E vola vola vola
e vola lu cardille
nu vasce a pizzichille
né mi le può nega'
Vola vola, canto popolare abruzzese (Dommarco, Albanese)
Vola vola vola nin ti pozz’ auardà
Chiuse dentr’a ‘sta gabbie
Senza puté vulà
A cantà sempr’ a cantà
Ma che cante senza la libbertà
Vola vola vola, di Mimmo.
Vola il pavone e vola il cardellino
Vola il pavone e vola il cardellino
Se vai cercando un sassolino d'oro
Vedi che nel mio cuore ce n'è uno
Che se lo trovi non ti pare vero
Se vai cercando d'oro un sassolino
Vola il pavone e vola il cardellino
Volavola, di Francesco
Lo spunto per lo scritto odierno mi è offerto da uno spettacolo che si terrà a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, nell’ambito delle manifestazioni dell’Ottobrata romana, il primo di ottobre. Il titolo, Vola, vola vola, mi ha suggerito immediatamente un proverbio, “Chi la fa l’aspetti” in riferimento all’abitudine di Mimmo, di cui ho parlato in tante occasioni, e sulla quale sovente si sofferma scherzosamente anche lui, di far propri titoli di opere altrui. In questo caso, per una volta, altri hanno utilizzato il titolo di una sua canzone, ma la citazione assume un senso più ampio in relazione al noto canto popolare abruzzese, Vola vola, perché lo spettacolo è imperniato proprio sulla tradizione musicale popolare. Ammesso che sia stato cercato, il riferimento a Mimmo, più che un plagio, lo interpreto come un omaggio affettuoso a un amico, forse (chissà) con una punta di ironia proprio per la sua ben nota abitudine. Lo spettacolo, infatti, vede protagonisti due amici di Mimmo, Francesco e Ambrogio, che hanno avuto la bella idea di collaborare (non è la prima volta, vedi La Notte della Taranta) usando come malta la comune passione per la musica popolare. Francesco canterà canzoni del patrimonio popolare, e anche canzoni del suo repertorio con un arrangiamento particolare, e con l’accompagnamento di strumenti della tradizione suonati dallo stesso Ambrogio, musicista di talento e studioso di musica popolare, e dai componenti dell’Orchestra da lui diretta. In casi di spettacoli come questi, e anche in molti altri, a dire il vero, non posso non soffermarmi sulle possibilità che offre vivere in una grande città con un’offerta culturale alta, e sui limiti, almeno da questo punto di vista, della vita in una città non grande, per di più separata dal mare.
Per maggiori dettagli sull’evento, come al solito, inserisco dei link
http://www.auditorium.com/eventi/5066854
http://www.auditorium.com/eventi/4950478
Francesco lo andrò a sentire sicuramente nel suo concerto in un club qui vicino, i primi di novembre (dopo un primo breve momento di delusione per la cancellazione del suo concerto alla Fiera, sono stata felice dell’inserimento di Cagliari nel “Tour dei club”) mentre rimane un mio desiderio, in fondo realizzabile prima o poi, di assistere a qualche spettacolo di Ambrogio, magari una prossima edizione della Notte della Taranta. Mimmo lo vorrei sentire sempre, e in particolare mi attraggono i suoi prossimi impegni: il concerto al Teatro Valle occupato e la lezione-concerto in una università rumena. Ho la quasi certezza che anche in questi due casi dovrò soffrire fortemente della sindrome dell’esclusa che mi coglierà senz’altro, in quelle date. Mio desiderio “estremo” sarebbe vederlo ospite del nostro ateneo proprio per una lezione-concerto.
Tornando alle ali, al desiderio e alla capacità di volare, al dolore di non riuscire a farlo, perché non ne siamo più capaci, o perché ce lo impediscono, e non so quale sia la circostanza peggiore: in principio fu Vola vola, canto popolare abruzzese per eccellenza. L’autore dei versi è Luigi Dommarco, la musica è del maestro Guido Albanese. Scritta nei primi anni venti, partecipò alla Maggiolata abruzzese, rassegna e concorso di musica popolare, e molti anni dopo, quando ormai era diventata famosa anche oltre i confini, al Festival della canzone italiana a Parigi, nel 1953. Mimmo si è ispirato a questa canzone, e ha aggiunto un vola nel titolo, quando ha composto quello che a buon diritto definisce il suo inno alla libertà contro ogni bieca tirannia, la sua unica canzone in dialetto, un abruzzese medio, come lo ha definito lui, comprensibile in ogni landa d’Abruzzo. La canzone, lo sappiamo tutti noi che lo seguiamo, ma lo ripetiamo, è nell’album Piano piano del 2004. Mimmo si commuove sempre quando la canta, ancor di più da un certo momento in poi - e non occorre sottolineare perché – pensando all’Aquila.
