Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

giovedì 23 dicembre 2010

DICEMBRE


Settimana precedente il Natale: nel mio distratto e non indispensabile aggiornamento settimanale sul piccolo schermo, quello del sabato pomeriggio, salto di canale in canale, ma non c’è verso di essere risparmiata: dovunque si susseguono servizi realizzati nelle dimore di personaggi più o meno famosi, in particolare leggiadre fanciulle che hanno voluto moltiplicarsi, e ci mostrano come le hanno addobbate, queste dimore, spesso con l’aiuto dei loro pargoli in fasce, quali decorazioni hanno utilizzato per l’albero e dove e con chi trascorreranno quella che, nata come festa religiosa, è diventata, quasi per tutti, festa della famiglia, e ancor più spesso, festa dell’eccesso, consumistico e alimentare. Quasi tutti e tutte tessono l’elogio della famiglia, porto sicuro dopo tanto navigare e raccontano di come stendano bene la sfoglia a mano e allestiscano personalmente la tavola di Natale. Se siamo fortunati riusciamo pure ad avere la ricetta natalizia di famiglia. Al di là di ogni frivolezza televisiva, le ricette di famiglia sono davvero un patrimonio da salvaguardare: spesso tramandate di generazione in generazione costituiscono il collante affettivo, perché il cibo è affetto e tempo e cura e attenzione, e talvolta, l’unico retaggio di famiglie ormai disgregate, o l’unico legame con regioni di provenienza, dove da tempo non si vive più.

Il nostro artista avrà, anche lui, almeno in qualche occasione, ricevuto la sua buona razione di telefonate da parte del, anzi della (certe questioni sono appannaggio femminile) giornalista di turno, e sarà stato invitato a raccontare come trascorre le feste di fine anno. Mi auguro che a nessuna sia mai venuto in mente di chiedergli se si sia mai vestito da Babbo Natale. Nel qual caso, peggio per lei.

Ho un ricordo di una sua testimonianza sulla cucina della tradizione nel suo paese, Penne, proprio nel periodo delle festività natalizie, e avrei voluto riportarla integralmente, ma come già in altri casi mi è accaduto, pur ri-digitando tutte le possibili chiavi di ricerca, non sono più riuscita a recuperare la preziosa notizia. Parlava delle signore di Penne, abili cuoche, intente, nell’intimità e nel calore delle loro cucine, ma anche nelle cucine delle trattorie, a preparare gustosi manicaretti; per le strade del paese innevato, l’odor del freddo si mischiava a quello dei cibi in cottura. Sulla base delle notizie raccolte, e della conoscenza del personaggio raccontato da sé medesimo e dagli altri secondo i canoni consueti, il suo Natale me lo potrei immaginare, però preferisco non dire una sola parola, primo perché talvolta ciò che è verosimile può scontrarsi con una realtà del tutto diversa, secondo perché potrei lasciarmi prendere la mano, tirar fuori tovaglie dai cassetti, piatti dal mobile d’emporio, vini dalla cantina, cibi dalla dispensa, calarmi insomma nel ruolo di fantesca di casa L., ruolo che, è bene tenerlo sempre a mente, non potrà mai appartenermi. (Nota seria dopo una boutade: molte ragazze e donne sarde di umile condizione, in un passato non molto lontano raggiungevano la capitale e si mettevano a servizio presso le famiglie borghesi, e spesso ci rimanevano una vita intera, laboriose e discrete, fino alla pensione e qualche volta anche oltre, senza mai aver avuto una vita tutta loro.)

Tra i ricordi d’infanzia del nostro artista legati al Natale, forse un posto importante occuperanno i canti alla messa di mezzanotte, le “mitiche” figure familiari, i sapori costantemente riproposti e gustati, le famose notti innevate…

In un buon numero di sue canzoni sono molto ben rappresentate, tanto che a chi ascolta pare di esserci dentro, atmosfere invernali, neve piogge brume freddo gelo e per converso fiamme e luci, camini accesi e abbracci che riscaldano le membra, braccia gelate in particolare, e il cuore. Il Natale è espressamente citato, mi pare, solo in tre canzoni, che in ordine meramente cronologico sono
Dicembre

Qualcuno dice che sei già scappata via
Qualcuno dice che fai vita giù in città
E se ti può star bene fatti viva per Natale
Ma non ti voltare indietro
Se capisci che ti va male.

che potrei dire, tra le tre, la mia preferita, ma mi sembrerebbe quasi ingiusto, prima di tutto perché mi sentirei come una mamma che dichiari di preferire un figlio ad un altro, secondo perché le altre due,
Il suono delle campane

Uomini senza lingua uomini senza pietà
Uomini senza un dolore uomini senza umanità
Uomini in fila indiana nella notte di Natale
Aspettavano fumando il suono delle campane

e
Lucy

Prega di giorno prega di notte
Prega che il suo cuore non pianga mai le botte
Botte che arrivano come le caramelle
Che i bambini si sognano a Natale

sono altrettanto belle, ma sono anche un’altra cosa.

