Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

lunedì 25 ottobre 2010

SARÓ LA PRIMA A COMPRARLO!


Sono ancora una volta la donna più felice del mondo, e sapete perché? Un segreto che non dovrei svelare a nessuno, ma devo, devo, devo confessarlo, altrimenti potrei scoppiare di felicità (e mi viene in mente una scena del film dei Monty Peyton, Il senso della vita, non so come mai…), e perché non posso tenerla tutta per me, questa felicità: sono stata a casa di Mimmo Locasciulli, la casa di campagna, dove, si, ero già stata qualche altra volta, ma l’ospite nelle precedenti occasioni era stato un po’ meno generoso, mi aveva tenuta al guinzaglio; oggi invece, libera, mi sono “sguinzagliata” non dico dovunque, ma in diversi ambienti ho potuto girare liberamente e osservare con molta più calma e attenzione. Ogni passo una beatitudine, ogni oggetto una curiosità soddisfatta, ogni angolo una storia. Casa calda accogliente ornata vissuta, piena di oggetti, piena di colori, piena di tessuti, ma piena soprattutto di buon gusto. Il tanto, che è tanto davvero, non è troppo, almeno per me, che non amo per niente le case fredde, monocolore, minimaliste, ma detesto il fronzolo, il ridondante, il kitch.


Qui è tutto perfetto. Ci sono delle ceramiche bellissime, dipinte, colorate e bianche, o semplicemente di terracotta invetriata. Ci sono scatole di latta, quadri, stampe, una vecchia carta geografica ancora con la dicitura "Abruzzi Molise", utensili da cucina di tutti i tipi, molte fotografie; c’è l'angolino degli scacchi (Mimmo scacchista, gli avevo dedicato un ammiratissimo minuscolo post) dove gioca con il figlio (chi?) c’è una cucina che da sola è un capolavoro non solo per l’aspetto, ma soprattutto per la quantità di prodotti di qualità, (molti preparati dai padroni di casa, che producono anche la frutta, hanno le galline, hanno l’orto, per il quale, immagino, corra copiosa l’acqua…) perché - dice Mimmo - io sono un fanatico del mangiare. (Lo sapevo, anche prima di averne la certezza, o meglio, come dire, lo percepiva il mio sesto senso: perché io debba provare un simile interesse per qualcuno la musica da sola non basta, ci sono sempre di mezzo, cibo, vino e libri, testa e cuore e voce.)


Quello è il mio studio - dice indicando il suo regno, la cantina, dove produce il suo Montepulciano d’Abruzzo, che mi riesce abbastanza bene - aggiunge. Insomma, io non è non mi fidi delle alate parole di Mimmo Locasciulli, ma le mie papille gustative mi chiedono una conferma. Allora mettiamolo in commercio, questo Rosso Saraceno, Montepulciano d’Abruzzo, tenute Locasciulli, corposo, gradazione alcolica intorno ai 13°, rosso rubino con riflessi violetti, ottimo con primi robusti, arrosti, arrosticini, cacciagione, pecorini d’Abruzzo e non, l’importante che siano prodotti buoni, nel senso locasciulliano del termine, e cioè gustosi, sani e genuini.


La dispensa di casa Locasciulli trabocca di vasetti di olive, cipolle, verdure sott'olio, marmellate, miele, tutti molto invitanti e civettuoli con le loro etichette e cartine smerlate, e arnesi d’obbligo per ogni cuoco che si rispetti, coltelli, macchine tradizionali per preparare la pasta, tritatutto… E poi ancora una collezione di oggetti di rame, di ceste, ancora ceramiche e terrecotte. Mi domando, da donna che per lunghi anni ha collezionato oggetti, scatole di latta, portauovo, piatti e altri utensili di ceramica, e che da qualche tempo ha detto basta, chi si occupi della manutenzione di quella casa, chi spolveri, chi lavi, chi sposti e rimetta nello stesso modo quella enorme quantità di oggetti. Chiunque sia, padrona di casa, (ruolo comunque impegnativo di supervisione) o collaboratrice, ha il suo bel da fare. Una casa che necessita di cure continue.


Il pezzo forte di una casa che ha parecchi pezzi forti è un bellissimo e grandissimo mobile abruzzese da emporio, di legno scuro, si, proprio uno di quelli che, come spiega il padrone di casa, costituivano la colonna portante dei vecchi empori di paese, dove si vendeva di tutto, dalle candele al carburo, dai chiodi alle stoviglie, dai quaderni ai prodotti alimentari, che doveva contenere tutte queste cose. In via di estinzione, questi empori, ma qualcuno ancora resiste. Ci sono altri bei mobili antichi, c’è perfino una acquasantiera grande, di quelle che si trovano in chiesa. Un certo numero di poltroncine, con belle tappezzerie, di seggioline impagliate, di deliziosi angolini.
I mobili e gli oggetti sono stati scelti con gusto e passione dalla padrona di casa, e si vede, che c’è amore, lì dentro, e anche tanto tempo speso dietro a quella passione.


C’è il pianoforte, chiuso, per esigenze di famiglia, dice Mimmo sorridendo, diventato un ripiano dove alloggiano foto (una di Penne dei primi del secolo), scatoline di porcellana, forse c’è qualche uovo Fabergé, o se non c’è, ci starebbe bene, su quel piano, e altri oggetti ancora.


