Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

lunedì 25 aprile 2011

CI SI DIFENDE CON GLI OCCHI DURI E LA FILOSOFIA?


Questo è un post surgelato. Scritto e poi messo nel freezer, perchè nel frattempo la mia attenzione era stata presa da fatti e temi più legati al momento, che non avrebbero resistito alla lunga conservazione: occorreva consumare subito. Nel caso specifico di oggi, spero si possa consumare il prodotto in tutta tranquillità, anche a distanza di tempo, e che il freddo abbia mantenuto inalterate le sue proprietà.

Da quella famosa volta in cui Mimmo Locasciulli ha vestito i panni del professore e ha interrogato il suo pubblico (in mezzo c’ero anch’io) su alcune citazioni contenute nella sua bella, amata, articolata, semplice e complessa a seconda della lettura che se ne vuole fare, e sempre interpretata, sia nei concerti, sia quando è ospite in radio (accendo la radio, la musica è oscena, non passa una nota di rock e di jazz, e qui mi fermo, perché oggi non mi posso permettere una digressione che da sola diventerebbe un post) sia in televisione - La disciplina dell’amore - ha incominciato a frullarmi in testa un’idea. Ve la esterno tra poche righe, perché una trasgr-digressione piccolissima, la vorrei fare: a onor del vero, i panni del professore li ha vestiti davvero, Mimmo, non di filosofia, è evidente, ma di discipline inerenti la professione medica. La docenza non è stata la parte più significativa della sua carriera, ma l’ha esercitata, in diverse occasioni. Posso quindi affermare, che non solo Mimmo dixit,ma anche che Mimmo docuit. Qui mi fermo, perché così devo, ma mi concedo la licenza di affermare che io, potendo, seguirei una sua lezione con lo stesso trasporto con cui mi accosterei a un suo concerto. Anche a una lezione-concerto, che mi pare abbia tenuto anche quella.

Mimmo, che come sappiamo è un grande appassionato di filosofia, anzi per essere più precisi l’ha proprio succhiata col latte materno, ha dedicato parte dell’adolescenza, fino ai diciotto anni, alla lettura di intere collane filosofiche, fonti dirette e saggi, perché era un ragazzo animato dal desiderio di comprendere, di darsi delle risposte sui temi portanti della vita. Interessato alle dottrine filosofiche più disparate, sembrerebbe particolarmente imbevuto, tra l’altro, di filosofia platonica. Diversi sono i riferimenti alla teoria delle idee, e al celebre “mito della caverna”. Pare ci sia in lui anche un certo gusto alla discussione filosofica, al trovare argomenti validi per sostenere una tesi, ma anche il suo esatto contrario, al pari degli antichi sofisti greci, che quest’arte insegnavano alla jeunesse dorée ateniese. Un ottimo esercizio per tenere allenato il cervello, il tutto in occasione di simposi con amici affascinati, ma anche estenuati, da questa sua attitudine. Lui si diverte molto, sostengono alcuni, ma non li conosco e non so se dicano il vero. Mi fido di più dei suoi versi che recitano Ci si difende con gli occhi duri e la filosofia/ma sotto sotto spinge più forte la malinconia. Non so se la filosofia sia stata per lui, oltre che una difesa, anche una consolazione, come spesso è avvenuto in altri casi illustri.

Tornado a Platone, la maggior parte delle sue opere sono sotto forma di dialogo tra alcuni personaggi, uno dei quali è Socrate, del quale Platone divenne discepolo, dopo essere stato poeta, (e aver rinnegato la poesia, un bel giorno in cui decise, dopo aver dato una grande festa e aver riunito tutti i suoi amici, che da quel momento si sarebbe dedicato solo alla filosofia: era per la separazione delle carriere) e che conosciamo proprio grazie a Platone, perché come è noto di Socrate non ci è pervenuta nessuna opera diretta. Uno dei dialoghi più noti è la Repubblica, e proprio al suo interno, si trova "Il Mito della caverna", in cui gli interlocutori sono Socrate e Glaucone. Nella canzone di Mimmo citata prima, il riferimento è nel verso che recita Ed un piccolo chiarore, si trasforma in una luce.

L’idea che mi frullava nella testa era proprio quella di riportare integralmente il Mito, in omaggio al Cantante, e anche perché, se qualcuno, non si sa mai, non lo conoscesse, se si affaccia qui, può trovarlo, leggerlo, e, volendo, leggere anche una possibile interpretazione, che ho affidato a un professionista. Ne ho scelto una in particolare, perchè mi pare di semplice lettura, accessibile anche a chi non abbia nel suo curriculum, ne' studi, ne' letture filosofiche. Per gli altri non saranno necessarie le mie indicazioni.

Non vedo scelta: se si abbraccia Mimmo, si abbracciano anche i suoi punti cardine, e "Il mito della caverna" è uno di questi.

IL MITO DELLA CAVERNA

In seguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. – Vedo, rispose. – Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. – Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? – E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita? – E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? – Sicuramente. – Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? – Per forza. – E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa? – Io no, per Zeus! rispose. – Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. – Per forza, ammise. – Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che cosí facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo piú vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi piú essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe piú vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? – Certo, rispose.