Molte canzoni di Locasciulli presentano caratteri comuni, nelle situazioni evocate, nelle atmosfere, nei temi proposti. Mi piacerebbe tentarne un’analisi comparata, prima o poi, e ad esempio, partendo da Dicembre, mi vengono in mente Piove e non piove e Un po’ di tempo ancora. Quest’ultima, anche a una semplice lettura, senza ascolto, si rivela un classico di perfezione locasciulliana. Non c’è una parola fuori posto, una sbavatura, una piccola nota stridente. Potrebbe benissimo reggersi senza musica, ma siccome è una canzone, la musica c’è, ed è un vestito confezionato su misura da un sarto provetto, o sono state le parole a entrare perfettamente dentro quella musica, non lo so.

Prima di entrare in possesso di notizie sul metodo, anzi sui metodi compositivi di Mimmo Locasciulli, e mi riferisco al mio passato di attenta ascoltatrice delle sue canzoni, che mi portavano a provare sensazioni ed emozioni, e anche a formulare riflessioni, senza mai però, come usa dirmi la mia amica M., sentire l’esigenza di procedere all’esame autoptico, o per essere meno macabri, alla TAC dell’artista - nel senso di andare un po’ più in profondità nel tentativo di scoprirne il nocciolo, come ho fatto in questa mia fase più recente - ero fermamente convinta che la maggior parte delle sue canzoni nascessero da un più o meno “tormentato” calarsi nel profondo di sé stesso, da un processo di autoanalisi, cosa che invece, almeno l’artista così ci racconta, in questa forma così “dolorosamente” introspettiva è avvenuta solo con l’ultimo lavoro, Idra. Non importa: a me, e non solo a me, era sembrato che così fosse stato spesso anche in passato, che ci fosse anche un guardarsi dentro, oltre che un guardarsi intorno, al fine di immagazzinare e custodire input ispirativi dentro “salvadanai” che a un certo punto si rompono, quando giunge inaspettato il momento di comporre.
Non sono neppure del tutto d’accordo con lui quando dice che attualmente è convinto di scrivere canzoni più belle di, cito testualmente, dieci o quindici anni fa. Vero è che è meglio non “estrapolare” da un “contesto” (metto tra virgolette perché mi ritrovo ad usare parole che non amo, e io cerco di fare attenzione all’uso delle parole) e non prendere per verità assolute, inconfutabili, dichiarazioni che hanno si un fondo di verità, ma sono anche legate al momento contingente.

In ogni caso, qualsiasi sia la molla o il metodo che ha portato alla loro composizione, quelle di Mimmo Locasciulli sono canzoni slegate dalle mode, che resistono al tempo, in una parola dei classici. Canzoni che più le ascolti più ti viene voglia di ascoltarle, e certo non sono solo canzonette, e dentro, attento osservatore e cronista del suo tempo, o impegnato in un’ardua discesa negli scantinati di sé stesso, si scorge sempre l’anima di un uomo. Un uomo, e, già questo, come diceva quel suo amico che tra tutti ha saputo, con poche pennellate, meglio delinearlo, non è poco.


Poiché ho preso come spunto il Natale, e in queste circostanze di festa la tavola ha un ruolo fondamentale, avrei voluto fare la spiritosa e proporre un menu di un signore francese molto noto, François Rabelais, collega cinquecentesco di Mimmo Locasciulli, (no, Mimmo non è mai stato frate, ma, Rabelais, lasciato il saio, divenne medico… il mondo era ed è pieno di medici con inclinazioni artistiche) e servire in questa antivigilia una delle colazioni di Pantagruel. Ho cambiato idea perché il francese del cinquecento è un po’ ostico, e poi perché Pantagruel, non si limita solo a mangiare, ma fa anche delle cose che qui dentro non mi sento di proporre, per quanto io non ambisca a diventare la nouvelle Donna Letizia. Nessun menu, dunque, ma alcuni aforismi di un un compito signore francese vissuto tra il 1755 e il 1826, che si chiamava Jean Anthelme Brillat–Savarin e di mestiere faceva il magistrato, ma si era dedicato con passione, prendendosela comoda perché voleva che il piacere di scrivere di un argomento che lo appassionava tanto durasse il più possibile, (come Folgorata, che s’inventa qualsiasi cosa pur di continuare a scrivere) alla stesura di un’opera assai nota intitolata Physiologie du gout ou Méditations de gastronomie trascendante Un classico, un piccolo gioiello, che regala al lettore pagine piacevoli, un’opera seria, ma lieve, connotata da una gradevole e arguta ironia. Ecco dunque alcuni dei suoi aforismi, (in tutto sono venti, vi grazio e ve ne propongo solo quattro) che precedono l’opera vera e propria.

-Les animaux se repaissent; l’homme mange; l’homme d’esprit seul sait manger.