Poi c’è ancora l’altro regno di Mimmo, il famoso studio di registrazione, suo orgoglio al pari della cantina, (che sta sotto, e si vede attraverso una “finestra” di vetro ricavata nel pavimento) su cui le telecamere si soffermano con lentezza. Le telecamere si soffermano con lentezza anche sulle manone (tuttavia curate) da contadino abruzzese di Mimmo, o da scalpellino, come il babbo di John Fante, che raccontano tanto di lui. Le telecamere si soffermano anche sulle fotografie che ritraggono i componenti della famiglia, la mamma (professoressa di filosofia, cui Mimmo da ragazzo saccheggiava intere collane filosofiche, come sappiamo) mentre ricama; ora è novantenne, come la mia; alcuni bambini piccoli. Ho capito bene? Ha detto davvero Questa doveva essere la casa per il figli, per i nipoti, che dovevano arrivare e sono arrivati? Mimmo è nonno e io non lo sapevo? Queste sono cose che le biografe, perquanto non autorizzate, dovrebbero sapere, ma il padrone di casa, giustamente, gli affetti personali se li tiene per sè. Sanno però con certezza, anche se non gliel’ha detto nessuno, alle biografe, che sia che lo sia già, sia che debba diventarlo, sarà un nonno tenero, affettuoso, attento, magari senza eccesso di effusioni, o meglio senza troppe smancerie, ma un nonno che avrà tante cose interessanti da far conoscere ai suoi nipoti.


Insomma non è che ci sia stata proprio, in casa Locasciulli di campagna, ma mi sono talmente immedesimata, che mi è davvero parso di esserci stata. Per fortuna ogni tanto capitano delle inaspettate sorprese, come il bel programma, che è andato in onda su un canale satellitare, Leonardo TV, e si intitola Passepartout, Ospite a sorpresa. La conduttrice, una bella signora mia coetanea, attrice nota, Laura Lattuada, è anche lei, come la giornalista citata nel precedente post Isole, Unadonnamoltomoltooofortunata, perché lei c’era, lì, a respirare quella bell’aria di famiglia Locasciulli, e a lei è stato concesso l’onore di un brindisi col Rosso Saraceno.


Io, che Sky non ce l’ho, e non voglio averlo, perché il mio televisore è un mobile raramente messo in funzione, e già mi basta e avanza l’intrico di fili di decoder e lettori e prese scart, ho dovuto chiedere a un signore gentile di registrarmi la puntata a casa di Mimmo. Per me era di vitale importanza. Questo signore gentile mi ha detto tu sei pazza e sei malata, (incurabile, malattia cronica con cui si convive bene) forse perchè gli ho messo un po' di fretta, ma ha svolto molto bene il suo lavoro, e io ora ho un altro giocattolo, anzi veramente ne ho anche altri due, che mi sono procurata da sola, perché evidentemente questo è un periodo di abbondanza, per il mio blog sfigato, (nel senso che ho materiale sul quale lavorare) cui seguirà inevitabilmente uno di carestia.


Così va il mondo: il mio blog rimarrà sempre molto sfigato, ma io ogni volta che ci scrivo sono contenta, perché pur non essendo una felicissima di base, ho di buono che sono facilmente accontentabile. Mi basta davvero poco, un libro, un incontro, una canzone, un bicchiere di vino, un Dvd con dentro la casa di Mimmo Locasciulli, uomo gentile attento e tenace, come lo ha definito la conduttrice, e romantico, come ha aggiunto lui, di un romanticismo un po’ cupo che si nutre di cieli plumbei bufere e cime tempestose. Sangue romantico, tramonti e foschia, niente di più, niente di più, era tutta lì, era la vita mia. Invece questa vita è davvero molto di più, piena di tante cose.


Avessi dedicato un blog a V.R. - mi ha detto una mia, spero, nuova lettrice, (chissà se rimarrà o fuggirà, io ho qualcosa che talvolta, attrae, ma purtroppo o magari per fortuna, più spesso fa fuggire, blog a parte) che, udite udite, conosce Mimmo Locasciulli, anche benino, sembrerebbe, - avresti avuto molti più lettori. Si, può darsi, ma a me di V.R., con rispetto parlando, e pur apprezzando molto certe sue canzoni, cosa me ne può importare?


P.S. ma giocherà anche a golf, Mimmo Locasciulli? Ho visto un set di mazze da golf, che sono state inquadrate con grande attenzione. Quest’uomo è una scatola cinese, una matrioska: ogni giorno ne scopro una, e quello che non si vede è di sicuro ancor meglio di ciò che appare.

