglio delle identità) che divenne poi l'illustrazione della copertina di Sglobal.

Mi sono incuriosita e sono andata ancora a cercare, e purtroppo, come tante altre volte in questa ricerca e nella vita, ho trovato una storia di malattia contro la quale Corrado, da combattente quale credo che fosse, ha lottato sperando di farcela, e invece così non è stato, perché è morto nell’ottobre del 2009. Ho visto un video, in cui parlava della malattia e presentava il suo libro, A parte il cancro tutto bene, un titolo che nasce da una conversazione di Corrado, credo (non ho ri-verificato niente, per questo pezzo, vado a memoria e mi scuso per eventuali imprecisioni) con un giovane barista che gli chiedeva come stesse. Ho il cancro - rispose Corrado e il ragazzo, di rimando - E a parte il cancro, tutto bene?
Corrado Sannucci per come mi appare nelle immagini che ho visto, quelle di ragazzo e quelle di uomo, era una persona con un fisico imponente, con una bella faccia su cui brillavano due occhi sorridenti e ironici. Aveva la barba, in molte foto, e una gran massa di capelli, diventati poi bianchi, tenuti in una coda molto lunga. Ci teneva tanto, a quella chioma: ne parla nel video, quando ormai, per le cure, aveva perso i capelli, con una certa nostalgia. Pur nella consapevolezza della malattia, aveva ancora moltissima speranza di farcela.
So che aveva lavorato fino all’ultimo.

Insomma, alla fine ne ho parlato. Una persona interessante e dai molti interessi, che ha lasciato molti germogli. L’associazione voluta dalla moglie Maresa e da un gruppo di amici di Corrado, credo che abbia proprio l’intenzione di lavorare su questi germogli. La manifestazione di oggi è la prima tappa di un cammino tutto da percorrere.
Nel libro su Roma di cui ho parlato la volta scorsa, è citato anche Corrado Sannucci.

Da lì traggo uno stralcio di una sua canzone. (A casa, a casa)
A casa, a casa, 6,30 esatte
A casa, a casa, via dalla notte
E la notte è già luce del bagno
Un sapone di calce e di stagno
E la calce è già muro in cucina,
La cucina si squaglia nel latte
Ed il latte è già sveglia profonda
Lei ti guarda e sembra nasconda
La tua casa e poi dietro la porta
Dov'è che finisce la porta
Dov'è che comincia la strada
Dov'è che la strada dovunque essa vada
Che poi ridiventa il portone
Dov'è che il portone si sdraia a scalino
E le scale si allargano a stanze
Dov'è nella stanza la sedia che siedi
Dov'è che poi appoggi i tuoi piedi
E i piedi diventano tavolo e foglio
E il foglio diventa rumore
Dov'è che il rumore diventa una voce
E tremore diventa scrittura
E la scrittura diventa una macchia
la macchia s'allarga col tempo,
Dov'è che il tuo tempo diventa un'attesa
La stessa che imbocca le scale
E la scala si drizza a portone
E il portone si sdraia per strada
Dov'è che la strada dovunque essa vada
Che poi ridiventa la porta
Dov'è che finisce la porta, e sei
Ancora a casa, ancora a casa...