Francesco ha composto anche lui una canzone intitolata Volavola, che trova posto nell’album Per brevità chiamato artista, del 2008. L’Abruzzo è nei suoi ricordi d’infanzia: da bambino ha vissuto a Pescara, dove il padre Giorgio ricopriva l’incarico di Soprintendente bibliografico per L’Abruzzo e il Molise. Di recente ho letto un libro che mi ha molto toccato, intitolato La mia vita tra le rocce e tra i libri, in cui Giorgio D.G. ripercorre le tappe della sua vita professionale e anche familiare, con piccoli e discreti riferimenti affettuosi al figlio divenuto celebre. Un uomo d’altri tempi, di quelli di cui davvero oggi, come si usa dire, è andato distrutto lo stampo, un esempio di dirittura morale e rigore professionale, nel lavoro autorevole e non autoritario, capace di delicati e teneri sentimenti. Prende atto dell’avvenuto cambiamento di rotta in una famiglia in cui prima la vocazione, per molti componenti, era tutta bibliotecaria (anche se c’erano attitudini musicali in alcuni: c’è poco da fare, è tutto già scritto). Da bibliotecari a cantautori il passo può essere breve, e le due cose possono, per un certo periodo, perfino convivere, come nel caso del primogenito Luigi, finché la biblioteca comincia a stare un po' stretta.
Concludo con una riflessione un po’ amara, a proposito del desiderio di volare, inteso come anelito di libertà e raggiungimento delle proprie aspirazioni, ma anche come capacità di provare entusiasmi e passioni; a volte questo desiderio, che è anche un'urgenza, è frustrato da circostanze esterne, altre da qualcosa dentro di noi che ci rende incapaci di librarci, prigionieri di sabbie mobili interne che ci vietano anche il più piccolo tentativo di volo. Mi serve per esternare quello che talvolta è anche un mio stato d’animo, ma anche per rendere omaggio a una canzone bellissima, Canzone per l’estate, scritta tanti anni fa da Francesco e Fabrizio, e pubblicata all’interno del notissimo Volume 8, del 1975.
Quelle dei due artisti sono due interpretazioni totalmente diverse. Le ascolto entrambe senza voler ne’ poter fare un inutile confronto, ma mi sembrano davvero due canzoni diverse. La versione che al momento attuale riesce a suscitare in me emozioni più intense, è quella che Francesco ha proposto nell’album Amore nel pomeriggio, (anche questo titolo mi suggerisce qualcosa...) del 2001. La ascolto spesso. “Com’è che non riesci più a volare”… mi domando talvolta e so, per fortuna, trovare una risposta. Fare la diagnosi esatta è un passo fondamentale per curare meglio la malattia. Spero di riuscire a volare ancora a lungo, con gli inevitabili atterraggi di fortuna, a volte necessari per poter poi ripartire al meglio .
Ecco testo originale di Vola vola
Vulesse fa’ ‘revenì pe’ n’ora sole | |
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E vola, vola, vola, vola, vola | |
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‘Na vote pe’ spegnà lu fazzulette, | |
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E vola, vola, vola, vola | |
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Come li fiure nasce a primavere, | |
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E vola, vola, vola, vola | |
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Nà vota 'r'na pupuccia capricciosa, | |
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E vola, vola, vola, vola Ed ecco la traduzione | |
il tempo bello della contentezza,
quando giocavamo a vola vola
e ti coprivo di baci e di carezze.
e vola il pavone,
se hai il cuore buono
ora fammici riprovare.
sono stato condannato a baciarti.
Tu ti sei fatta rossa e mi hai detto
d’inginocchiarmi prima e d’abbracciarti.
vola il gallinaccio,
ora se ti guardo in faccia
mi pare di sognare.
l’amore nasce dalla fanciullezza.
Maria, se mi vuoi bene come ieri,
non togliermi questo sogno e questa speranza.
e vola il cardellino,
un bacio con pizzicotti sulle guance
non me lo puoi negare.
portavi le trecce appese ed il frontino,
ora ti sei fatta seria e vergognosa,
ma quegli occhi mi tormentano ed mi ammaliano.
e vola la ciaramella,
per un'ora così bella
vorrei sprofondare.