Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

giovedì 14 gennaio 2010

COSA RESTA DI "QUELLO CHE CI RESTA"?



Mentre Mimmo Locasciulli appare saldamente ancorato al suo presente artistico continuando la presentazione di Idra (ci sono in programma per il mese di gennaio due concerti in due punti della penisola distanti tra loro, il primo, il 20 a Rende in provincia di Cosenza, il secondo, il 26, a Bologna) e già, forse, scrive nell’agenda della sua memoria e in quella del suo cuore, e magari su qualche taccuino di carta (sul computer mi pare di aver capito che non scriva le sue sensazioni in embrione) appunti che potrebbero trasformarsi in nuove canzoni, io cosa propongo? Un salto indietro nel tempo di trentatré anni, che mi catapulta nel lontano 1977. Mi basta chiudere gli occhi per sentire la musica, respirare l’atmosfera e i profumi di quell’anno che per me è stato molto particolare, nel bene e nel male. Qui però l’attenzione è rivolta ad un’altra persona: come è giusto che sia, le luci del palcoscenico sono puntate su di lui.

Nel 1977 Mimmo era un giovane medico di 28 anni, che muoveva i primi, ma non primissimi, passi nell’ambito della chirurgia: insomma era già abbastanza esperto col bisturi. Che altro c’era nella sua vita oltre le bianche corsie? Forse la scuola di specializzazione, di sicuro la musica, i locali in cui si esibiva, un’occhio attento a quello che accadeva intorno, che erano anni particolari, e, fatto nuovo nella sua vita, e molto molto coinvolgente, una musica nuova, in casa, quella del pianto e delle risa del primo bambino. Insomma era abbastanza impegnato e aveva tutti i numeri per essere contento, direi.
Proprio nel 1977 Mimmo pubblicava il suo secondo album, il primo con la RCA (ripassare non guasta mai: il primo in assoluto era Non rimanere là, uscito con l’etichetta Folkstudio nel 1975) intitolato Quello che ci resta. Oggi mi sto imbarcando in un’impresa da poco: scrivere di un album che non ho mai sentito. Ho letto i testi delle canzoni, di una di esse ho già parlato nel post, che in realtà avrebbe dovuto avere un seguito e ancora non l’ha avuto, sulle figure femminili nelle canzoni di Locasciulli. Mi riferisco a Canzone per Nadia. L’unica canzone che ho ascoltato è Alone che Mimmo ha riproposto in Delitti perfetti. Non pensavo fosse un brano così lontano nel tempo. L’album non si trova in vendita, (almeno io non ne ho trovato riscontro, potrebbe apparire qualcosa su E-bay, come di tanto in tanto succede con vecchi album di Mimmo) le canzoni a parte Alone appunto, non sono state riproposte in raccolte, o inserite in pubblicazioni successive. Immagino siano pochissimi quelli che possiedano Quello che ci resta. Mi piacerebbe sentirlo, per avere un quadro completo. Credo che ormai sia un pezzo da collezionista; ce n’è una gran quantità, di appassionati del vinile: tra loro magari ci sono anche estimatori di Mimmo e custodiscono il disco gelosamente. Ho letto le poche recensioni che ho trovato su questo lavoro. E qui devo prendere in prestito concetti non miei, anche se rielaborati: un passo avanti rispetto al precedente disco, questo è più completo e più maturo, ci sono fior di musicisti, (che non cito, al solito rimando al sito) piccole storie, ma anche un’attenzione al sociale, oltre che alle origini e ai ricordi. Una voce non tanto curata, ma interessante. Cosa me ne importa della voce curata? Da un punto di vista strettamente tecnico poteva essere e può esser vero, non è certo difficile trovarne anche numerose, anche tra cantanti non professionisti, di voci tecnicamente ineccepibili, senza però nessuna personalità, senza però nessuna capacità di far scaturire emozioni. Il fatto è che la sua voce ha caratteristiche uniche, e quando la ascolti ti smuove qualcosa dentro. Io questo l’avevo capito subito, quando sentivo alla radio quel giovane uomo, che ora definirei ragazzo, che cantava di fili di fumo, i ricordi, che bruciano gli occhi, di cappelli calati sugli occhi e tanta gente ancora da incontrare (e tanta ne avrebbe incontrato, negli anni a venire, e alcuni incontri sarebbero stati davvero fondamentali) ed ero stata catturata dalla voce e dalla canzone senza neppure sapere ancora chi fosse, come si chiamasse.
Un album di cui si parla poco; neppure l’autore ne parla, se non per ascriverlo al periodo folk della sua prima produzione, in cui inserisce anche Non rimanere là, quando gli chiedono quali e quanti siano i periodi, i momenti della sua produzione, e da cosa siano caratterizzati. Non so se Mimmo canti ancora nei suoi concerti qualcuna di queste canzoni. Da quel poco che ho letto, non tanto nelle due recensioni dell’album che ho trovato, ma in quello che è stato scritto dopo a proposito della produzione del secondo “momento” artistico di Mimmo, dal 1980 al 1983, da Quattro canzoni di Mimmo Locasciulli a Sognadoro passando per Intorno a trent’anni, appunto, per evidenziarne il superamento e la maturità acquisita, mi pare di capire che Quello che ci resta fosse considerato un album un po’ “pesante” troppo “cantautorale” e non nel senso migliore del termine, un po’ serioso insomma, anche se meno dell’album di esordio che, evidentemente non capisco nulla, a me, nella sua presunta pesantezza, possibile ingenuità, essenzialità musicale, piace e mi commuove anche un po’(commozione interna, niente lacrime). A una giornalista Quello che ci resta piacque (Maria Laura G. Giulietti che lo recensiva per Ciao 2001) e ne diede un lusinghiero giudizio: Un disco fiabesco, forse incantato. Non posso esprimermi se non per quanto attiene alle sensazioni che mi hanno suscitato le parole dei testi letti, e come al solito io sottolineo sempre la non tecnicità dei miei giudizi, che mi piace di più definire semplici riflessioni. Certo ribadisco che anche fare delle semplici riflessioni su testi di cui non si conosce la melodia e l’interpretazione è sicuramente un azzardo, (tutto questo blog un po’ lo è, giocato sul filo dell’azzardo, a partire dalla scelta del destinatario e del modo in cui è costruito) ma con questo, come al solito lungo scritto, ho voluto portare l’attenzione su un lavoro che mi pare, forse ingiustamente, dimenticato.
Forse non è un’operazione del tutto corretta neppure quella di estrapolare dei versi dalle canzoni, ma è da intendere come omaggio, e non come mutilazione.