-La destinée des nations dépend de la manière dont elles se nourissent. (Evidentemente ci siamo nutriti molto male, in questi ultimi tre lustri.)
-Le plaisir de la table est de tous les âges, de toutes les conditions, de tous les pays e de tous les jours ; il peut s’associer à tous les autres plaisirs, et reste le dernier pour nous consoler de leur perte.

-La decouverte d’un mets nouveau fait plus pour le bonheur du genre humain que la decouverte d’un étoile.

Ne consiglio a tutti la lettura. Un capitoletto, anzi una méditation di tanto in tanto. Potrebbe diventare un libretto da tavolino da notte. A Mimmo, gourmand sans retour, che questo libro certamente conosce meglio e prima di me, ma non so effettivamente da quanto non lo apra, mi permetto di suggerire la lettura del paragrafetto 64 della Méditation XII.

Niente traduzione per gli aforismi: uno che ama Mimmo Locasciulli, ça va sans dire, il francese, almeno quel tantino per leggere e comprendere un testo, deve conoscerlo. (A breve saranno aperte le iscrizioni al corso “Come diventare un perfetto fan di Mimmo Locasciulli”, a numero chiuso; si accede dopo aver superato una severa selezione. Costituisce credito la conoscenza della biografia autorizzata, ma anche, in misura minore, della “agiografia” romanzata di Folgorata.)

Buon pranzo di Natale a tutti, e mi raccomando: gourmandise, non gloutonnerie o voracité.

martedì 14 dicembre 2010

DOPO

IL POST-CONCERTO DI MIMMO LOCASCIULLI A TORINO, ATTRAVERSO GLI OCCHI DI UNA CHE NON AVEVA MAI AVUTO, IN PASSATO, MOTIVI SUFFICIENTI PER TRATTENERSI DOPO LA FINE DI UNA ESIBIZIONE.
Il cantante ha appena terminato il suo acclamatissimo bis. Si accomiata con un inchino. Si allontana dalla sala ancora buia e si infila nell’andito. È carico, ma è anche stanco; ha bisogno di ricomporsi un po’ e sicuramente di bere. Anche il pubblico inizia ad alzarsi; qualcuno va a riappropriarsi del cappotto, qualcun altro si ferma davanti al “banchetto” dove sono disposti in bell’ordine i lavori più recenti dell'artista.

Il cantante riesce a ricomporsi soltanto parzialmente, non gli danno il tempo. Piccolo prezzo da pagare: il pubblico inteso come entità indistinta, non dico abbia in sé qualcosa del piccolo mostro fagocitante, ma certo ha le sue esigenze: vuole vedere, parlare, stringere mani, in qualche caso baciare; richiedere un autografo, posare con lui per una foto, complimentarsi, rendere omaggio; dare e prendere, per quanto consentito nello spazio di un saluto, di un rapido scambio di battute, portarsi a casa sensazioni ed emozioni da ritrovare dentro un foglio di carta o una fotografia.
Ha preso una birra, l’assetato cantante: la beve così, direttamente dalla bottiglia, appoggiato al muro accanto al camerino: evidentemente è sua regola non bere alcolici prima del concerto, se si lascia andare a dire che è dalle sei e mezza che aveva una voglia di birra… Sembra un ragazzo, in quella posizione, con quella birra in mano.

La gente inizia ad avvicinarsi, ordinatamente. C’è pure un sacerdote, molto prete di frontiera, sembra. (Oddio, ora mi coglie il dubbio di aver visto male! NO, portava il clergyman.) A lui, prima, il cantante ha porto il “bussolotto” con i bigliettini, e nel chiedergli di “pescare” gli ha detto: “Ha la mano miracolosa?”(Molto spiritoso, davvero simpatico; il pubblico gradisce molto le sue battute.) Ma ecco un altro signore, anch’egli invitato in sala a "pescare". Il caso volle che fosse francese e, un sospetto lo avevamo già avuto, il francese è la lingua d’elezione di Mimmo Locasciulli, quella che conosce meglio. Tra i due pare esserci un piccolo feeling istantaneo; il signore legge il numero in francese, onze, e la sua pronuncia manda in visibilio il cantante, che coglie la palla al balzo per farci un piacevole siparietto. “Che pronuncia, parla meglio di F.” e cita un bravissimo e notissimo personaggio televisivo e radiofonico, che evidentemente apprezza perché dal tono si sente la simpatia per lui (Locasciulli è uno che, citando una persona, fa immediatamente capire, dall’intonazione che usa se è "nelle sue grazie" o meno). Siccome è molto ispirato parla un po’ in francese pure lui, e ci dà un piccolo saggio della sua conoscenza della lingua. Col signore francese è ancora feeling al momento dei saluti. Per una di quelle curiose coincidenze, il suo paese d’origine è uno di quelli che il Nostro ha visitato quest’estate. C’è di più: ha regalato un centimetro dei suoi capelli a “un bravissimo” barbiere che ha il suo salone nel corso di questo paese, situato in una zona della Francia, notissima per la sua produzione di vini di altissima qualità.