mercoledì 3 novembre 2010

DI NUOVO DENTRO UN LIBRO: MIMMO LOCASCIULLI E ROMA


Mi sarà rimasta ancora qualcosa da scoprire, su M.L.? Io penso di si, che ci sia molto altro, oltre le notizie in mio possesso che ho prontamente trasferito su questo spazio. Sono sempre stata molto felice quando, e ormai mi è già accaduto parecchie volte, avendo maturato la convinzione di essere arrivata a raschiare il fondo del barile, in maniera del tutto inaspettata, o casuale, nuovi spunti si sono offerti alla mia inesauribile curiosità. Nel caso specifico di oggi, si tratta di un libro, Roma, suoni dai sette colli : guida alla citta e alle sue canzoni / Alessia Pistolini Civitella in Val di Chiana, Zona, 2006, che, confesso, ho acquistato perché sapevo che, dentro, ci avrei trovato la viva voce di Mimmo Locasciulli, la sua testimonianza. L’autrice, alla quale, forse senza farne il nome, avevo più volte fatto riferimento, ha in più occasioni intervistato e recensito Mimmo, nel corso della sua attività di giornalista musicale. In questo lavoro, che è una vera e propria guida di Roma, strutturata in capitoli dedicati ai singoli rioni, e quartieri, (c’è differenza) proponendo itinerari e raccontando monumenti, o dedicando piacevoli “interludi” ad aspetti della città, attraverso le canzoni di diverse generazioni e di cantanti e cantautori, che l’hanno, ciascuno alla sua maniera, celebrata, ampio spazio è lasciato alle testimonianze di alcuni di essi. Ciascuno secondo la sua esperienza e sensibilità, raccontano il rapporto con la città.
Mimmo Locasciulli non ha dedicato canzoni a Roma, la città è menzionata esplicitamente in una sola canzone, Alice è felice, ma, vivendo una buona fetta della sua vita nella città, ed essendo Egli costantemente ispirato dai vari input non è escluso che, indirettamente, la sua produzione ne sia stata influenzata. A ben pensarci, la città è citata a anche in Povero me, ma qui la responsabilità è condivisa con il coautore. Cammino come… un deragliato… (deragliato è insuperabile)… per le strade di Roma. (Per le strade di Roma è anche il titolo di una canzone di Francesco, che si trova in Calypsos, uno dei miei album preferiti, tra i recenti.) Forse in una grande città il senso di deragliamento, di scoramento è ancora più forte.
L’autrice del libro riporta alcuni versi molto noti di Intorno a trent’anni, …Con una città che sa menare le mani e con un pugno ti stende per terra. Sarà Roma la città, o sarà un sublimato di città? Il rapporto che M. ha con la capitale, lo ha in più occasioni molto ben descritto egli stesso, in particolare in quella pagina in cui fa riferimento alla sua anima abruzzese. Sintetizzando, Roma ha avuto e ha un ruolo importante nella sua vita, lo ha plasmato, ha tracciato le sue rotte, ma non lo ha inglobato, fagocitato, posseduto; la sua identità abruzzese è molto netta; nella città vive e opera (in senso stretto e in senso lato) ma per quanto possa essere stimolante, appare evidente che è a lui più confacente una vita in una dimensione più a misura d’uomo, più a contatto con la natura, che gli permette di ritemprarsi e di ritrovare le energie che la grande città - con il suo traffico, i suoi impegni incalzanti, i continui squilli del telefono, (spegnilo, ogni tanto, almeno uno) i contatti, i tempi stretti - assorbe.
Durante i primi anni a Roma, dichiara Mimmo Locasciulli, la città per lui era l’Università, la casa dove abitava, e la casa di un cugino proprietario di un atelier con clientela selezionata, (sarà quello molto noto che ha dato al marchio il nome delle isolette dell’Adriatico?) dove trascorreva molte serate. E poi naturalmente il Folkstudio, che quando lo frequentava lui, era nella sede di Via Sacchi. (Inciso: il Folkstudio è una colonna portante del libro, se ne parla moltissimo. Anche in riferimento alle diverse sedi che ha avuto. Per Lui, il Folkstudio è quello di Via Sacchi. Nella sede precedente di Via Garibaldi, non c’è mai stato. In quella successiva di via Frangipane, dove il locale si era trasferito intorno al ’92/’93, non ci ha più messo piede, perché evidentemente quel tempo a lui caro, quelle atmosfere, la pulsione eroica nella musica, ormai forse non c’erano più.) Insomma, percorreva sempre le solite strade note, da buon abitudinario come dichiara di essere.
Pare che a distanza di tanti anni continui a non avere una completa padronanza della città, a non conoscere i nomi di tante strade, e a non sapere come arrivarci, per cui si avvale delle consulenze dei figli, che a Roma si spostano con molta disinvoltura. Secondo me è un vezzo, un altro modo per mantenere un affettuoso contatto con loro, che magari altrettanto affettuosamente lo prendono in giro. Insomma io mi immagino questi bei quadretti familiari, Mimmo già pronto di tutto punto, in giacca cravatta e camicia chiara e borsa portadocumenti, perché ha un impegno di lavoro, Matteo appena alzato in pigiama e molto spettinato, le marmellate di loro produzione sulla bella tovaglia del mattino, l’uovo à la coque appena deposto da Bianchina, il profumo del caffè… Papà, allora devi passare per… poi svolta a destra, poi ti trovi davanti alla rotonda… ma quando imparerai a usare il navigatore satellitare? Mai, perché le indicazioni di un figlio non sono paragonabili a quelle di un aggeggio elettronico. (Mie fantasie, in cui per i condizionamenti subiti sono portata a immaginarmi certe scenette. Magari di mattina nella casa storica di Mimmo, quella della via del romanzo, tra Esquilino e Monti, Matteo non c’è, in pigiama: è grande, starà da tempo per conto suo.) E poi Roma è dispersiva anche per i Romani veri - dice sempre M. - e si finisce per muoversi con destrezza solo nei luoghi che abitualmente si vivono e si frequentano.