Le canzoni d’amore sono tre, la title track appunto, che parla in maniera molto delicata di un amore finito, e si domanda quello che resta quando un amore finisce, (se si è fortunati e qualcosa resta che non sia la sofferenza o il livore). Il rispetto, che Mimmo auspica nelle ultime interviste, in cui glielo domandano in riferimento ai versi di Lucy, mi pare cosa alquanto rara.
Nel caso nostro, rimaniamo senza risposte: si sa solo cosa non sia “quello che ci resta”.

Quello che volevo me l’hai dato
Tu chiedevi ed hai trovato
La risposta che aspettavi
Quello che ci resta
Non è solo un alibi del tempo
Non è solo un’ eco
Nella sera

La suggestiva Alone che sembra anch’essa far riferimento a un amore passato cui si guarda con un po’ di rimpianto, e un po’ di rassegnata curiosità per ciò che aspetta lei alla fine della storia. (Dove sarai domani?)

Se tu mi avessi avuto
Se tu mi avessi dato un po’ di più
Ora la tua cometa
Non sarebbe la tua cella

Infine Il rosso del mattino, in cui appare uno dei temi da sempre cari a Mimmo, la notte, che qui stranamente ha una valenza negativa, perché l’amata sembra averne paura. Al "lui" della canzone non resta che rasserenarla con la certezza che un nuovo mattino di lì a poco sorgerà..

Il cielo adesso è già più grande
(La tua promessa è più sincera)
Il cuore è in pace
La paura è più lontana
La notte è vinta e muore
Al giorno nuovo che verrà

Dove va la stagione ci immerge in un tempo senza tempo, immutato da secoli, di una vita in mezzo alla natura, difficile, ma anche bella, forse solo per chi la osserva dall’esterno, e non per chi la vive. Parla della vita dei pastori, qui un padre e un figlio bambino dietro un gregge, con tanto tempo per pensare e sognare ciascuno i propri sogni.

Una sera che il padre
Disteso alla fiamma e alla fonte diceva
"Eh! Potessi arrivare almeno una volta
Alla schiuma e alla brezza del mare"
Lui sognava la tromba e la banda al paese
E una casa davvero e la figlia di Pietro
Teresa dai riccioli d’oro

Al fiume mi sembra a una lettura senza ascolto una canzone difficile. A chi l’ha recensita è piaciuta molto la frase E datemi solamente un’ora da ricordare,/ Sarà la mia fortuna. A me piace di più Cuore di falco e denti stretti alla fatica/ Sono la mia salvezza.
Mimmo è affezionato all’espressione Cuore di Falco, che ritroveremo qualche anno dopo in Piccola luce.

