Lettore, non spaventarti e non mollare dopo le prime dieci righe... un po' di pazienza e poi si parla di Mimmo: dulcis in fundo.
Si è fatto un gran parlare, nei giorni scorsi, di un compleanno importante, che riguarda la band forse più celebre al mondo: The Beatles. Il 5 ottobre del 1962 usciva infatti il loro primo singolo, Love me do. Come era prevedibile, radio, stampa, internet hanno dato molto risalto a questo cinquantesimo anniversario. La trasmissione radiofonica Caterpillar AM, che ascolto di primo mattino mentre mi preparo per uscire, ha chiesto agli ascoltatori di indicare la preferita tra le canzoni dei Beatles: gioco altrettanto prevedibile, ma evidentemente irrinunciabile.
Ho provato a riflettere, e, considerando che non le conosco tutte, me ne sono venute alla mente almeno una decina, di potenziali preferite. Una però in particolare, affiora subito alla mente, se, come al solito, scelgo di affidarmi al flusso di ricordi e di emozioni, e non ci ragiono su troppo. Mi rendo conto che proprio una canzone dei Beatles è più di altre nel mio cuore, non solo perché è forse il primo ricordo musicale certo, quello che sono davvero sicura di ricordare autonomamente, e non in maniera indotta, ma soprattutto perché l’ascolto mi suscitava un particolare tipo di emozioni del tutto nuove. Era il 1966, forse i primi del 1967, avevo sei anni, e dalla fonovaligia di legno del mio fratello maggiore, Michele, che aveva quindici anni più di me, uscivano le note di questa canzone dolcissima e romantica, di cui non capivo una parola, ma, non so dire se sia stato davvero così, oppure se ho attribuito a quel tempo lontano sensazioni di molto posteriori, mi catturava completamente. Si trattava di Michelle. Sono quasi certa che si trattasse del 45 giri, e non del 33 che lo contiene, Rubber soul, uscito il 3 dicembre del 1965 e registrato in un tempo brevissimo tra l’ottobre e il novembre dello stesso anno. Perché ho questa convinzione? I 45 giri a casa erano in quantità maggiore rispetto ai 33, e poi non ho ricordi, legati a quel tempo, di altre canzoni dei Beatles. Ascoltavo Michelle e anche se non ero in grado di capire, qualcosa intuivo. Chiedevo cosa significassero quelle frasi misteriose e qualcuno mi tradusse il famoso ritornello, e mi disse che la canzone era un po’ in francese e un po’ in inglese, e che I love you vuol dire ti amo. Ora entrano in ballo sentimenti e ricordi molto personali che qui posso solo sfiorare. Mi piacerebbe ci fosse ancora, la fonovaligia di Michele, e tutti i suoi dischi, che non ci sono più, come non c’è più lui. Veramente so che fine hanno fatto molti dei suoi dischi. Era generoso e li prestava agli amici. Uno in particolare, non seppe fare altro che lasciarli abbandonati sulla cappelliera della sua macchina, al sole. Mi ricordo il ritorno a casa di tutto quel vinile accartocciato, ormai inservibile.
Di li a poco, emula di mia sorella che ne era una grande ammiratrice, mi innamorai follemente dei Rokes. Scrivevo i nomi dei componenti del gruppo, sotto le sedie di cucina, con le matite colorate: Shel rosa, Mike celeste, Bobby verde e Johnny, che a me bambina sembrava il più bello, giallo. Romantici colori pastello. Il buongiorno si vede dal mattino. Mamma tentava di ripulire e io da capo, a scrivere nomi e aggettivi scelti con cura per ciascuno. Ancora adesso si affacciano alla mente frammenti di canzoni dei Rokes, (poi ho scoperto che alcune che mi piacevano molto erano cover) ma altri frammenti, quelli delle canzoni di Mimmo, hanno quasi monopolizzato tutta la memoria disponibile e non permettono al resto una lunga permanenza: i Rokes si affacciano e vanno subito via, risucchiati dal vortice del tempo, con i capelli lunghi, le giacche aderenti e le chitarre dalle forme strane, disegnate da Johnny.