Arriva il turno di una ragazza, giovane e carina, potrebbe essere mia figlia e potrei averle trasmesso io la passione per il cantante. Era seduta accanto a me e ha seguito il concerto con emozione pari alla mia. “Mio padre mi ha trasmesso la passione per la sua musica” confessa felice ed emozionata, e garbatamente chiede a Mimmo una foto. Lui è gentile, come si può non esserlo con una personcina così a modo (questa ragazza mi intenerisce) e accoglie la richiesta con un sorriso. Si ricorda perfino che lei gli ha scritto. Ottima memoria, forse gli sfugge qualche nome, ma ricorda perfettamente le circostanze, anche quelle recenti, nonostante abbia confessato durante il concerto di ricordare bene le cose del passato e poco o niente quelle recenti.
Ecco una bella signora: "Buonasera, sono nata anch'io il 7 luglio, si ricorda, ci siamo fatti gli auguri a vicenda..." "Ah, non fossi nato quel 7 di luglio... Se trovo quelli dell'anagrafe li gonfio..." Battuta già utilizzata durante il concerto e chissà quante altre volte. Io ora do in anteprima una notizia eclatante: in effetti c'è stato un errore, Mimmo non è nato nel 1949, ma nel 1994. Quelli dell'anagrafe hanno davvero sbagliato. Ci troviamo pertanto di fronte al caso di un adolescente molto vissuto, un vero prodigio.

Diventa addirittura caldamente affettuoso quando si avvicinano due “ragazzi” abruzzesi: qui non si può scherzare, c’è un incontro di anime; li bacia, li invita ad accomodarsi nel camerino; regala (come nel libro delle “emozioni”, ogni tanto lo fa, pare) il Cd singolo che contiene Natalina cantata dal suo amico bernese e Hotelsong cantata da lui, quello, che io non ho, con la sagoma del volto di entrambi gli artisti.

I suoi conterranei hanno perso il conto dei concerti di Mimmo Lcasciulli cui hanno partecipato: quaranta, forse cinquanta? Un affetto e una stima davvero profondi, corrisposti, tangibili.

C’è una signora che si muove intorno al cantante, impegnato a salutare gli altri “fans”. Lo osserva, anzi lo studia, lo ascolta con attenzione, sembra non voler perdere una sillaba di ciò che dice. Di tanto in tanto interviene, di tanto in tanto anche lui le si rivolge brevemente. Ha il cappotto addosso, questa piccola signora con gli occhiali neri e i capelli argentati, questa ragazza vecchia, che fa cose che già a quindici anni sarebbe meglio evitare, ubriaca anche se ha bevuto solo un succo di frutta. Ha il cappotto addosso ma non sente caldo, e pensa che essere già pronta le tornerà utile se a un certo punto qualcosa la dovesse indurre a fuggire. Non fuggirà, anche se forse sarebbe stato meglio farlo: rimarrà lì, fino all’ultimo, sempre più ubriaca e sempre più infreddolita e si darà qualche pizzicotto per capire se quello che sta vivendo è un sogno, o un incubo, o semplicemente una realtà per lei inconsueta.

C’è un signore magro e alto, che si aggira intorno. A un certo punto si siede e armeggia con un telefonino, di quelli molto diffusi oggi, che quasi quasi fa anche il caffè e la pizza. Pare sia del cantante: uno cui è concesso trafficare con il portatile personale di Mimmo, non può certo essere un estraneo, e infatti è uno dei suoi amici più cari. Tra loro la complicità è tangibile anche senza parole: semplicemente non ne hanno bisogno, sembrano comunicare benissimo senza. Le misteriose alchimie tra le persone. Durante il concerto Mimmo ha fatto alcuni riferimenti a fatti vissuti con il suo amico, e lui c’era, discreto, silenzioso. La signora ubriaca è affascinata dalla corrente emotiva tra i due, tangibile.

Forse non c’è nessuno, venuto lì quella sera per il concerto, che vada via senza salutare l’artista. Nessuno è lì per caso, o perché quella sera non aveva di meglio da fare. Molti lo conoscono già, con qualcuno c’è qualcosa di più di una semplice conoscenza. Intonazione della voce ed espressione del volto del cantante variano e, a seconda dell’interlocutore, vengono fuori, in misura più evidente, le caratteristiche del ragazzo d’Abruzzo, del giovane uomo pieno di entusiasmo, aspettative ed energie, dell’uomo maturo e riflessivo e del primario, l’uomo, cioè, abituato ormai da tempo ad un ruolo di responsabilità, a prendere decisioni importanti, a dare disposizioni, a non perdere tempo. In ogni caso appare spiccio di modi, informale, senza smancerie. Nessuna traccia di “È un piacere e un onore"; e neppure "è un dovere” nessuna cerimonia.
Sotto la scorza dell’uomo vincente ormai abituato a muoversi con disinvoltura tra i continenti e a prendersi il meglio dalla vita, ogni tanto fa capolino il ragazzo di provincia, che un po’ intenerisce con le sue insicurezze. Domanda a qualcuno come sia andato il concerto, sembra interessato a ciò che la gente gli dice. Tutti gli fanno complimenti sinceri e lo rassicurano, ma Lui non digerisce le piccole defaillances, non le digerisce perché Lui è preparato, le sa tutte le sue canzoni, le potrebbe anche recitare tutte e trecento cinquanta davanti a un bicchiere di birra (forse un boccale da un ettolitro, ci vorrebbe…), e invece, quella maledetta emozione, dopo una carriera lunghissima. Benedetta quell’emozione, dico io, perché ti salva, prega che ci sia sempre, finchè avrai voglia e voce per cantare…