E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente piú chiari di quelli che gli fossero mostrati? – È cosí, rispose. – Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lí a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. – Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso. – Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso piú facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. – Come no? – Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria. – Per forza, disse. – Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano. – È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà cosí. – E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro? – Certo. – Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse piú acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e piú rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? – Cosí penso anch’io, rispose; accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo. – Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole? – Sí, certo, rispose. – E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo? – Certamente, rispose.

Platone, La Repubblica, trad di Franco Sartori, in Opere complete, vol. 6, Laterza, Roma –Bari 1978, pag. 237-239

Il mito della caverna rappresenta una calzante metafora della condizione umana e della via per innalzarsi verso la luce divina della verità. L’anima umana è imprigionata in un corpo materiale che la rende ottusa e sonnolenta. Un uomo sempre vissuto nell’oscurità di una caverna e obbligato a vedere solo ombre proiettate sulla parete da oggetti che – fuori dal suo campo visivo- passano davanti a un fuoco, sarà convinto che le ombre siano l’unica realtà. Analogamente, l’anima umana vive in un mondo di illusione, scambiando per realtà ciò che è soltanto ombra, proiezione concettuale, pallido riflesso della verità. La vita che tutti crediamo reale – suggerisce Platone – è una fantasmagoria di immagini illusorie che l’anima offuscata non può fare a meno di considerare vera. Il cammino verso la verità è dunque il cammino verso la liberazione da tutti quei legami che ottundono la nostra capacità di vedere le cose così come sono. Non può che essere un processo graduale: l’uomo dovrà sciogliersi dalle catene che lo tengono fermo, riconoscere che le ombre non sono oggetti reali; poi scorgere gli oggetti e il fuoco che ne proiettava le ombre; uscire quindi dalla caverna per scorgere il mondo esterno, e infine gradualmente avvicinarsi alla visione accecante dl sole, la vera fonte di ogni visione. Analogamente, il cammino verso la verità porta l’anima a liberarsi da quei legami col corpo che la offuscano (passioni, desideri, etc.) fino a scorgere l’illusorietà della ordinaria percezione della realtà: allora soltanto l’anima potrà innalzarsi verso l’ineffabile contemplazione della infinita luce divina, la fonte di ogni Verità.

Edoardo Shuré, I grandi iniziati della storia segreta delle religioni, III, Platone e Gesù, Laterza, 1987, pag.40.

giovedì 14 aprile 2011

VAGHEGGIANDO BEVUTE ALL'OSTERIA


Alla fine, una donna sarda studiosa e diligente, l'ha intervistato, il nostro caro Mimmo, ma non sono io, gentile lettore che tanto auspicavi una eventualità del genere, cioè una mia "intervista sfolgorante". Le interviste le fanno i giornalisti, i conduttori radiofonici, gli addetti ai lavori, insomma. Qui si scrive per mero diletto, quando se ne avverte la piacevole urgenza, si segnala e si commenta e si dà luce, sempre, ad altri che lo fanno di mestiere: penso alle ormai decine di segnalazioni di libri, interviste, dischi, video, trasmissioni televisive e radiofoniche, siti web che ho messo a disposizione sia dei lettori casuali sia di quelli intenzionali, fin dall'esordio di Folgorata.

La mia connazionale che ha avuto il piacere e insieme l'onore di incontrare il Cantante, si chiama Barbara e io non so chi sia, ma questo è sicuramente un limite mio, come non sapevo fino a stamattina, quando l'alba e gli avvisi del più famoso motore di ricerca al mondo, mi hanno reso piacevole il risveglio, che qualcuno lo avesse intervistato... (Inciso: gli avvisi del mio blog non arrivano più da tempo immemorabile, e ne sono pure felice: ogni volta citare il cantante con nome e cognome, perchè gli suonasse il campanello. Mi sentivo alquanto ridicola, in questo giochetto di acchiappo.)

Inutile raccontarci frottole, cara Barbara, ho provato un morso di invidia pazzesco, ma proprio di quelli dolorosi che affondano i denti nella bocca dello stomaco e fanno sanguinare il mio povero esofago già danneggiato dal reflusso e dai FANS, non tanto per l'intervista, che non gli proporrei mai nemmeno sotto tortura, non certo per la certezza assoluta di un diniego, ma perchè nei termini canonici mi interessa assai poco, quanto perchè ti ha accolto con un bicchiere di vino rosso in segno di amicizia, da persona semplice e umana quale mi raccontano sia. Una faccenda alquanto normale, immagino in molti abbiano goduto di questo semplice piacere con lui, senza avere un ruolo determinante nella sua vita, eppure questo per me appare come un desiderio irrealizzabile e quindi degno di essere vagheggiato e inseguito e accarezzato con preziosi guanti di seta. (Tanto per raccontare i fatti miei al prossimo, sommamente interessato: ho una vera vocazione per perdermi dietro qualsiasi cosa appaia distante e irraggiungibile, inventarmele tutte per riuscire a ottenerla, poi, una volta ottenuta, perchè talvolta accade, capire che il senso è nella corsa estenuante, non nel traguardo.) Nei miei sogni più arditi io e Mimmo siamo l'una di fronte all'altro, i gomiti appoggiati su un tavolo da osteria con la tovaglia a quadretti rossi, dal soffitto pende una squallida lampadina da 40 watt, agli altri tavoli facce losche, mentre l'unica nostra compagna è una damigiana, si una damigiana, perchè non mi basta un bicchiere e nemmeno una bottiglia e neppure un fiasco, voglio che il vino scorra a fiumi. Io in questo sogno ardito faccio la coppiera, o l'intrattenitrice, nel senso che più che bere, induco a bere, ma non con il fine di fargli cacciare fuori del denaro, ne' con altri fini, ma solo per il sommo piacere di vedere cosa può raccontare, dopo essersi scolato una damigiana: quella si che sarebbe una bella intervista, non le solite domande e le solite risposte...

