Non mi sono ancora stancata di
portarmi a casa libri, scritti da qualcuno che ha conosciuto e frequentato il Cantante,
nella speranza di trovare qualche altro tassello da aggiungere alla mia opera in divenire. Al di là di questo,
non considero in ogni caso questa attività di lettura tempo perso, perché in
genere si tratta di testi scorrevoli, molto veloci, che implicano uno stadio di
concentrazione bassissimo, e che anche nella peggiore delle ipotesi, fatta
salva la soddisfazione di una blanda curiosità non sempre riferita all’autore,
ma all’ambito in cui si muove, mi insegnano qualcosa di nuovo. L’ultimo libro
letto in poche ore, tra tragitto in pullman e attesa del sonno, è di un
cantautore assai noto, uno di quelli che mosse i primi passi nel locale romano
entrato nel mito, in cui ormai mi sembra di essere stata e di cui sento nelle
narici l’odore caratteristico così ben descritto, per quante testimonianze ho
raccolto. La prima cosa che ho fatto, dopo aver annusato il libro e letto le primissime pagine, è stato andarmi a
cercare quelle testimonianze, perché non potevano non esserci. Dei giovani
cantautori di quegli anni sono citati in particolare i "quattro" più uno, fratello maggiore
di un altro, poi ampio risalto è dato a nomi rappresentativi del folk e della
canzone impegnata del tempo (e non solo) e a prestigiosi artisti stranieri che
vi passarono, nonché agli intellettuali, con cui, racconta l’autore del libro, c’era
un continuo scambio e confronto. Il mio Cantante, che protagonista lo fu a
tutti gli effetti, magari qualche anno più tardi rispetto alla nota “banda dei
quattro”, no. A onor del vero, non sono citati neppure alcuni altri che forse
avrebbero avuto diritto di cittadinanza, ma io non mi occupo di loro, pertanto,
come al solito, quando mi pare che sarebbe stato opportuno e doveroso citarlo, Mimmo,
se non per amicizia per rigore di informazione, visto che non mi pare di
secondo piano il suo ruolo nel panorama musicale italiano, vesto subito i panni
della paladina. Mi viene proprio spontaneo, certo per affetto e per istinto
protettivo, ma soprattutto perché l’esigenza di un profondo senso di giustizia
mi è connaturata.
Ho notato questa dimenticanza nei
suoi confronti, forse solo casuale(?) in
diverse occasioni, e non solo in relazione al luogo mitico. In genere non
riscontro molta generosità in questo ambiente artistico, seppur illuminato,
ma, più spesso, piccole o grandi invidie e rivalità, una buona dose di
permalosità, e quantità variabili, ma comuni a quasi tutti, di narcisismo
condito di qualche atteggiamento
divistico. Forse è normale che sia così, magari sono io un po’ ingenua e molto
fuori da certi meccanismi, che, d’altra parte, sono comuni a molti altri ambiti
professionali e insiti nella natura umana.
Tornando al libro, di cui non
fornisco autore e altri dati, peggio per lui che non ha citato Mimmo, ho
trovato però certo un humus comune, anche questa volta. Stessi ricordi
collettivi, o ricordi simili, stessi aneddoti, raccontati in modo neppure
troppo diverso. Stesso clima, stesso senso di appartenenza. Simili anche le
problematiche e le criticità riferite alla casa discografica del tempo, con
scontri e allontanamenti dovuti a decisioni imposte, spesso ad insaputa degli
interessati, ragazzi con le idee ben chiare sul rispetto dei loro diritti e con
una chiara coscienza di sé in quanto artisti, e, ça va sans dire, scontenti di avvalersi della
collaborazione, anch’essa imposta, dei musicisti turnisti.
Se si effettua una rapida
ricerca, si trovano delle foto, relative al locale romano, tutte dello stesso
autore, che ci fanno entrare nell’atmosfera del luogo e del tempo. Barbe,
chitarre, capelli lunghi, jeans e camicie aderenti, c’è anche Mimmo. Una foto è
molto nota, ed è quella sul trespolo, con la chitarra. Nello stesso archivio ce
n’è un’altra, più recente, in gruppo: una scacchiera, due concentrati
giocatori, una bottiglia, e in piedi, un trentenne, molto elegante nel suo
abito color foglia d’autunno, completato da camicia chiara e cravatta sottile,
che potrebbe avere funzioni di osservatore di garanzia. Peccato per quei
capelli sempre un po’ incolti: io, oltre che avere un profondo senso di
giustizia, ed ergermi a paladina di signori che non ne hanno davvero bisogno,
presto attenzione ai dettagli frivoli e sono un po’ fissata con capelli in
ordine. Questo non mi impedisce di andare oltre e dare maggiore importanza a
quello che c’è, dentro una testa, quando c’è: dentro quella del Cantante c’è
materia, grigia e colorata, molto interessante. Per questo e per la voce che
ha, si merita tutto questo dispendio di caratteri. Chi è causa del suo mal,
pianga sé stesso.
Mi domando leggendoti che cosa realmente ci sia nella tua, di testa... non so davvero capire dove sia il confine tra "l'esserci" e il "farci".
RispondiEliminaNon lo so nemmeno io, ormai non c'è confine: i due aspetti sono confluiti l'uno nell'altro.
RispondiEliminaIo spero che ci sia un po' di sale, in zucca, ma spesso sento solo la presenza di una massa sciropposa, e la sento agitarsi.
Ciao e grazie.