Ormai nel suo quartiere, come accade un po’ dovunque, nelle città grandi e ahimè, anche in quelle meno grandi, scompaiono gli artigiani, i calzolai, i sarti, le piccole mercerie; si vedono solo i lampioncini rossi dei negozi cinesi, i ristoranti multietnici, una dimensione globale che al Nostro non dispiace, ma un mondo cui tutti eravamo almeno un po’ affezionati se n’è andato e se ne sta andando.

Sono riportati nel libro alcuni aneddoti che Mimmo ama ricordare spesso, quando se ne presenta l’occasione. Uno di questi è la nascita di Piccola luce, avvenuta proprio a Roma, di cui ho parlato tante volte, ma siccome, forse, in passato qualche particolare mi può essere sfuggito, ora faccio ammenda e riporto integralmente le parole di Mimmo. Mi tocca per contratto.

Per esempio Piccola luce è stata scritta nel ritorno dall’Acea, che sta lì a Piazzale Ostiense, sul tram numero tredici che mi riportava a Via M., perché ero stata a pagare le bollette della luce, e la sera prima o due giorni prima al Folkstudio c’era stato un concerto di un duo – Ettore e Carolina De Carolis, che cantavano le canzoni della Valle del Pescara, folklore abruzzese – e avevano inciso un disco di canzoni abruzzesi intitolato Stelluccia del cielo non ti scurire. Quindi, tra l’Acea dove andavo a pagare la luce, e Stelluccia del cielo non ti scurire, sul tram numero tredici è nata in cinque minuti una canzone.

Un altro episodio che M. racconta sempre è quello dell’unico spettatore presente al suo primo concerto serale al Folkstudio. ll gioco di sguardi, la comunicazione non verbale tra i due, e tutto il resto, li conosciamo. La cosa però ha avuto un seguito simpatico. Un bel po’ di anni fa, a una trasmissione radiofonica (quante me ne sarò perse negli anni del mio parziale oblio, ma come mi sono applicata per recuperare…) ricordò, forse per la prima volta, la storia degli occhi che dicevano Ehi amico guarda che ho pagato il biglietto e tu canti anche se sono solo, e degli altri occhi, che di rimando, - Ehi amico ti prego non te ne andare - e dopo una settimana gli arrivò una cartolina dell’unico spettatore, Caro Mimmo ero io, sai faccio il medico a Ostia. Terreno comune… Magari era un suo collega alla Sapienza e lui non lo sapeva.

Tornando alle considerazioni sulla città, Mimmo pone l’accento su un fenomeno che si verifica spesso, purtroppo, non solo a Roma: la mancanza di partecipazione e solidarietà, l’incapacità di intervenire a sostegno di qualcuno in difficoltà, o peggio di qualcuno brutalmente aggredito e lasciato a terra. Indifferenza o paura? A me da poco è capitato di sentirmi un verme perché su un autobus, un signore molto anziano ha rimproverato un ragazzotto che teneva i piedi sul sedile di fronte. Apriti cielo, il bullo ha avuto una reazione aggressiva che rischiava di non essere solo verbale. Io fremevo, ma non sono intervenuta, avendo rischiato in altri casi simili, col mio intervento, di essere malmenata, ed essendo stata più volte insultata. Mi sono sentita un verme ugualmente, ma quello era un tipaccio: ho avuto paura e, magari vigliaccamente, non sono intervenuta.

Ancora Mimmo racconta di essere estasiato, (anzi folgorato, dice, per essere precisi; mi sto rendendo conto di quanto inflazionata sia la parola che ho scelto per il titolo, ma non ci posso fare niente, non ce n’è un’altra che renda l’idea così bene, banale e inflazionata quanto si voglia) e al contempo irritato da ciò che vede ogni volta che attraversa la città.

Pone l’accento anche sulla mancanza di accoglienza nei confronti dell’altro, del diverso, dello “straniero”. Trent’anni fa non l’avrei detto, ma forse trent’anni fa non c’era il problema.