La mia gente se ne va fa riferimento ai conterranei di Mimmo costretti a lasciare con dolore la propria terra per riuscire a sopravvivere.

La mia gente se ne va
Resta un’eco che non fa rumore
Resta un’ombra di dolore
Che nessuno mai cancellerà

Il tema dell’emigrazione è trattato anche nella Canzone a mio nonno. Il nonno di Mimmo, partì in America e ci stette trent’anni per poi tornare a vivere in patria. Un tema che evidentemente ha molto toccato la sensibilità del Nostro, siano i migranti gli Italiani del passato, anche di un passato relativamente recente costretti a subire angherie e discriminazioni, siano i migranti i disperati e gli ultimi che da qualche decennio raggiungono le nostre coste, o quelle di altri paesi ricchi, o considerati tali, e si trovano a subire angherie e discriminazioni da molti Italiani che pur avendolo vissuto, quel passato hanno dimenticato. Questo discorso si potrebbe ampliare, anche se molto è stato scritto e detto, in riferimento a Idra.

Mimmo è stato a Ellis Island a visitare i luoghi teatro dei primi contatti degli immigrati negli Stati Uniti, con le regole ferree e con i sistemi non troppo umani con cui venivano accolti. Credo che una certa sensazione gli abbia procurato vedere le “gabbie” dove i migranti erano lavati e disinfettati al loro arrivo; una pratica collettiva alquanto umiliante, e non credo si trattasse di confortevoli docce calde e di schiume profumate. Quella della doccia è una costante quando si vuole “marchiare un vinto”. Troppo facile sarebbe il parallelo con le docce gelate che accoglievano gli “ospiti” dei campi di concentramento, anche questi da marchiare e da disinfettare, quando non da sopprimere immediatamente. Sentire Mimmo parlare delle sensazioni provate durante la (o le) visite a Ellis Island, mi ha fatto venire immediatamente in mente la scena di un film, dove allo stesso violento e umiliante rito delle docce collettive, effettuate con potenti getti d’acqua mista a disinfettante, vengono sottoposte le povere nuove schiave del sesso di questi anni, portate spesso con l’ingannevole promessa di un lavoro d’immagine ben remunerato, in un paese ricco, e ridotte invece a prostitute-schiave che non possono neppure gestire i loro guadagni, anzi neppure li vedono. Il film in questione si intitola Promised Land, (2004) del regista israeliano Amos Gitai, e racconta in modo crudo e sconvolgente, che colpisce con la stessa intensità violenta di un pugno nello stomaco, la vergognosa tratta di giovani, belle, e anche illuse ragazze dell’est, convinte di andare in un paese ricco a fare la bella vita, e finite, moderne schiave, in Israele, vittime di un traffico losco ordito con la complicità di avventurieri sia Israeliani sia Palestinesi, che trovano un punto d’incontro proprio in un lucroso progetto criminale comune. Il film di Gitai è pur nella sua crudezza, di rara bellezza. Accomunano gli immigrati di inizio secolo alle schiave del sesso del nuovo millennio, al di là della pratica delle docce, l’appartenenza al mondo degli ultimi e degli oppressi; per fortuna molti immigrati italiani (e non solo) negli Stati Uniti, a costo di molte umiliazioni, molto lavoro, e una certa dose di fortuna sono riusciti a farcela, e, se non loro, i figli, a ottenere ruoli di prestigio.
La cronaca ci racconta quanto sia difficile per le ragazze riuscire a fuggire e a ribellarsi.
Il nonno di Mimmo credo fosse quello che suonava il mandolino; immagino fosse il padre di suo padre e che questa propensione per la musica attraversi la famiglia per via patrilineare, ma non ne sono certa. La nonna cantante lirica che quasi quasi faceva nascere suo figlio (il padre di Mimmo) sul palcoscenico sarà la più bella della città cui si fa riferimento nella canzone? Perché ho sempre bisogno di avere tutta questa abbondanza di particolari e di trovare l’incastro perfetto del puzzle? In fondo sia nonno materno o paterno, non cambia la sostanza.