Quasi per ultimo, quando quasi tutti hanno salutato si avvicina un signore dall’aspetto serio e un po’ triste (pura sensazione, magari è la persona più allegra di questo mondo). Si aggira intorno da un po’, ma si vede che cerca un breve momento tutto suo col cantante, che evidentemente ama molto, e dal quale forse si sente rappresentato. La compenetrazione, l’immedesimazione sono un ingrediente fondamentale del rapporto tra fans e artista. Ti apprezzo perché condivido; i tuoi stati d’animo sono i miei, i tuoi convincimenti sono i miei. Quanto di vero e quanto di ingannevole? C’è un confine dentro le canzoni, tra le parole vere e quelle che componi, per fare centro per colpire più la fantasia (cito a memoria, ora non ho voglia di entrare nel sito a controllare il testo, ne’ di ascoltarmi la canzone perché sono in fase di astinenza) Questione aperta… Il signore triste gli tende un libretto, (la mia prima fonte, non in senso di importanza, cronologicamente parlando) perché vuole che l’artista ci scriva qualcosa sopra. “Ancora con questo, giri” scherza Mimmo Locasciulli. (In effetti è un po’ da aggiornare) ma poi lo sventola sotto alcuni occhi presenti e aggiunge “Questa è la mia biografia autorizzata.” Essenziale, ma c’è tutto quello che deve bastare a un "fan istituzionale".

Intanto la maggior parte della gente è uscita dal locale. Si è fatto tardi, anche se non tardissimo. I musicisti sono abituati a tirar tardi e a cenare tardissimo. Mimmo ha raccontato durante il concerto, di una cena a Tokio, (Tokyo?) alle tre del mattino, con Greg, che volle ad ogni costo mangiare spaghetti, nonostante i tentativi dissuasivi dell’amico. Arrivano gli spaghetti, Greg mangia, riflette, si esprime: spaghetti 30% buono, 70% m…a. La stessa percentuale che molti anni dopo Mimmo ha utilizzato nella sua L'interpretazione dei sogni: (Il 30 per cento dei suoi pensieri è fatto soltanto di bianchi e di neri, l'altro 70 è un arcobaleno... cito sempre a memoria e l'errore è in agguato) 100% ottima.

Già, è tardi; alla signora col cappotto, che non si è persa un respiro del cantante e di tutto ciò che si è mosso intorno a lui, sembra di sentire i rimbrotti di un affamatissimo stomaco d’artista (farà una proposta perché tali rimbrotti siano inseriti tra i beni patrimonio immateriale dell’umanità). Non ha smesso neppure per un momento di osservare gli occhi dell’artista, occhi chiari che nelle foto non sembrano tali (ingannevoli le foto più di ogni cosa, come il cuore: citazione biblica, Geremia, che mi ha insegnato uno scrittore israeliano, e che appena posso utilizzo perché mi piace troppo) occhi sommamente espressivi ed eloquenti. Potrebbe non aprir bocca, il cantante, perché è in grado di trasmettere tutto ciò che sente con gli occhi. La nostra amica li ha visti soffermarsi su qualcuno a tratti con affetto, con complicità, con un guizzo di sorpresa, con indifferenza, con un po’, ma solo poca, insofferenza, con un guizzo di allegria, con stanchezza, con gravità e infine, li ha visti un po’ adombrarsi e diventare gelidi.

Questione di secondi, ma si è sentita addosso tutto il freddo del mondo. Me l'ha detto una che la conosce bene.
Mai e poi mai avrei voluto essere nei suoi panni.

martedì 7 dicembre 2010

UN ARTISTA GENEROSO, UN DILETTANTE DI LUSSO

Appena rientrata a casa, dopo un breve periodo di vacanza seguito al concerto di sabato, decido di scrivere. Sono passati alcuni giorni, e il proposito di mettere ordine nei miei pensieri non ha avuto un risultato felice. Mi sembra di avere in testa una gran confusione, e i ricordi di un avvenimento recentissimo mi appaiono lontani nel tempo, frammentati e non coordinati. Non mi aiuta la febbre, non il malessere fisico che mi sono portata dietro da luoghi totalmente diversi da quelli in cui abitualmente mi muovo. Dalla neve e da una temperatura molto bassa sono passata ai 23° della mia bianca, bella città nord-africana.