Abbandoniamo l'osteria, dove per un pelo abbiamo schivato la rissa, e ritorniamo sulla terra. Barbara ha dimostrato di aver studiato, perchè, rendendo sommamente felice Mimmo, ha tirato fuori dal cilindro una delle idee portanti del sistema filosofico locasciulliano, cioè come (questione peraltro vera) in Italia ci siano molti cantautori e poca musica d'autore. Mimmo quasi fa un salto sulla sedia, e si lascia andare a un BRAVA!!! che, destinato a una connazionale, è come fosse destinato a me. (Faccio tanto per dire, non sono così fanatica, e neppure ho un culto così alto della sardità. La coltivo solo in quanto espressione culturale peculiare, e io sostengo che peculiarità e differenza siano ricchezza).

Una tirata d'orecchie. Non per fare la maestrina a tutti i costi, ma come si fa a dire che Siamo noi è dall'album Il meglio del 1999??? Sarà stata pure inserita lì, ma fa parte del citatissimo e amatissimo, dal cantante, da me, da molti altri, Tango dietro l'angolo. Che figata! come ultimamente dice molto Mimmo, tutto intriso di linguaggio giovanilistico: dei miei tempi; ora i ragazzi lo diranno ancora figo, o fico, e che figata? Quando dice che figata! è troppo figo.
Quanto agli errori, nessuno ne è immune e io ritengo che segnalarli sia opera meritoria, e gradisco sempre quando, con garbo, qui o altrove, qualcuno segnala i miei. Peccato avvenga assai di rado.

Ecco il link.



Leggetevi quanto scrive brevemente Barbara sulla serata di Serrenti, e guardatevi il video della piccola intervista: Mimmo ha il dono della sintesi. Che vino mai ci sarà stato, dentro quel bicchierotto da osteria? (A osservarlo meglio pare di plastica...) E dopo, gli avranno offerto una buona cena? Mi dispiacerebbe se si fosse alzato da tavola scontento. Gliel'avranno servito su casu marzu, e sa cordula? Con questo interrogativo che non avrà mai risposta, tutta intrisa di dolce malinconia, mi accomiato.

No, prima racconto una cosa che qui non ho mai raccontato, sono sempre stata un po' nebulosa sul vero fattore scatenante di questa folgorazione. Ecco come sono andati i fatti: dell'idea di Mimmo dormiente (l'idea, non lui) ma comunque presente, ho parlato altre volte; del fatto che in qualche occasione avessi letto qualche articolo che lo riguardasse, di qualche pigro sporadico ingresso nel sito, anche. Dopo Uomini, tuttavia, non avevo più sentito nulla di nuovo, finchè un bel giorno di giugno 2009, mi arriva un dono: un album doppio, Aria di famiglia, che qualcuno che mi conosce bene e mi vuole bene trovò, per uno strana coincidenza, a un mercatino, ancora intonso. Il Cd, anzi i Cd, giacquero per circa un mese in un angolo. Aria di famiglia è in massima parte una summa della produzione di Mimmo degli anni 80 e 90, proposta con nuovi arrangiamenti; molte canzoni le conoscevo e le avevo (le ho) in cassetta, ma da anni non le ascoltavo. Di alcune non sapevo neppure l'esistenza, tuttavia non mi veniva alcuna voglia di ascoltarle, e al "donatore" che mi chiedeva tutti i giorni se avessi almeno scartato il Cd, alla fine risposi, si... ma non era vero. Mi colse alla fine un timore di essere interrogata e iniziai ad ascoltare, una volta, due volte, dieci, cento, finchè l'idea addormentata si risvegliò prepotentemente e mi ritrovai incatenata, folgorata, dipendente, bulimica della scrittura ancor più del solito e totalmente asservita alla causa, una pasionaria di Mimmo, un tantino maniacale, ossessivo compulsiva, che lui è medico e buon conoscitore dell'animo umano (ma basta molto meno) e quelli come me li sgama subito e dice Aiuto! Glielo dico sempre, al donatore, chi è causa del suo mal pianga se stesso! forse era meglio se lo lasciavi dov'era, quel disco, ma... ci si può opporre al fato? Perfino gli dei nulla potevano, e allora tanto vale farsene una ragione.