P.S. bis. Ho visto un cane, un bel pastore tedesco con lo sguardo buono, ma di lui non so niente, e sui cani, miei amici come i gatti, non me la sento di inventare niente, perchè li rispetto troppo. Ciao cane di Mimmo!

venerdì 22 ottobre 2010

ISOLE


Amo le isole, come entità geografiche e come metafore. Isola: mi piace la sequenza di suoni che compone questa parola. Io sono un’isolana, credo da mille generazioni, anche se il cognome di mia madre è uguale a quello di un borgo della provincia di Viterbo, e si dice, se ne ha il sospetto, che quelli con quel cognome, che è caratteristico solo di due paesini della Barbagia del sud, siano fuggiti da quel borgo e si siano stabiliti nel cuore della Sardegna, non si sa bene quando, ne' perchè. Se ciò fosse vero, avrei lontanissime ed annacquatissime tracce di sangue “continentale”. A furia di viverci nell’isola, avendo dentro di te i geni di chi ugualmente ci ha sempre vissuto e ti ha preceduto, finisce che non ce l’hai solo nel sangue, ma anche nel carattere, e nelle sembianze. Mi sento profondamente “Isola”, di quelle piccole isole battute dal vento, pietrose e scoscese, quasi senza approdi, ma facilmente raggiungibili in alcuni punti nei giorni di mare calmo. Di quelle isole che se ti senti male puoi rischiare la pelle, perché raggiungere la terraferma è troppo complicato: così mi sento, a volte, e se ne accorgono anche gli altri, almeno quelli che non si fermano alla superficie del mio fare disinvolto, che mi farebbe piuttosto assimilare a una città continentale, grande, piena di vita e di ponti e di legami, di scambi e di voci. Mi preferisco isola, ma per poter sopravvivere devo essere un po’ anche città continentale.

Che pensieri susciteranno le isole nel mio cantante? Le frequenterà? Le uniche isole delle quali l’ho sentito parlare sono, arcipelago giapponese a parte, la solita Idra, dove però non è stato, ne’ da giovane, ne’ più tardi, e poi Lampedusa, dove, come già riferito qui, ma di tanto in tanto è inevitabile ripetersi, andò in occasione dell’evento della Porta dei Migranti. A Lampedusa il mare è bellissimo - ha raccontato Mimmo Locasciulli - ma lui non ha davvero avuto il coraggio neppure di bagnarsi i piedi, a pensare a quanta gente c’è morta, dentro quel mare, e probabilmente è diventata cibo per i pesci, perché non ne è più emersa. Da nessuna intervista o conversazione sono venute fuori altre isole. Nella sua vita di viaggiatore entusiasta, ne avrà visitato altre, immagino, ma dei suoi viaggi personali, che io so frequenti perché ne ha fatto accenno lui in un suo raccontino dal titolo Idee per un viaggio, e anche perché ha scritto una canzone, Portamenti turistici, (Tango dietro l’angolo), bella di una bellezza per me appena incrinata dalla presenza nel testo di una parola che non amo, approccio, (chissà, magari per lui è una bella parola, o semplicemente rispondeva bene a un concetto o a questione di metrica), non trapela molto. Parlo di viaggi privati, non di lavoro, che quelli li conosciamo e ne abbiamo più volte parlato. Magari un giorno a qualcuno verrà in mente di invitarlo a una trasmissione di viaggi alla radio, o su un canale satellitare, e allora, chissà, sapremo che paesi ha visitato, se ci sono delle isole amate, grandi o piccole.

Un’isola piccola dove è stato spesso è l’Elba, ci ha suonato diverse volte, all’interno di alcune delle manifestazioni della Rassegna Toscana jazz; forse anche quest’estate, anche se deve essere stato un concerto semiclandestino, di cui non è apparsa traccia neppure sul suo sito. Mistero. Più o meno deve essere stato nei giorni di Effetto Venezia, ma forse era una cosa per pochi adepti. In una occasione, nel 2005, e questa parrebbe una notizia fondata, un temporale d’agosto si abbattè sull’Isola, proprio mentre Mimmo Locasciulli si esibiva. Egli, non nuovo a questo genere di cose (Svizzera docet) continuò al riparo di un ombrellone, così narrano le cronache, il suo concerto, e il pubblico locale non si lasciò, al pari di quello svizzero, spaventare dagli scrosci del cielo, ma rimase impassibile a seguire il concerto. Qui non c'erano neppure biglietti da ottanta euro... Potere della voce del mio nume, che mai come in questi casi potrei assimilare a un’antica divinità vestina della pioggia, nonché della folgore.

L’Elba non può non farmi venire in mente Napoleone. Gli interesserà Napoleone come personaggio, avrà letto qualcuna delle numerose biografie che gli son state dedicate? A me del “Corso” (altra isola, la Corsica, vicina vicina alla mia, ma per noi del sud, arrivarci è un viaggio, e per tutti un’avventura, se nelle Bocche tira vento) ha colpito il fatto che fosse un estimatore del Werther, come me: mi posso vantare di avere in comune un certo numero di cose, con il Corso: essere un’isolana, non propriamente altissima di statura, avere la presunzione di pensare velocemente, soffrire di malattia da reflusso gastro-esofageo, amare Werther, ed essere una "epistolografa" appassionata (i destinatari meno). Per diventare imperatrice forse ormai è tardi, ma visto come si può finire, è meglio così.