MIMMO E I BEATLES
Sempre, quando ripercorre la sua storia musicale, cita "l’incontro" con il gruppo inglese come una svolta epocale, qualcosa di dirompente, innovativo, capace di fargli prendere, seppur ragazzino, decisioni importanti, come quella di abbandonare lo studio del pianoforte classico e di percorrere con entusiasmo strade nuove. Lo stimolo per iniziare a suonare insieme con altri ragazzi, nei famosi complessini beat degli anni sessanta, nacque proprio sull’onda dell’enorme successo dei quattro ragazzi di Liverpool.
Non è solo Mimmo, a dire il vero: quasi tutti gli artisti, in particolare della sua generazione, ma anche di generazioni diverse dalla sua, citano i Beatles, come fondamentali nella loro formazione. Qualche fortunato che potè assistervi, poi diventato noto, traccia un ricordo entusiasta e ancora vivo del piccolo tour italiano del 1965, che toccò Milano, Genova e Roma. Il quindicenne Carlo Verdone, (cito lui perché è una lettura recentissima, lo racconta nel suo libro La casa sopra i portici) ci andò col padre, che volle regalare al figlio un’emozione bellissima, rimasta indelebile negli anni.
Nei “famosi cento dischi della vita” di Mimmo, c’è Imagine di John Lennon nella categoria cantautori rock e ci sono ben quattro album dei Beatles nella categoria band:
Revolver (1966)
The white album (per via della copertina completamente bianca, con la sola scritta The Beatles) del 1968
Rubber soul citato prima, del 1965.
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band del 1967.
Li ho riportati nell’ordine in cui li riporta Mimmo, che non tiene conto della successione cronologica. L’anno l’ho aggiunto io: I Beatles, oggi diremmo per fortuna, erano molto prolifici. Sgt Pepper’s… è, continuando a parlare di classifiche, al primo posto in quella voluta dalla rivista Rolling stone, tra i cinquecento album più rappresentativi di tutti i tempi. Non solo, ma tra i primi posti nella stessa classifica ci sono anche altri album dei Beatles.
La scelta di Mimmo parla da sola, non ha bisogno di ulteriori commenti.
Per concludere: immagino che qualche altro fan di Mimmo, oltre me, abbia acquistato la rivista Suono di settembre, che contiene la famosa intervista che ora si trova anche sul sito. (Secoli che non aggiornava la sezione interviste, si vede che questa è molto nelle sue corde.) In tal caso avrà visto che, prima del servizio su Mimmo, ne appare un altro molto interessante, dedicato a Paul McCartney, con relativa intervista e belle immagini. A me è sembrata una bella coincidenza. E poi anche Paul, splendido settantenne snello e con i capelli (un po’ troppo) scuri, dichiara che in fondo, ciò che più conta, è l’amore. Come Mimmo.
Concordo, è proprio vero, ciò che più conta è l’amore, in ogni sua manifestazione, quello cosmico, teorico, grande e nobile, ma anche quello che si estrinseca nei fatti, perfino in quelli minuti e quotidiani, nei gesti, negli sguardi: le parole da sole non bastano; a riempirci la bocca della parola amore siamo capaci tutti, metterla in pratica è assai più complesso.
Anche io ho un ricordo di "Michelle, ma belle" ambientato in quella stessa casa ma di qualche anno successivo.
RispondiEliminaNon so se ho ascoltato lo stesso disco citato dalla nostra evocatrice di ricordi.
Ricordo con certezza, però, di averla sentita cantare dalla stessa ragazza che ora racconta di averla imparata quando era bambina.
Per me "Michelle" è indissolubilmente legata a questo ricordo.
mari
"Tu avais à peine quinze ans/ Tes cheveux portaient des rubans/ Tu habitais tout près/ Du Grand Palais..." Sarà stato il 1975, o il 1976, e in quella stessa casa tanto amata, che ora ancora vive nei sogni, una ragazzina cantava una canzone intitolata "Michèle", di un cantante francese chiamato Gerard Lenorman. La bambina invece ascoltava "Michelle" dei Beatles, senza osare cantarla perchè si vergognava. Il disco ai nostri tempi non esisteva più. Poi confronteremo i nostri ricordi. Scherzi della memoria.
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