sabato 9 aprile 2011

PORTAMENTI DIVISTICI


Cosa mi resta di tutta la magia della festa? Cito a memoria un verso di una poesia di Corrado Govoni studiata alle scuole elementari, La trombettina. Forse la magia non è della festa, ma della fiera, e quello che resta è una trombettina di latta. Cosa è rimasto a me del terzo appuntamento dal vivo con la musica di Mimmo? Di materiale, di concreto, una dedica non proprio spontanea, diciamo pure estorta, sul frontespizio del Giardino in-cantato. Io così contraria a autografi e foto col cantante (ma solo perchè non sono fotogenica) decido che voglio il cimelio. La penna utilizzata è già sotto formalina, il libro lo incornicerò. L'artista è splendido, e potrei osare con aggettivi ancora più roboanti - avrei la certezza di non esagerare - anche se, nello specifico del concerto di oggi, tecnicamente, dal punto di vista vocale e non strumentale, non è stato proprio perfetto. Era un po' emozionato e non conosceva bene quel pubblico. Si è ingarbugliato con molti testi, mi ha un po' massacrato Una vita che scappa, canzone da acchiappo, e quando ha detto che "ci voleva provare" lo ha fatto con un filo di voce, e a me piace sentirglielo dire con un tono più deciso e con più grinta, da vero seduttore. Seduttore lo è, nonostante tutto, Mimmo, delle platee intendo, perchè uno così, non può lasciare indifferenti. Non so quante persone, delle, mi dispiace dirlo, non tantissime (ma neppure pochissime, tutto sommato) presenti nel bel teatro Di Serrenti conoscessero Mimmo e la sua storia. Son pronta a giurare che Prima di chiudere la conoscevamo in cinque, (é stata una bella sorpresa per me, con quella lunga splendida, e ripeto l'aggettivo di prima, introduzione musicale) Arte moderna pure. Osservando le facce e carpendo brandelli di discorsi, ho capito che non erano tanti gli intenditori. Però (non si mette però a principio di frase, l'hanno insegnato sia a me sia a Mimmo, ma mi concedo una licenza), però il pubblico ha gradito, era partecipe e sarebbe rimasto ancora un bel po'. Dunque ci sono le premesse per un ritorno. Prendi nota e lavora fin d'ora per i contatti.

Non erano in tanti neppure a conoscere le tattiche "da acchiappo" del pubblico del Nostro, il suo repertorio di frasi, aneddoti, citazioni, battute, alcune un po' fredde, che fanno tanto Mimmo, nei confronti di alcune delle quali sono un po' critica, ma che mi mancherebbero se non ci fossero. Lui è così, e io, che quando ho avuto la "vocazione" ancora non lo sapevo, ho comprato con assoluta fiducia un pacchetto incartato e infiocchettato, dal contenuto un po' misterioso, che ora lo è molto meno. Se continuerò a fare la collezionista, e chissà, magari la serialità continuerà proprio col concerto al suo paese, con la band - così potrò apprezzare anche gli altri musicisti - quel contenuto avrà forse sempre meno misteri, ma son certa che mi piacerà ancora.

Dice che era dieci anni che non faceva un concerto in Sardegna, Mimmo. Chissà dove, come e con chi. Io non ne conservo memoria alcuna. Dice che ama la Sardegna, e che è affascinato dalla lingua, della quale non capisce nulla. Niente paura caro amico, neppure io capirei quasi nulla se tu parlassi con 'Nduccio, poniamo, in abruzzese stretto. Siamo pari, ma con una differenza che tu conosci bene, perchè sei un uomo colto (e non il semi-cialtrone un po' ignorantello che non sa le lingue che hai scherzosamente un po' dipinto stasera): il sardo è una vera e propria lingua.

Tornando al concerto: le canzoni eseguite son state quelle di cui ho parlato un post fa, più le due citate prima, e poi Lucy, che Mimmo dedica alle signore in sala. Lucy è una canzone particolare, che parla di una donna che rappresenta tutte le donne maltrattate, umiliate e offese. Anch'io mi sono sentita un po' umiliata e offesa, quando, avendo deciso di salutarti e ringraziarti personalmente, dopo una rapida (ma vigorosa, buon segno) stretta di mano mi hai mollato lì come una cretina per avvicinarti a comprare il tè solidale, cosa molto importante, ma per la quale avresti potuto aspettare due minuti. Una signora non si molla così, e tu che sei tanto gentiluomo dovresti saperlo, anzi lo sai, e di norma non lo fai. Ti sei fatto desiderare, e hai avuto, tu così antidivo, (il giorno del Nobel farò l'antidivo, cantava un tuo collega premiato a una nota rassegna canora) un comportamento divistico. Però, però in fondo, dopo, sei stato simpatico, anzi lo sei proprio, simpatico, ed essendo magnanima ti perdono, seppure umiliata e offesa. In tutta la penisola e anche nella Svizzera tedesca sono l'unica a pensare certe cose di te. Ad esempio, la ragazza del teatro che è venuta a stanarti dietro mia indicazione, mi ha detto che non ha mai visto un artista alla mano, educato e gentile come te...

Però, però che divertimento, che passione, che cura nell'esecuzione da parte dei musicisti, compreso l'anziano pingue pianista, che se lo guardi da vicino invece sembra un pingue ragazzo: una serata davvero magica, se qualcuno dubitava che anche questa potesse non esserlo stata, una serata magica. Facendo due conti, forse è meglio quando non gli rendo omaggio diretto, al cantante, ma se non l'avessi fatto ora non avrei quella bella dedica in cui c'è almeno una bugia (scommetto due dita che non si ricorda più cosa ci ha scritto, su quel frontespizio) forse non avrei avuto l'onore di essere "aspramente redarguita" (NON SEI UNA BUONA OSSERVATRICE, lui, a ME!!!) perchè non ero riuscita a cogliere (Caccia all'errore della Settimana enigmistica o era un'altra cosa, o Aguzza l'ingegno, se ce l'hai...) le imprecisioni sulla immagine di copertina, che raffigura delle foto sue, e le copertine dei suoi dischi. C'è due volte Adesso glielo dico, e poi, aggiunge, manca la copertina di un altro mio disco. A me a un'osservazione attenta, effettuata con la lente una volta a casa, pare ne manchino due: Uomini, e anche Tango dietro l'angolo. Ci ho preso, Dottore?