Un’isola grande dove a dicembre (il 16) Mimmo andrà a suonare, è la Sicilia, dove è stato altre volte, dove gli hanno consegnato un premio (vedi post sui premi) dove ci sono artisti che stima, e dove ha anche un certo seguito, se un gruppo nutrito di baldi giovani si è recato in trasferta, ad ascoltarlo, a centinaia di chilometri di distanza. Trinacria insula felix, perché hai l’onore di ospitarlo. Il luogo dove si esibirà, a Palermo, rispecchia in pieno la tipologia classica di luoghi dove lo incontriamo più spesso, e cioè spazi culturali polivalenti, non troppo grandi, dove in genere si può anche mangiare e bere. Il locale in questione si chiama Agricantus, come un noto gruppo siciliano (ma la cantante è, udite udite, svizzera della Svizzera tedesca) che avevo scoperto tanti anni fa, forse nel 1998, durante una casuale visione del concerto del 1° maggio in Piazza San Giovanni. Io come al solito sono arrivata tardi, la loro storia inizia molto prima, Fanno una musica ricca di suggestioni e commistioni di generi e anche di lingue, gli Agricantus, e ne sono molto affascinata. Chi ne avesse voglia entri nel loro sito http://www.agricantus.info/e si documenti e si gusti anche un assaggio della loro musica.

C’è un’altra Isola, dove ho più volte trovato Mimmo Locasciulli, ed è un’isola virtuale dove è stato più volte intervistato e recensito, in particolare da una giovane signora della quale penso, va da sé, che sia una donnamoltomoooltofortunataaa.

Isole a parte, sono davvero poche le regioni d’Italia dove non ho trovato traccia del passaggio del Dottorecantautorecolcappellopiegatosulsuopianoforte. Poche poche: una di queste è la mia Isola, Ichnusa insula tristis, almeno per me. Non faccio più, tuttavia, alcun appello per averlo qui. A parte il fatto che non ne terrebbe conto alcuno, del mio accorato appello, evidentemente ci sono motivi validi, e sono convinta che non abbiano niente a che vedere con il suo gradimento personale del luogo, (nel qual caso non ne farei una questione d’altro, se non di gusti, perché non sono di quelle che Sardegna = paradiso in terra ad ogni costo) ne’, come qualche malizioso buontempone potrebbe sostenere, paura di una mia eventuale reazione da fan troppo assatanata, di quelle che ad ogni costo pretendono una reliquia del divo, un brandello di camicia, una falda di cappello, una ciocca di capelli, (giammai, non ne mollerebbe uno) o chissà che altro. Ma a uno come lui, che certo non incoraggia atteggiamenti simili, (una deve essere proprio sconsiderata, sarebbe come spingersi in un campo circondato da filo spinato, disseminato di mine) sarà mai successa, in passato, qualcosa di simile? E se si, come avrà reagito? Pagherei oro per saperlo.

Una fan, pronta a tutto, del suo amico Francesco, racconta di essersi introdotta, fanciulla, dentro la macchina dell’artista, proprio quando quello ingranava la marcia per partire. Il fatto avvenne nel 1984, dopo un glorioso concerto di Mimmo, acclamato da una folla immensa, a Pescara. F. doveva essere parecchio distratto perché, a detta della fan medesima, neppure si accorse della clandestina a bordo. La fanciulla, nel frattempo divenuta donna, anni dopo coronò il suo sogno, lo incontrò e scambio una ispirata conversazione col suo diletto. Ti ricordi? Sono io quella della macchina, quella che si artigliò al sedile... - A dire il vero, no, non mi ricordo…

Se l’artista è meno distratto come è opportuno si comporti in questi casi? Signorina scenda o chiamo la polizia? Scendo io e le lascio la macchina? Ma, altro mistero.

Finalmente, che emozione… - La piccola donna è tutta un rossore e un balbettio - Sa, sono io quella che scrive di Lei, sul blog sfigato, da più di un anno…
Signora, mi spiace, non so di cosa parli, non ho mai letto una parola e francamente penso pure di non essermi perso molto: detesto i blog e gli incauti esternatori che vivono le vite degli altri non avendone una propria. E ora, se vuole scusarmi, il mio pubblico discreto, attento e sensibile e non grafomane, mi aspetta.

E l’incauta ammiratrice dopo la bruciante Waterloo, decise che era giunto il momento per lei, di ritirarsi su un’isola deserta, poco più che uno scoglio, a rifarsi una vita da… monade (le ha citate in più di un’intervista, le monadi, quel filosofo mancato per un soffio) dentro un faro dismesso e fatiscente.

giovedì 14 ottobre 2010

SPIRITO DI SERVIZIO


La tristezza mi ha preso - perché? Neppure la musica oggi mi consola - è già notte tarda, e non ho voglia di dormire; non so cosa mi manca - e ho già più di vent'anni. F.C.

Non ho mai capito perché si debba pronunciare Sciopen, se non è francese, ma polacco, dice il mio inclito nume, in quella piacevole conversazione sui libri svoltasi nella sua magione romana e andata in onda alla radio. La risposta è molto semplice, caro Mimmo Locasciulli. Il grande musicista, che tu consideri un genio e al contempo un pazzo (solito binomio di genio e follia), era nato in Polonia, in un luogo che si chiama Źelanowa Wola, presso Varsavia, da madre polacca, Justina Krzyźanowska, e da un signore francese di Nancy, Nicolas, che faceva l’insegnante. Ecco chiarito il mistero, che evidentemente tale non è. I Francesi hanno l’abitudine di francesizzare tutto, puoi capire se il genitore di Chopin, per quanto pienamente inserito nella nazione d'adozione, avrebbe potuto pensare di pronunciare, secondo non si sa bene quale pronuncia polacca, il suo cognome francese. Te, i tuoi amici francesi non ti chiamano Mimò? Me, qualcuno che ne conosco, Sandrá.
Dette queste cose interessanti e sperando che se non altro un po’ pazza mi consideri (io ne sarei davvero onorata e sottoscriverei) ti risparmio il resto della biografia del musicista.