La mia piccola avventura, è iniziata sabato mattina alle 4,30. La mia sveglia suona sempre molto presto, ma in questo caso non posso permettermi di far tardi e mi dà molta sicurezza avere tempo.

Saltando tutto il resto, il racconto inizia con i miei preparativi in albergo e la telefonata al taxi che mi condurrà al Folkclub. Non è stato casuale che io abbia scelto di venirlo a vedere proprio qui: ho parlato tante volte dello stretto legame tra l’artista e il locale: è un luogo che ama e nel quale si sente profondamente a suo agio, per cui penso dia il meglio di sè.

Arrivo molto presto, il locale è aperto da poco e ci sono ancora poche persone. È una cantina, un locale seminterrato, chiamatelo come vi pare. Una sala rettangolare, un palco col pianoforte, delle file di sedie sistemate di fronte al palco, e nei due lati. Io ho prenotato appena sono venuta a conoscenza della data. Spero per questo di avere una posto che mi permetta di vedere bene. Sono proprio di fronte al pianoforte, ma in quarta fila. Se davanti ci sarà qualcuno alto – penso – non riuscirò a vedere nulla. Sempre meglio di quelli sistemati nella fila di sedie al lato sinistro del palco, che del cantante sentiranno solo la voce, e non ne vedranno il volto e l’espressione, ma solo le spalle.

Continuo a guardarmi intorno, a osservare le persone che piano piano arrivano, quelle che si fermano al bar a bere e chiacchierare. Alcuni hanno l’aria di essere di casa. Sono, credo l’unica donna sola, e sono, credo, quella che ha fatto il viaggio più lungo e anche più costoso: tre voli acquistati; non potendo raggiungere Cuneo al ritorno, ho dovuto acquistare un altro volo da Malpensa, più vicina al luogo dove mi trovavo, per poter tornare a destinazione in tutta tranquillità.

Osservo il pianoforte: sopra c’è un cappello, un bel cappello nuovo, e questo mi racconta che il cantante, o cantautore, o artista, chiamatelo come vi pare, Lui, Mimmo Locasciulli, insomma, è lì. Dove non si sa, ma c’è. In tutto questo tempo non mi pareva di essere minimamente emozionata, nonostante tutto sia per me una novità. La mia prima volta assoluta in trasferta apposta per un concerto, la mia prima volta assoluta a un concerto tutto di Mimmo.

Guardo l’orologio, le 21,30 sono passate da poco. Dopo poco tempo, uno dei responsabili del locale, annuncia che di lì a poco si inizia. Forse sento qualcosa che si muove, dentro di me, forse sono i primi segni dell’emozione. Eccolo, arriva, saluta, si siede, si guarda intorno; si rivolge in particolare a chi, tra i presenti, potrà vederlo solo di spalle.

Racconta dei dubbi che ha avuto sulla opportunità di cantare da solo (il concerto era previsto inizialmente in quintetto) e del fatto di avere poi deciso di farlo solo perché si svolgeva lì, in un luogo amato e in cui si sente davvero a suo agio, rassicurato. Ha espresso al pubblico la paura che lo coglie prima di ogni concerto, nonostante i quarant’anni di esperienza. Il cappello è la mia coperta di Linus - dice anche oggi (frase topica locasciulliana) serve a nascondere le mie insicurezze, (altra frase topica) non la violenza della natura (ridiamo tutti) - aggiunge togliendo per un attimo il cappello e lasciandoci intravedere questa presunta "devastante" violenza.
Mi piace questo aspetto: è sempre positivo non avere resistenze a esternare le proprie insicurezze, e poi, lungi dal pensare che sia una tattica da artista consumato, fa presa sul pubblico. Funziona sempre.

Essendo questo un concerto particolare, Mimmo ha deciso di impostarlo in modo un po’ diverso dal solito. Ha preparato due scatole di cartone con dentro tanti bigliettini sui quali è scritto un numero al quale corrisponde una canzone. C’è la scatola delle canzoni lente, e di quelle un po’ più movimentate. C’è una terza scatola che contiene pezzi "imprevedibili", nel caso in cui gli venisse in mente di farne qualcuna. Mimmo invita qualcuno del pubblico a estrarre il primo bigliettino, e la prima canzone è il suo inno alla libertà, la sua canzone in abruzzese, Vola vola vola. (Si dichiara molto contento dell'inizio voluto dalla sorte.)

Alterna canzoni e parole, Mimmo, e io non so se mi piaccia di più sentirlo parlare o cantare. Mi sento sempre più emozionata, e davvero un’espressione beata non mi abbandona per tutto il concerto. Gli applausi sono copiosi e spontanei. Si "allunga" per raggiungere file di sedie più distanti, pencola appoggiato a una colonna. Coinvolge tutti i settori, a parte le ultime file, perchè fin lì non riesce ad arrivare.