I giornali sardi, tra ieri e oggi, hanno pubblicato un articoletto sul concerto di stasera. In uno dei due, quello della Nuova Sardegna, Mimmo si trova a dividere la pagina con un altro signore con il cappello, che ha cantato in Cina. Si tratta del vecchio Bob: i due sembrano un po' somigliarsi, nelle due foto utilizzate. La prossima volta mandiamo Mimmo in Cina e Bob lo portiamo a Serrenti, dove io gli faccio la posta per avere una dedica sulla sua autobiografia, vedere se se la tira, se fa il divo, o se è molto umile.


Ho tirato tardi, e ora incomincio a sentire il bisogno di un letto. A letto senza cena, oggi, però mi sono cibata di scrittura, un po' sghemba, forse, perchè ho buttato giù di getto, senza ricontrollare, senza correggere. Ci sarà tempo, per eventuali correzioni, un po' di tempo ancora, però io, Mimmolocasciulli, forse non ci vengo più, a salutarti: dopo soffro troppo. Ah, a proposito di Mimmolocasciulli, oggi a Cagliari, sarà anche questa una coincidenza, c'era Frankie, quello che invidio troppo perché Mimmo dice che è mostruosamente intelligente. Acc... questa l'ho già scritta dieci volte, predico bene e razzolo male, ahimé!

In conclusione, allo stato attuale della mia ancor modesta esperienza di fruitrice di concerti del suddetto cantautore dottore, mi sento di stabilire quanto segue:
Torino: situazione particolare, solo con il suo pianoforte, luogo d'affezione, ambiente raccolto, pubblico colto e consapevole, ruolo della sorte, grande emozione e partecipazione. Punto di forza: esternazione della emozione, apertura sincera verso il pubblico. Giudizio: ottimo.
Roma: la sua festa, il giorno dell'esordio; se l'emozione c'è, è dominata. Più che emozionato, appare contento, di quella contentezza che lambisce la felicità. Rilassato, padrone della scena, bravo senza incertezze, gioca in casa. Amici, famiglia, origini, pubblico che non è lì per caso. Cosa desiderare di più?
Insula: alla fine c'è venuto, ma la gente si è un po' dimenticata di lui, dopo tanta assenza; io lo sapevo e lo sapeva pure lui. Un piccolo azzardo, ma in fondo che si perde? Un giorno fuori sede e punto, così si fa il quadro della situazione. Quando ho letto del pubblico sardo "davvero speciale", mi sono domandata che punti di riferimento avesse, a quali memorie si appigliasse.
Non è perfettamente a suo agio: forse è emozione, forse un leggero fastidio per la scarsa affluenza, il concerto ne risente un po', in alcuni momenti dell'esecuzione, nella comunicazione con un pubblico sconosciuto, con il quale è un po' frenato. La passione per la musica prevale, lo aiutano i due sodali, e lo aiuta il mestiere, e in fondo quelli che ci sono lo sostengono con applausi caldi e sentiti.
I cinque che erano con me, gli unici che son riuscita a reclutare (alla fine ho desistito, perchè sembrava quasi ne avessi un tornaconto, da tutta questa promozione pro-Mimmo, e io non sono la sua agente) erano tutti entusiasti. Quanto conta il giudizio del pubblico, di ogni singolo spettatore, per lui?
Penne: qualcuno dice nemo propheta in patria, ma spero non in questo caso... chi vivrà vedrà e, se possibile, racconterà. Con i compaesani, certo non avrà portamenti divistici e magari si mischierà con la folla, in piazza, e si metterà a chiacchierare in pennese estremo, tutto contento. Speriamo che ci sia, la folla, perchè avere un riscontro minimo in un terra aspra e separata dal mare, in cui effettivamente oltre la sottoscritta e i suoi stanchi (di sentirla) amici e conoscenti lo conoscono in pochi, è un conto, non averlo in patria, potrebbe risultare alquanto amaro. Agli animi sensibili vorremmo fossero risparmiate, le amarezze.

venerdì 1 aprile 2011

LA SECONDA VOLTA

A quella signora che si è fatta fotografare sotto il manifesto del cantante, fuori dal teatro, qui dalle mie parti, direbbero: Cééé, cuaurì, non t'indi pari bregungia, scimpra? ***
Io risponderei: Ehia, tenisi arrexioni, ma non d'appu potziu fai de mancu! Ci deppiada essi una prova chi narammu sa beridadi.***