Non è che io fossi a conoscenza del padre francese. La mia fonte è la solita Enciclopedia italiana, che mi soccorre in tante occasioni. A dire il vero mi stavo per muovere in altro senso, cioè avrei chiesto a un ragazzo che conosco, che è stato per studio in Polonia e si è fatto un sacco di amici, di fornirmi lumi. La mia ricerca è stata più veloce di un’eventuale e-mail di risposta dei suoi amici polacchi.

Poi vorrei aggiungere una considerazione. Sei sicuro che in Polonia non ti conosca nessuno nessuno? E in Turchia, e in Algeria, e in Russia, e in India, e in Ucraina, e in Romania, per parlare di luoghi un po’ lontani dai tuoi soliti circuiti extra-confini, in cui come spesso afferma chi ti intervista, sei famosissimo? A dei signori molto compiti della Svizzera tedesca, venuti a visitare la Biblioteca dove lavoro, non ho resistito e gliel’ho chiesto, prima se conoscessero l’amico Büne, e la risposta è stata affermativa (mi hanno guardato un po’ sorpresi, anche se io ho colto la palla al balzo, per attaccarci questa cosa che altrimenti sarebbe stata un po’ appesa, prendendo spunto dal fatto che, nella nostra sala settecentesca, si svolgono spesso manifestazioni musicali…) e poi se conoscessero il suo amico Mimmo. Lo conoscevano. Oh, si ha esclamato uno di loro, il dottore cantautore, il chirurgo… bravissimo. Parlava in tedesco, una signora traduceva in italiano, ma quella frase l’ho capita anch’io. Si però, attenzione, - mi sono permessa di aggiungere - ha messo delle barriere invalicabili tra le due professioni, per cui se andate a sentire un suo concerto, non chiedetegli se vi può controllare l’ernia inguinale o il lipoma del collo, e, se andate da lui per un consulto, evitate di fare riferimento al fatto che siete dei fans svizzeri, e che vorreste che vi intonasse Hotelsong. (Magari con gli Svizzeri, che per natura sono rigorosi e riservati, è più tollerante.)
Chiuso l’inciso elvetico, famosissimo magari no, ma qualche anima che lo apprezza c’è in tante altre nazioni, davvero le più disparate, ma non saprei dire se si tratti di gente del luogo, o dei tanti Italiani di buongusto in giro per il mondo. E si, perché chi apprezza Mimmo, riservato o esternatore incauto, semplice o intellettuale, sognatore o concreto, italiano o straniero, pazzo scatenato o molto savio, è innegabilmente persona di buon gusto.
Ho fatto sentire a un po’ di gente Guardami bene e sono tutti rimasti estasiati; no, forse è meglio dire estasiate, qualcuna si è anche commossa. Mimmo era ancora giovane, nel ’94, ma interpretava a meraviglia lo stato d’animo dell’uomo protagonista della canzone, che si presume più maturo. Chissà se l’ha mai ri-cantata, a parte l’occasione del Tenco del ’94. Chissà! Chissà come la canterebbe adesso, che l’età ce l’ha. Mi addormenterò con questo delizioso pensiero, stanotte, ma prima la ascolterò ancora una volta, Guardami bene, il mio viatico per un sonno, magari breve, ma felice.
Ah, avevo ipotizzato (o auspicato) un testo italiano di Mimmo, ma pare che sia di una delle menti del Club Tenco, il responsabile per i progetti speciali Sergio Secondiano Sacchi.
Almeno nei crediti del disco ho trovato il nome Sacchi e ho pensato a lui. Se così non fosse me ne scuso. Io avrei tanto voluto che il testo, reso così bene in italiano, fosse di Mimmo, per poterlo ammirare ancora di più. Complimenti a chi ha tradotto, (e magari anche un po' tradito?) chiunque egli sia. Ho scoperto anche il libro La tradotta, Storie di canzoni amate e tradite, curiosando nel sito. Sapevo che si era parlato delle problematiche connesse alle traduzioni delle canzoni, all'interno di un convegno tenutosi nell' edizioni del Tenco del 2002, avevo letto il contenuto dei vari interventi, e ne avevo anche accennato in questa sede, ma non sapevo ne fosse nato un libro. Leggere integralmente i contributi, quello di Mimmo in particolare, sarà uno dei miei prossimi obiettivi.
P.S. Non faccio la mimmologa a tempo pieno, anche se così potrebbe sembrare. Ho almeno tre vite (grame), tutte molto interconnesse, senza saracinesche, con tutte le conseguenze del caso. Diciamo che ottimizzo i tempi: è tutta questione di organizzazione, come Egli dice.
Io cerco di seguire il suo esempio, si parva licet.

giovedì 7 ottobre 2010

ALL'ASCOLTATRICE NON RIMASE ALTRO CHE TRASECOLARE


Interno romano. Appartamento borghese in un palazzo (?) di una strada resa nota da un romanzo celebre di un autore lombardo, scrittore ingegnere, che amava gli abiti blu e la buona cucina.

Personaggi e interpreti.