Altre considerazioni su come cambia la città, nel corso degli anni, su come cresce e si estende a dismisura. Il ricordo della visita alle borgate, sulla scorta di suggestioni pasoliniane, la scoperta di una realtà totalmente sconosciuta. Lo stupore nel vedere un uomo che dormiva per strada, al suo arrivo a Roma, poi, durante il primo viaggio a New York, un barbone a ogni passo, cosa che evidentemente a Roma non accadeva ancora, mentre oggi…

Infine un ultimo accenno a un aspetto spinoso, un riferimento “alle maleducazioni” della gente, dalle quali, se c’è una popolarità, devi pure difenderti, mettere dei paletti, in primis in ospedale, e poi al ristorante, al semaforo (vecchi discorsi, affrontati in passato). Il tipo che mentre sei in ospedale, nel tuo ruolo di medico, in una circostanza particolarmente seria, ti apostrofa con un 'A Mimmo, e ti dà una pacca sulla spalla. In ospedale, al ristorante, al semaforo, dovunque, è una questione di educazione e di opportunità, di rispetto dei luoghi, dei ruoli, delle persone con cui sei, e di buon gusto. A un saluto educato, a un sorriso, che vuol essere un omaggio, e che non chiede altro, si può rispondere tranquillamente ovunque, anche col camice. (Lavato e stirato: da poco sono stata in ospedale e mi ha visitato un medico con un camice che non vedeva acqua saponata e ferro da almeno un lustro; non sono dettagli, anche qui c'è una questione di rispetto.) Su questo penso concordi anche Mimmo. Cosa c’entra con Roma tutto questo? Evidentemente in massima parte gli accadono a Roma, questi spiacevoli inconvenienti. Da lì eravamo partiti.
Basta, se qualcuno è interessato a sapere cosa racconta Mimmo, tutto tutto tutto, e cosa raccontano l’autrice e gli altri intervistati, lo compri, il libro; magari è fortunato come me, e nella sua città c’è un deposito della casa editrice Zona, che dedica molta attenzione, tra l’altro, alle tematiche musicali.
Siccome stasera sono molto minacciosa, prometto una nuova prossima incursione in un altro libro pubblicato dalla stessa casa editrice, che ho comprato indovinate perché? C’entrerà il nostro amico giustamente infastidito dalle “maleducazioni”?
Ai post l’ardua sentenza…

lunedì 1 novembre 2010

BELLA ANNATA, IL 1949!


Non potevo non domandarmelo, ne', pur non avendolo programmato, potevo alla fine rinunciare a far prendere forma scritta al pensiero che mi ha tenuto compagnia, fin da questo pomeriggio: "Ma ci sarà ora, mentre scrivo, Mimmo Locasciulli, all'Auditorium, a godersi la proiezione, in anteprima, del documentario di Thom Zimny, The Promise: the Making of Darkness on the Edge of Town, che racconta la genesi di un disco epico, e a respirare la stessa aria di uno che apprezza molto, The Boss? Chissà, io propenderei per il si. L'occasione, per chi può, e di quelle da non perdere. Mimmo e Bruce sono coetanei, (bella annata, il '49) hanno iniziato più o meno nello stesso periodo (il primo album di Bruce è di qualche anno prima rispetto a quello di Mimmo) si sono nutriti, musicalmente parlando, di cibo comune, e entrambi possono raccontare di concerti sotto la pioggia scrosciante, e di pubblico entusiasta che dalla pioggia non si lasciò minimamente scoraggiare. Bruce è cresciuto nel New Jersey e come ormai sanno anche i sassi, il nonno materno di Mimmo, Domenico, vi trascorse un po' di anni, lì, prima di far ritorno in patria. Il nonno materno di Bruce invece ci rimase, negli States, dopo esservi approdato dalla Campania. Sicuramente hanno degli amici comuni, i due ragazzi del '49. A Bruce piacerebbe molto il vino di Mimmo, ma a chi con un po' di sale in zucca e di curiosità nell'olfatto e nelle papille gustative non piacerebbe? Per inciso, a Roma piove anche stasera, e anche qui, nell'estrema propaggine dell'Africa del nord, ma non abbiamo Bruce, stasera, e neppure Mimmo.


Breve come raramente mi capita di essere, che non mi metto certo a parlare del Boss, che tra l'altro ha un sito ufficiale molto esauriente, e sul quale veramente c'è tantissimo materiale ovunque.


Domani leggerò i giornali, che dedicheranno ampio spazio all'evento. Andrò dritta alle pagine dello spettacolo, che il resto mi ha stufato.


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