Eccomi di ritorno dalla mia piccola, ma fin troppo intensa, parentesi romana. Ho quasi baciato la terra, al mio arrivo sull’isola, e ringraziato i numi perché non sono stata schiacciata, per loro intercessione, dagli indisciplinatissimi automobilisti romani, che non si fermano sulle strisce neanche col mitra puntato. Mai vivrei in una grande città, io. A Roma sono andata per il concerto di Mimmo, questo tengo a sottolinearlo, cioè era quello il fine primo del piccolo viaggio, deciso e organizzato da tempo nei minimi dettagli. Mi piacerebbe, da grande, e di fatto, ho inaugurato questo nuovo corso della mia vita dopo aver oltrepassato il confine del mezzo secolo, diventare una collezionista di concerti di Mimmo Locasciulli. Beni immateriali, ma incisivi e durevoli, che non occupano spazio se non nella mente e nel cuore. A Torino c’è stata la prima volta con tutte le implicazioni del caso. Quella di Roma è stata la seconda volta, come il titolo di un film di un regista che si chiama Mimmo anche lui, autore anche di un piccolo film bellissimo dal titolo La parola amore esiste. Due citazioni in un colpo solo: mi riferisco alla tendenza del Nostro di “rubare” titoli, e quindi per rendergli omaggio, gli faccio concorrenza. E gli rendo omaggio anche facendo un riferimento cinematografico, ma a questo arriverò dopo.

Arrivo in anticipo a Teatro, e mi fermo un po’ al bar, e un po’ all’ingresso, così posso iniziare la mia indagine. Inizia ad arrivare qualcuno, che si mette lì, ad attendere, perché in sala si prova, e non si può ancora entrare. Faccio il gioco del “chi sono questi signori che aspettano”. Questo signore è un amico medico - starà in prima fila - mi dico. Questa coppia di signori, pure, ha un aspetto familiare, anche loro li metto in prima fila, e qui la medicina non c’entra, c’entrano le radici e l’amicizia. Una signora saluta e si ferma a chiacchierare con quello che io penso sia il medico, e così scopro che ho ragione, “Siamo molto amici con Mimmo - racconta lui infatti- siamo medici tutti e due”. E la signora, “E lo so, io lo apprezzo molto, seguo tutti i suoi concerti (romani) da quando ha iniziato”. Ecco trovata la collezionista, altro che Folgorata… Altri signori in attesa secondo me sono suoi conterranei, lì, sia per lui sia per l’ospite ‘Nduccio. Infine c’è un piccolo nucleo, che ha tutta l’aria di esser stato richiamato lì dalla presenza di Giovanna Marini. Indovinato: poco dopo parlano di lei. Uno dei miei giochi preferiti, immaginarmi dall’attenta osservazione delle persone chi sono e che fanno. Raramente sbaglio. O sono troppo brava o le persone sono troppo intrappolate nei loro clichés.

Finalmente entriamo in questo bel piccolo teatro tutto nuovo, o rinnovato. Ho prenotato da molto, quindi i nostri posti sono centrali, perfetti per chi non vuole, ne’ deve perdersi neanche un palpito. Attendiamo l’arrivo di Mimmo e della sua formazione: si esibisce in trio, con Matteo al contrabbasso e Fabrizio al sax. Intanto continuo a guardarmi intorno e noto che ci sono ancora molti posti liberi. Le persone arrivano all’ultimo momento e io sto in trepidazione, quasi come una mamma che spera nell'arrivo di tutti gli amichetti più graditi al suo bambino, in occasione della sua festicciola di compleanno. Voglio che la sala sia piena. Meno male, ecco i ritardatari: la platea centrale si è presto riempita. Eccolo, Mimmo, in black and white; nota frivola da donna che osserva i particolari: ha abbandonato la camicia nera e ne indossa una bellissima, ampia, immacolata. Sarà la veste bianca che rende l’anima innocente? Si siede al pianoforte e attacca con le prime note di Un po’ di tempo ancora, secondo uno degli schemi classici dei concerti degli ultimi anni. Su uno schermo gigante iniziano ad essere proiettate alcune sequenze di film che hanno lasciato un segno nella vita di Mimmo. Lui si è autodefinito "ardente cinefilo". Il recital di stasera, io l’avrei chiamato Cine days, non Radio days. La radio, presente negli intenti, oggi non appare proprio.

Alcuni film li riconosco senza doverci pensare nemmeno un momento. Ultimo tango a Parigi, La prima notte di quiete, Moby Dick con il vecchio Peck, come dice Mimmo, una sequenza che mi pare da Falling in love, con Meril Streep e Robert de Niro. Il fascino sbattuto e disperato di Marlon Brando e quello tormentato di Alain Delon, bellissimi tutti e due con quei loro cappotti stazzonati, personaggi tormentati, esistenze alla ricerca, esistenze allo sbando. Vanina che torna sempre nella vita e nelle canzoni di Mimmo.

Canta tre canzoni di seguito Mimmo, senza parlare. Non ricordo l’esatta sequenza. Dopo la prima mi pare Senza un Addio e La disciplina dell’amore. Affianco a me c’è un signore che prende appunti… Io mi voglio godere il concerto. Ecco, ora ci saluta e da questo momento inizia a raccontare qualcosa, a commento delle canzoni, e non solo. Non mi sorprende, perché so già esattamente ciò che dirà. C’era un ragazzo, circa un secolo fa, che ha scritto un romanzo lui pensava di fare altro - ma era un ottimo romanziere… si chiamava Sigismondo Freddo, attacca prima dell’Interpretazione dei sogni. Lo dice sempre, ma ciascuno ha i suoi cavalli di battaglia.