Una conduttrice e autrice di programmi radiofonici, con un cognome che ha a che fare con l’armonia, con l’ordine. Cognome che ha la stessa etimologia di Cosma, santo, con Damiano, patrono dei medici.
Un chirurgo cantautore con un cognome poco diffuso e di non chiara etimologia. (almeno per me)

Un salotto, una libreria, un pianoforte muto.

La radio che va a casa delle persone, ma di persone note, e possibilmente amanti dei libri, perché di libri si parla. Il titolo della trasmissione è Libro oggetto, e attualmente va in onda la domenica, all’ora di pranzo. Si cerca di sondare sui gusti letterari degli ospiti, e anzi si curiosa direttamente nelle loro librerie.
L’introduzione è piuttosto convenzionale. Il cantante chirurgo è presentato come un uomo di gran cuore, e si propone l’equazione chirurgo-uomo di cuore che non mi convince per nulla.

Ai ringraziamenti per l’ospitalità, il cantante risponde, da par suo, che non c’è niente da ringraziare, perché è un dovere e un piacere e un onore. C’è già tutto lui in queste tre parole. Molto di lui verrà fuori in questa mezz’ora in grado, a chi sappia ascoltare, di raccontare molte cose del nostro lettore.
Questo salotto, che evidentemente io non posso vedere, me lo immagino, forse perché condizionata dall’altra casa di campagna, solido, caldo, accogliente, per niente minimalista; vedo una casa abbastanza ornata, vestita, con tessuti e tende abbinati, tradizionale, ma con qualche guizzo. Un quadro di un pittore contemporaneo, post futurista, che rappresenta un pesce sospeso, colorato; molte fotografie. Una libreria stracolma di libri, molti non letti. Un settore dedicato ai libri di medicina, dove c’è il divieto assoluto di mettere altri libri. Un altro dedicato ai libri d’arte, di fotografia, nei confronti dei quali il Lettore ha un attaccamento geloso. Dietro invito della conduttrice, M. si mette alla ricerca, che non produce risultati, del libro che contiene la poesia, Idra, che a suo tempo insieme ad altre dello stesso autore, Egli tradusse e musicò. Che fine avrà fatto? No, i miti greci non gli interessano in particolar modo, tutto nacque dalla suggestione evocata dalla breve parola cristallina, Idra... Povero Mimmo, quante volte hai dovuto ripetere la storia di Idra, e quante dovrai ancora ripeterla, nonostante le intenzioni ampiamente disattese di archiviare l’argomento?
Le notizie sulle sue letture che emergono nella conversazione odierna non aggiungono molto a ciò che già sapevo e che ho ampiamente sviluppato qui dentro. Chissà dove si sarà documentata la conduttrice… L’ospite ribadisce il concetto già più volte espresso che un autore deve essere testimone del tempo che vive, oppure essere espressione delle sue radici. Avendo molti amici che scrivono, a L. capita di leggere i loro libri, e oggi ne presenta due, i cui autori sono appunto suoi amici. Il primo è un libro di poesia, Libro Grosso di Ennio Cavalli, il secondo il romanzo d’esordio La pasqua bassa del giornalista Antonio Del Giudice, pugliese, in cui c’è un forte legame con la terra d’origine, con le tradizioni, e per questo ha incontrato il gradimento di L. Mi domando se abbia letto anche i libri di alcuni suoi colleghi e amici di cui evito di fare il nome, che pubblicano, spesso, solo in virtù della loro notorietà, e non aggiungo altro. Ormai non c’è cantante, o politico, che da solo, o coadiuvato dal giornalista di turno, non abbia scritto “Il libro”. Carta spesso destinata, ahimè, ad andare al macero, o a inzeppare i depositi delle biblioteche che ricevono i libri per deposito legale.

L’ottanta per cento dei libri li ha letti prima dei diciotto anni, quando voleva fare il filosofo. Libri di filosofia in particolare. Libri di argomento religioso, per trovare risposte ai suoi perché. Molti classici. Dopo ha studiato i pesanti tomi del suo impegnativo corso di studi. Racconta di aver letto e amato molto Quer pasticciaccio... di Gadda, e ancora Festa mobile di Hemingway; ci regala un piccolo aneddoto: recatosi per la prima volta a Parigi, percorreva le strade sapendo con esattezza cosa avrebbe trovato di lì a poco, sulla scorta delle “indicazioni” del libro. Chi lo accompagnava non credeva che per lui fosse la prima visita alla città.

Legge una bella poesia di Cavalli, Mimmo, tratta dal libro citato prima e mette un po’ le mani avanti: io sono un pessimo lettore, non ho fatto corsi di dizione, ho la cadenza abruzzese. La legge invece molto bene, la voce è bella, anche se con qualche lieve imperfezione, e lo sa. Un leggero accento della regione d’origine, le conferisce la giusta impronta, la rende riconoscibile: è lui, è la sua voce. I corsi di dizione li faranno gli attori, i doppiatori e gli speakers. Così come non è gradevole una cadenza regionale troppo marcata, qualsiasi sia la regione d’origine, è bella una leggera sfumatura che renda riconoscibile la provenienza, una peculiarità anti-omologazione.