Ecco proprio Canzone a mio nonno, che non so se, a un eventuale ascolto, risulti per me la più bella dell’album, ma è uno dei non tantissimi esempi esplicitamente (non velatamente o probabilmente) autobiografici della produzione di Mimmo.


CANZONE A MIO NONNO Testo e Musica di M. LOCASCIULLI
© 1977 Edizioni Musicali BMG Ricordi / Jeans
Il giorno che mio nonno è ritornato
Qualcuno scommetteva "Non è lui,
Sembra diverso nello sguardo e nel sorriso
E quei gambali lui non ce li ha avuti mai"
Ma lui parlava e raccontava
E sorrideva con cordialità
"La nave è andata troppo piano,
L’America è una donna che non si stanca mai
Quando sei giovane ce la fai
Però in trent’anni mi ci sono massacrato
E mi sono consumato fino al cuore
E non ce l’ho fatta più
E poi la terra non si lascia"
(Giù bottiglie, giù risate e giù canzoni)"
No, la terra non si lascia
La terra è amica e non tradisce mai"
Un giorno poi mio nonno s’è sposato
S’è preso la più bella della città
Sempre fedele, sempre riservata
Senza pretese e senza tante vanità
Lei che rapita dalle sua cravatta americana
Gli ha dato la mano e gli ha detto di sì
E così lui se l’è portata via
Nel cielo nel vento nella primavera
E dopo la notte dopo il paradiso
Un po’ per usanza un poco per ingenuità
Lei gli disse "Adesso prenditi la mia vita
È giusto che appartenga a te"
Ma lui la prese tra le braccia
Dicendo "Tu sei il porto della mia pace
Ed io non voglio la tua vita
Mi basta solamente un po’ d’amore"
E adesso che mio nonno s’è invecchiato
Confonde le stelle coi ricordi di gioventù
Giorno per giorno qualcosa l’ha tradito
Un po’ come aspettare
Qualcuno che non verrà mai
Un po’ come svegliarsi nel cuore della notte
E sentirsi più soli in mezzo alla città
L’inverno gela anche i tramonti
Spezza corolle stempera colori
Piega le donne al pane e ai focola
iE gli uomini alle carte e alle osterie
E i cani silenziosi e desolati
A rincorrere perdute dignità
Ormai la vita l’ha lasciato
Alla sua ultima ragione
("Chissà se ho vinto o se ho perduto
ma quello che ho fatto
giuro che lo rifarei").

5 commenti:

  1. Sandra mi hai emozionato,è un pezzo oltre che interessante anche molto profondo.Mi piacerebbe vederlo ...(ML)chissà se verrà mai a trovarci .B

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  2. un'altra folgorata!!!! Ma è un'epidemia....condivido. sempre bei testi. Bravo Mimmo.
    pat

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  3. L'untrice sono io, e questo mi rende molto fiera.
    Certo,una maggiore diffusione del virus sarebbe auspicabile: io non demordo; uno dei casi della mia vita in cui sono stata più pertinace.

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  4. Ti faccio i miei complimenti: sei davvero brava!
    Piano piano leggerò i vari post.
    Io sono un "fortunato" possessore di "Quello che ci resta" che trovai, casualmente, in un negozio nel 1994, in versione cd che contiene anche il q-disc "quattro canzoni", produzione Hobo, distribuzione Polygram.
    In verità, "Quello che ci resta" è un album che non acolto quasi mai, in quanto legato ad un periodo della mia vita non proprio felice.
    Rispetto all'approccio cantautoriale/ amatoriale di "Non rimanere là", "quello che ci resta" inizia ad avere una "scrittura" leggermente più complessa e la presenza di vari strumenti che ne fanno il primo lavoro 'corale' di Mimmo. Le canzoni sono tutte molto orecchiabili, magari ancora con un'eccessiva presenza di elementi del mondo naturale, e nell'insieme rappresentano un deciso passo verso una certa maturità musicale che vede M. salire un altro gradino con "quattro canzoni", dove Piccola Luce lo pone all'attenzione del pubblico dopo la "scabrosa" Canzone per Nadia. Queste sono le mie impressioni. Magari non condivisibili.
    Spero tu possa trovare in giro il cd anche perchè nei concerti - ed io ne ho visti tanti - oramai non c'è più traccia alcuna di queste canzoni.
    Piumino

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  5. Che meraviglia trovare un commento così, caro...Piumino? Grazie, sono in brodo di giuggiole. Leggimi leggimi e lasciami commenti che Folgorata soffre un po' di "fobie da letto singolo" (da non intendere in senso troppo letterale, indovina la citazione.

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