Una piccola parentesi che con Mimmo non c’entra niente, ma solo apparentemente. Ho avuto una grande "fascinazione" per uno scrittore israeliano, nel senso che leggendo i suoi libri sono entrata del tutto nel suo mondo e l’ho fatto mio. Completamente conquistata: con me ha fatto un sacco di affari perché ho comprato per me e per altri tutti i suoi libri. Un’ossessione, me lo sognavo pure. Nel primo periodo, non conoscendolo bene, trovavo tutto ciò che diceva sommamente interessante; un giorno la fascinazione finì di colpo. Partecipò a una trasmissione televisiva, e nell’attesa che arrivasse il suo turno, davanti alla tv, mi sentivo come una ragazzina al primo appuntamento, con tanto di batticuore. Parlava di compromesso, inevitabile per risolvere i problemi del suo paese perennemente in conflitto. "Io di compromesso me ne intendo, essendo sposato con la stessa donna da quarantasette anni." disse anche quella sera, con fare da consumato uomo di spettacolo, molto compiaciuto della sua battuta. Perfettamente d’accordo, ma l’hai detto altre cento volte. La prima volta che parlò di compromesso, gli anni del suo matrimonio erano trentacinque, ora sono cinquantuno. Ho smesso di colpo di sognarlo, lo scrittore, però per la sua scrittura e per il suo mondo ho sempre grande ammirazione. Ho semplicemente aperto gli occhi. C'è molta passione, ma anche molto mestiere.

Mimmo, ti prego, dosa molto la storia del romanzo del ragazzo austriaco, e non dire più Sigismondo Freddo e Biagio Pasquale.

Torniamo a noi. Gli occhi, che quando la canta, si commuove ancora, Mimmo. Questa volta la lacrima c’è davvero, ma è una goccia di sudore finita dentro l’occhio, per cui è necessario interrompere, asciugare e intessere una storia sulle lacrime, sulle lacrime di sudore che sono davvero amare, sull’amare. Vedo Matteo che con un’espressione rassegnata e intenerita abbraccia il suo contrabbasso e sorridendo ascolta il padre. Sembra pensare, ecco, fa così, lo sapevo, ci siamo, ora chi lo ferma… L’affetto è tangibile, tra questi due ragazzi che si somigliano molto.

Sarà emozionato, stasera, lui che dichiara sempre che ogni volta davanti al pubblico è come la prima. A Torino era percepibile, l’emozione, e la sua conseguenza era stata qualche minuscola defaillance. Qui è strepitosamente bravo, canta e suona splendidamente, interpreta con grande coinvolgimento, tira fuori un’energia inesauribile: nessuna defaillance, che sarebbe stata comunque del tutto perdonabile, o se c’è stata, non me ne sono accorta.

Arriva il momento in cui tanto speravo, lo capisco che sta per accadere quando lo vedo alzarsi col bicchiere, mettersi di spalle e iniziare a ballicchiare: Una vita che scappa! Non sto nella pelle dalla contentezza… Ne conoscevo una versione voce e contrabbasso, con Matteo, nuda, che mi aveva fatto impazzire quasi, ma dopo questa con l’arricchimento del sax di Fabrizio (bravissimo!!!) sento di essere pronta per la camicia di forza, anche perché vorrei tanto manifestare, urlare bravo Mimmo, ma il massimo che riesco a fare è applaudire con entusiasmo. Non mi consentono di andare oltre: il mio modo di essere, il luogo, il destinatario dell’urlo e un signore seduto accanto a me che mi ha avvisato: Cerca di contenerti, altrimenti mi alzo e torni da sola in albergo. Non mi resta che obbedire. Applauso sconfinato, sorrisi che lui non vedrà, ma che arrivano. Arriva il calore del pubblico, la buona disposizione, l’entusiamo, le sensazioni che invia al distinatario, "l’odore", come ha detto Mimmo, che in una parola olfattiva ha racchiuso tutto quello che ho ho descritto io, e forse di più. Mi piace il vostro odore, ha detto, e anche a noi piace il tuo, Mimmo, abbiamo silenziosamente risposto.

A proposito di modi per manifestare il proprio assenso a un artista, c’è chi fischia, fischi di ammirazione, intendiamoci. A me non piace, e non solo perché non so fischiare…

Quanto ho apprezzato Passato presente: è proprio vero che l'uso sapiente degli strumenti musicali impreziosisce di vesti lussuose le canzoni. Quanto mi è piaciuta Siamo noi, preceduta da un 'introduzione di Mimmo, che cita un modo di dire abruzzese che riporto, sperando di farlo nel modo giusto, e di averne colto il senso (o il non senso) in italiano, perché devo ancora prendere parecchie lezioni, di abruzzese. "Noi siamo noi, - si dice dalle sue parti, - e quelli che passano ci guardano e dicono, quelli sono loro." Cosa vorrà dire? Un alto senso di sé da parte degli Abruzzesi? Entro certi limiti, non guasta. Mimmo mi pare ne abbia una buona dose, di autostima e di autocompiacimento, però credo e spero anche che non gli manchi la giusta quantità di dubbi e di insicurezze.

“Ci manca un tot, ci manca un quid… Ma te lo devo proprio ripetere, Mimmo? Ma si, in fondo faccio la gratificatrice di professione: Ce l’hai quel quid, eccome, e grazie a quello tutti i tuoi aspetti nella norma, da persona comune, vengono sublimati e soprattutto passano in secondo piano.