Davvero Mimmo Locasciulli, ora, dopo averlo letto tante volte scritto da altri, posso testimoniarlo anch’io, non si risparmia durante le sue performances. Canta moltissime canzoni, le interpreta con una passione sconfinata, si vede che le sente, e questo ha una inevitabile conseguenza fisica. Suda le classiche sette camicie, diventa porpora; è molto carico, ma questi concerti, in cui certo non ci sono salti o acrobazie, richiedono una buona resistenza fisica che dimostra di avere.
Ho modo di capire le ragione di quell’altra frase che lo riguarda. "Chino sul suo pianoforte", "piegato sul suo pianoforte". Vero, a volte completamente adagiato. C’è una totale compenetrazione tra il piano e il pianista, che ci sorprende, anzi, no, ce l' aspettiamo, però ci piace molto, con le sue variazioni e i suoi virtuosismi.

Fa di più: lo bacia, quel piano del Folkclub, si sente proprio lo schiocco, gli fa una dichiarazione d’amore: lo amo questo pianoforte.

Mimmo Locasciulli è un artista affascinante: lo aiutano la sua bellissima voce, dice cose interessanti, e a me personalmente piace di più quando aggiunge qualcosa di nuovo al repertorio di frasi consuete, a quelle che fanno parte del corredo personale dell’artista. Oggi riesce a ottenere molto dalla sua voce, canta davvero bene, nonostante piccole defaillances, (dimentica qualche parole, incespica di tanto in tanto sulle note, in qualche occasione ricomincia da capo: gli dispiace, perchè "davvero le mie canzoni le conosco tutte") che me lo rendono molto più caro che se fosse perfetto. Devo aggiungere anche che quella che io ho sempre definito una bella faccia, seppur non convenzionale, osservata da vicino è molto più bella. Intanto sembra molto più giovane, il nostro artista, e ha occhi chiari e sorriso smagliante. Le telecamere e le foto non gli rendono giustizia.

Ogni canzone una emozione, ogni canzone un ricordo, ogni canzone un pezzetto di cuore che muore e un altro che rinasce a nuova vita.

La terza, se non ricordo male, canzone cantata, è Tango dietro l’angolo, "una di quelle" - dice lui, "che in genere canto alla fine, perché mi scalda molto e poi vado sopra le righe". Che bella!
Ogni canzone una storia e il racconto di aneddoti legati ad essa. Uno, quello legato a Natalina, che racconta sempre, lo racconta anche oggi, perché qualcuno tra il pubblico non lo conosce. Io l’avrò letto e sentito venti volte, ma lo ascolto ancora con piacere.

Fa un po’ il professore, Mimmo, e a un certo punto, sbalordendomi, interroga il suo pubblico, su certe citazioni (Tutto è stato già scritto, tutto è stato compiuto... riferimento alle ultime parole di Cristo sulla croce prima di spirare, Ed un piccolo chiarore, si trasforma in una luce, e qui siamo alla caverna di Platone) contenute all’interno de La disciplina dell’amore (Il titolo è un chiaro riferimento a Pascal, del quale cito un passo: L’uomo è nato per pensare; e davvero non c’è un momento in cui non lo faccia: ma i pensieri puri, che lo renderebbero felice se fosse in grado di farli durare, lo affaticano e lo abbattono. Rendono la vita monotona, e l’uomo non riesce ad adattarvisi; ha bisogno di movimento e d’azione, ogni tanto deve essere agitato da passioni di cui sente nel suo cuore sorgenti molto vive e profonde.
Le passioni che gli sono più vicine, e ne richiamano parecchie altre, sono l’amore e l’ambizione: non hanno alcun legame tra loro, anche se le si accosta molto spesso: e infatti l’una indebolisce l’altra, reciprocamente, per non dire che si distruggono a vicenda.)
Si verifica in sala un clima da pre-interrogazione scolastica, quando il professore legge i nomi sul registro, e tutti guardano il banco, o la punta delle dita. Nessuno risponde. Vi boccio - scherza il nostro filosofo mancato per un soffio.

Io, che un po’ la sindrome della prima della classe ce l’ho, soffro a non alzare la mano e mostrare quanto sia stata diligente, ma il pudore e il senso del ridicolo hanno il sopravvento, e rinuncio così a fare la mia bella figura. NO, non è la verita, ho avuto paura che mi chiedesse di approfondire, e di non essere all'altezza...
In L'interpretazione dei sogni, c'è invece il richiamo alla notissima opera di Freud, di cui in molti sanno l'esistenza, mentre l'opera di Pascal è decisamente meno nota ai più.
Altri aneddoti raccontati, e qui sono personali, sono quelli legati alla canzone Buoni propositi, che mi ricorda un passato remoto, i miei vent’anni, e mi mette una grande allegria quando la ascolto. Buoni propositi a distanza di tanto tempo messi in atto, almeno in parte, dal nostro.