Legge anche qualche riga di un libro di un autore a suo dire sconosciuto, Ernesto Franco, (che è il direttore editoriale della Einaudi: a proposito, anche se L. raramente accetta consigli di lettura, io ugualmente gli suggerisco caldamente un’opera di Ernesto Ferrero, anch’egli già direttore editoriale della casa editrice, I migliori anni della nostra vita…) un libro trovato per caso nella casa materna, Vite senza fine si intitola, e, dice Locasciulli ridendo (ride molto, durante questa conversazione) il libro di un tale ossessionato, da tutto ciò che è ferramenta. Questa volta non legge tanto bene, ma solo perché va veloce. L’ho letto al mare, sotto l’ombrellone, ci fa sapere il Nostro, fornendoci anche un’altra informazione: va al mare, sta sotto l’ombrellone. Io, che mi sono fidata molto di quanto ho (indirettamente) appreso da un suo amico, pensavo non gli piacesse, il mare. L’ho preso troppo alla lettera. Invece ci va, alla faccia delle mie sciocche convinzioni, e magari ha anche la casa e la barca. Ora faccio il toto-mare di Locasciulli. Potrebbe essere litorale abruzzese, “marina” di casa, o quello pugliese, che la Puglia gli piace molto, o ancora il litorale della provincia di Latina, Terracina, Formia, Sperlonga.


Alla conduttrice viene il desiderio di aprire uno dei trattati di medicina del dottor Domenico Locasciulli.
La scelta cade sul trattato di Patologia chirurgica di Luigi Gallone. (Ho il vago sospetto che niente sia lasciato al caso, e che sia stato tutto concordato e preparato: mi domando, allora, perché non cercare le poesie di Cohen per tempo…) Si sfogliano le pagine e si arriva alla traumatologia dell’apparato urinario. Vuole qualcosa di Bizzarro? Le chiede lui con una strana inflessione. Si! Ecco cosa ci legge il dottore: "La rottura del testicolo rappresenta un’evenienza assai più rara di quanto si potrebbe supporre, considerando l’alta frequenza di seccature quotidiane."
Non sto inventando niente, dichiara, è scritto qui, e ride.

Io, non perché non creda alle sante parole del nume, ma perché, piaccia o meno, questo è un lavoro rigoroso e documentato, sono andata a cercarmi il testo di cui sopra, nella edizione del 1966, e posso testimoniare che davvero Mimmo Locasciulli non si è inventato niente. La frase riportata si trova nel volume secondo, cap. sulla Patologia dell’apparato genitale maschile, par. IV, comma b. pagine 1741 e 1742. Andate in biblioteca, e, se ne avete voglia e non vi fidate della parola di Mimmo e mia, (dovreste farlo perché siamo entrambi molto attendibili) consultate il trattato in questione. Il dottor professor Luigi Gallone, insigne chirurgo di fama internazionale ormai scomparso da tempo, doveva essere un uomo spiritoso, (qualche volta anche i chirurghi sanno esserlo), per infilare una frase del genere in una pubblicazione seria e rigorosa. Tutti i torti non li aveva. Questa è una frase che avrà attratto l’attenzione e fatto ridere intere generazioni di futuri medici, di quelli acuti che se ne sono accorti.
In conclusione della trasmissione, la conduttrice offre in dono all’ospite, tre libri: egli può decidere se tenerli o rifiutarli. Il primo è un libro sulle lettere di Chopin, il secondo la storia di una quarantenne in crisi esistenziale che lascia la grande città per trasferirsi in provincia, dove apre una libreria, il terzo una autobiografia di Ozzy Osbourne. Scarta quest’ultimo: non mi piacciono, dice severo, gli eroi negativi, penso che non siano un buon esempio. In questo sono molto all’antica, e non perché sia un benpensante. Forse sono io che non ho capito bene il concetto, ma mi è parso di intendere che L. più che inflessibile di fronte a certe debolezze o eccessi di certi personaggi, lo sia verso l’incapacità di non contenersi e parteciparli al mondo. Mi pare di intuire una forma disprezzo per chi non sappia tenere per sé i suoi guai, le sue miserie, le sue debolezze, per chi abbia l’esternazione facile di suoi aspetti non troppo edificanti. Anche qui c’è tutto lui, non potevamo aspettarci niente di diverso.

Sarei curioso di sapere cosa potrebbero pensare gli ascoltatori, dice M.
Gli ascoltatori come categoria indistinta, non lo so. L’ascoltatrice, ma non una qualunque, una molto attenta e interessata, io, te lo dice subito. Mai avrei pensato di trovare in radio Mimmo Locasciulli, che, all’ora di pranzo, discettasse di traumatologia orchitica con perfetto aplomb. E dire che Celso aveva delle pagine veramente interessanti sull’argomento e io non ho ritenuto opportuno, per rispetto, assegnarle come compito, al rigoroso allievo.

Quanto a considerazioni più generali, dall’amabile conversazione, che per quanto poco, qualcosa ha aggiunto alla mia conoscenza, non ho potuto fare altro che rafforzare le mie convinzioni sul "soggetto" in questione . Trattasi di persona alquanto granitica, severa, contraria all’incauta esternazione, fermamente convinta delle sue posizioni, che non degna neppure di uno sguardo distratto ciò che non gli interessa, uno, per usare una parola che fa più parte del suo lessico che del mio, tosto, molto tosto. Uno che ha le idee molto chiare e sa molto bene il fatto suo; ride, però, amabilmente, e ha un modo educato di porsi. Mai arrogante. Per niente facili, ma avercene, uomini così: specie in via d’estinzione.