Insomma, il concerto è un concerto bellissimo, ma classico, di diverso ci sono le immagini che scorrono mentre canta, (non so se in passato abbia già fatto ricorso a questo espediente) che sono spezzoni di film e non come era stato annunciato spezzoni di concerti, momenti della sua vita di artista, e, a un certo punto, le contaminazioni e le incursioni nei territori musicali di confine, in quelli amati da Mimmo, anche se lontani dal suo mondo musicale. Oggi il territorio di confine è il folk, nella sua forma più popolare con il suo grande amico, Germano noto ‘Nduccio, e nella sua espressione più alta con Giovanna Marini. Mimmo è appassionatissimo di musica folk, in tutte le sua varie anime.

‘Nduccio fa una piccola introduzione comica, che mi permette di vedere Locasciulli letteralmente sbellicarsi dalle risa. Rido anch’io. Questo signore caro amico, oltre che far ridere, canta e suona la chitarra, e non è l’ultimo della classe. Inoltre colgo nel suo sguardo qualcosa di buono, e poi mi pare abbia una buona dose di autoironia, che non guasta mai. Canta una canzone che si chiama Signorì, che dedica a tutte le donne in sala e a una in particolare, una ragazza di tanti anni fa, una signora di oggi, mettendo in blando imbarazzo Mimmo, che non ama questo genere di cose, ma se ‘Nduccio lo fa, sa che sarà perdonato. Agli amici si può fare qualche concessione in più.

Gli Abruzzesi in sala sono tutti contenti, accompagnano la musica battendo a ritmo le mani.

Dopo, insieme, anche col contributo di Giovanna Marini, canteranno la canzone in abruzzese di Mimmo, Vola vola vola. Emozionante, davvero, ma un momento ancora più coinvolgente, alto, è quello in cui Giovanna e Mimmo intonano Il lamento per la morte di Pasolini. In piedi, lui col cappello calato sugli occhi, le mani quasi giunte, il lamento della voce femminile cede il passo alla voce maschile. Me lo sono sentito sulla pelle, quel lamento, che si è fatto brivido.

Il concerto è quasi alla fine. Non elenco tutte le canzoni, ma mi piace ricordare Correre Baby, che è una di quelle che Mimmo interpreta con molta grinta e mi piace sempre, anche quando la canta di mattina che cantare di mattina è bestiale, Il giorno più difficile, Aria di famiglia, Tango dietro l’angolo, che lascia alla fine perché lo fa scatenare troppo. Questa notte è dedicata à Toi, si si, questa e le altre tre che verranno, per la gioia di chi sarà presente.

Finito, dopo Tango, ciao, ma il pubblico vuole il bis. Siamo fortunati, un’altra che lo scatena e ci scatena, Buoni propositi, con quell’urlacchietto finale che sembra il verso di un gallo e che mi farà arrivare oltre che alla camicia di forza, all’elettroshok.

Finisce e le conclusioni mi lasciano sempre un po’ di malinconia, anche se a una fine seguirà sicuramente un altro inizio, e la malinconia cederà il posto a un altro stato d’animo. Mi allontano verso l’uscita, ma prima mi fermo ad acquistare una cosa per cui lo scorso anno avrei dato oro: il famoso (per me che gli ho dedicato qui dentro ampio spazio) libretto Il giardino incantato. Lo compro anche perché anche parte del ricavato della vendita dei CD e libri andrà ad Operation smile, e Mimmo lo ricorda in sala. Ora non dico che non mi interessi più possederlo (leggerlo di nuovo subito subito, no, lo so a memoria) ma insomma, continua a verificarsi in questo ambito, che rappresenta un po’ l’andamento generale, questo fatto: le cose arrivano quando hai perso la speranza di poterle avere e po’ ti sei rassegnato…

Non so se il Cantante si sia concesso al pubblico rimasto: in genere si fa. Molti sono andati via, anch’io questa volta non ho atteso. Mi sembrava di sentire aria di festa, e molta molta aria di famiglia, e di amicizia. Era tardi, questa volta i rimbrotti di stomaco d’artista non li ho sentiti, ma li ho immaginati. Trattenerlo mi sarebbe sembrata una cosa poco opportuna, anche se fa parte del gioco che l’artista si congeda un po’, anche dopo. Io sono stata felicissima del prima, ma felice davvero. A Torino, la prima volta è stata una cosa completamente diversa, diverso il concerto, diverso il mio coinvolgimento, diverse le sensazioni. A Roma, la seconda volta, tutta un’altra storia.

Meglio la prima o la seconda? Meglio mamma o papà? Meglio la medicina o la musica? Meglio cacio e pepe o ribollita toscana? Meglio andarlo a salutare o andare via? Ciascuno si dia la risposta che crede... Una sola cosa voglio confidare ai miei lettori: non so come mai, ma sia a Torino che a Roma ho trascorso una notte insonne, di quelle in cui si contano le pecore e non cambia nulla. Io ho contato tutte le pecore sarde e anche le loro sorelle abruzzesi. Erano così tante che alle sette ero ancora sveglia. Le ho mandate a pascolare, e ho lasciato il letto sconosciuto. Un’altra avventura si è conclusa, ma sento che la mia, forse, continuerà.

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