Non ho resistito alla tentazione di giocare al gioco dei tre libri da regalare al lettore privilegiato in questione. Non ne può scartare neanche uno, ma può lasciarli in un cantuccio ad ammuffire. Uno è un libro di poesia, Fuochi in novembre, di Attilio Bertolucci e magari è già nella sua collezione di poesia; gli altri due, mi gioco qualsiasi cosa, non ce li ha. Uno è un classico della letteratura sarda, si intitola Il giorno del giudizio, ed è IL romanzo di un autore che di mestiere faceva il giudice, e non ha scritto molto altro. Basta, da solo, a farne un grandissimo. C'è molta Sardegna vera, non stereotipata, ci sono salde radici. L'ultimo è un libro fotografico di Pablo Volta, che s'intitola La Sardegna come l'Odissea, e anche qui c'è molta Sardegna vera, in bianco e nero, degli anni cinquanta. Questo gli piace di sicuro. Anche come "libro oggetto".


Chi volesse ascoltare o scaricare il programma Libro oggetto può farlo, in questo caso, con molta facilità. Io, che ne sono venuta a conoscenza per caso, e come al solito dopo, l’ho scaricato, così se mi viene voglia di curiosare ancora in quella libreria, posso concedermi la licenza di entrare tutte le volte che voglio, perchè, come ho già detto in mille altre occasioni, sentirlo, quell'uomo, mi piace ancor più che vederlo, e quest'anno le occasioni non mi sono davvero mancate, bontà sua e di chi lo ha invitato.


Per completezza ecco i dati completi dei libri citati nel post


Ferrero, Ernesto
I migliori anni della nostra vita / Ernesto Ferrero
Milano : Feltrinelli, 2005


Del Giudice, Antonio
La Pasqua bassa : romanzo / Antonio Del Giudice
Cinisello Balsamo : San Paolo, 2009


Pattavina, Valentina
La libraia di Orvieto : romanzo / Valentina Pattavina
Roma : Fanucci, 2010




Satta, Salvatore <1902-1975>
Il giorno del giudizio / Salvatore Satta
Milano : Adelphi, 1979
Fuochi in novembre / Attilio Bertolucci
Parma : A. Minardi, 1934

Gallone, Luigi
Patologia chirurgica / Luigi Gallone
Milano : CEA, 1966


lunedì 4 ottobre 2010

CHE FARE DAVANTI A TANTA BELLEZZA?

Oggi è stata una giornata fortunata: mi sono imbattuta nella bellezza, ma in una forma di bellezza pura e assoluta, di quelle che possono lasciare attoniti e silenti, o al contrario possono far urlare di gioia. Questo pomeriggio, nel mio quotidiano scrutare avvisi e notizie, ne ho trovato una che mi ha subito attratto: un video su Youtube, Mimmo Locasciulli che canta Guardami bene, http://www.youtube.com/watch?v=aw1hk-PqI4g Mirame bien, nella versione originale di Pablo Milanés. Non ho alcun problema a confessare la mia incommensurabile ignoranza: non solo non avevo mai sentito questa canzone, ma non sapevo neppure chi fosse il suo autore e interprete nella versione originale. http://www.youtube.com/watch?v=jFgfvtjSVnk Non mi bastano gli occhi e non mi bastano le mani: apro un numero spropositato di finestre e divoro quasi contemporaneamente notizie, video, testi, famelica e felice. Quando arrivo al video che contiene la versione di Mimmo, dulcis in fundo, sono davvero sopraffatta dall'emozione, perchè un'interpretazione così partecipe, così sentita, così bella, come dicevo prima, di una bellezza totale assoluta e pura, è difficile da trovare. Ancora una volta sono una donna felice. La canzone parla di un uomo maturo, non bello, non giovane, perfettamente cosciente di questi limiti, corteggiato da una ragazza giovane e bella, attratta da qualità che non trova nel suo ragazzo coetaneo. C'è tutto ciò che in un storia del genere ci deve essere, l'attrazione, il desiderio di provare emozioni, la paura e la certezza che per la ragazza sia solo un capriccio, ma anche, pur nella consapevolezza di vivere un amore che inevitabilmente costituirà una parentesi, il desiderio di lasciarsi inebriare a pieno da quel "profumo di primavera" della ragazza. Rimarrà un ricordo. La canzone, inserita in una delle pubblicazioni del Club Tenco, Un omaggio a Pablo Milanès, del 1994, al quale partecipano molti altri artisti, è, non mi stanco di ripeterlo, di una bellezza che toglie il fiato. Ancora una volta, quindi, sono felicissima e orgogliosa della mia folgorazione e di aver visto giusto: bravo, Mimmo Locasciulli, questa volta come tante altre, ma forse più di altre, perchè, hai questo dono, quando canti canzoni non tue che ti colpiscono, di farle profondamente tue, di imprimere loro il tuo "marchio" personale, quello della tua voce e quello del tuo modo di suonare il piano. Tu, con quella voce un richiamo lo eserciti di sicuro, in chi abbia voglia e sensibilità per coglierlo, ed un richiamo che nasce solo da una voce, incorporeo, ha un fascino irresistibile.

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