Ancora la ruvida Il giorno più difficile, concepita in una notte di guardia in ospedale, in una delle tante giornate difficili, e immediatamente comunicata telefonicamente dall'autore al suo produttore di allora. Come la capisco questa smania.
Un’altra canzone che, dice Mimmo, "gli da gusto": Piano piano, che da molto gusto anche a me.
Davvero tutte non le ricordo; ha concluso con Cara Lucia, dopo essere rientrato a concerto concluso per il bis, acclamatissimo. Insomma si sono alternate canzoni vecchie (Natalina, Piccola luce, Buoni propositi, Gli occhi, Pixi dixie fixi...) con canzoni dell’ultimo album (Idra, La disciplina dell’amore, Senza un addio, una che ci teneva proprio a cantare, Benvenuta) da Aria di famiglia (il pezzo omonimo) da Tango dietro l’angolo (title track e II giorno più difficile) da Sglobal, (Correre baby, L’autunno dopo tutto) da Piano piano (la canzone omonima, L’interpretazione dei sogni).
Canta anche Blu, che forse non è una di quelle che fa più spesso. (?)
Blu per non dimenticarcelo è in Adesso glielo dico.

Tutte ora non sono in grado di elencarle, ma davvero Mimmo non si è risparmiato, davvero è un artista molto generoso. Piccole defaillances a parte (che ribadisco aggiungono, e non sminuiscono) è un perfetto dominatore del palco e del rapporto col pubblico, dosa bene giuste intonazioni e pause, imita il suo amico cantante americano dalla voce roca, quando, a proposito di qualche “errorino” dice è il piano, non sono io, e la voce è davvero imitata benissimo. Insomma, promosso a pieni voti, anzi gli conferisco pure lode e bacio accademico, a questo signore che dopo questa splendida esperienza mi ha lasciato il desiderio di riviverla ancora, molte e molte volte, in duo, in terzetto, in quartetto in quintetto, con la band, con l’orchestra, in qualsiasi modo va sempre bene.

Basta che ci sia Mimmo Locasciulli, artista generoso e dilettante di lusso, (nel senso che la musica per lui è pure diletto, pura passione) come gli piace definirsi. Scrivetemi e ditemi pure che sono un dilettante, ma di lusso - ci comunica.
Detto fatto: Un forziere di gemme, sei, un hotel a sette stelle, un mare di Barolo, un quintale di tartufi bianchi, una tonnellata di bottarga di Cabras (Tutta roba che mi interessa di più).
Altro che lusso, lusso sfrenato.

… Non riesco a ricordare niente altro, del concerto. Ricorderò tutto a pubblicazione avvenuta, ne sono certa. La notte dopo il concerto avrò dormito, male, due ore; le altre notti ugualmente pochissimo. Mi svegliavo e pensavo: Mi pare di aver sognato di essere stata a Torino, a un concerto di Mimmo…
In conclusione, voglio ancora una volta ringraziare i due ragazzi pescaresi, presenti al concerto, che ho (non avevo scelta, avevo un po' di timore a stare da sola per strada, di notte) "abbordato" perchè mi "custodissero" in attesa del taxi che mi avrebbe riportato in albergo. Grazie, ragazzi, vi sono grata.
Grazie anche, anche se questi non avranno occasione di affacciarsi qui lo faccio lo stesso, ai tassisti torinesi, gentili, e attenti, che hanno atteso che scomparissi dentro il locale e dentro l'hotel. Per fortuna, tra tante persone poco attente e poco cortesi, ce ne sono altre fatte di altra pasta.

domenica 5 dicembre 2010

FINALMENTE CE L'HO FATTA!

Sabato 4 dicembre, finalmente, dopo una lunga e non spiacevole attesa durata, un po' intenzionalmente, un po' no, circa quattordici mesi, (un parto molto molto lungo, e non indolore) sono riuscita a rendere reale il mio piccolo sogno di cinquantenne pazza scatenata, e ho assistito, con un sorriso ebete stampato sul volto per più di due ore, e con le mani impegnate in un applauso durato altrettanto, al concerto, emozionante, coinvolgente, irresistibile di un Mimmo Locasciulli in forma smagliante. Questione di poco e racconterò le mie sensazioni di spettatrice emozionata e straordinariamente felice. Ho bisogno di riordinare le idee e gestire le emozioni, nonchè di ritornare alla base, nel mio studio di Folgorata. Qui sono fuori sede, e mi dedico a cose più materiali, tipo degustazioni di vino e formaggio piemontesi. Per la spiritualità ci sarà spazio a Cagliari. Non vedo l'ora di tuffarmi nella scrittura delle emozioni!

giovedì 18 novembre 2010

ZONDER PROBLEMEN? LE INSIDIE DELLA TRADUZIONE





ENTRAMBI PORTANO IL CAPPELLO, TUTTAVIA....

E dire che avevo pensato a suo tempo, di cimentarmi nella traduzione, libera, pur nel rispetto delle intenzioni dell’inclito Nume, de L’inganno del tempo, in quella che avrebbe potuto essere, ma non è stata, la mia lingua madre, il sardo. Meno male che l’ardito progetto non è andato in porto, meno male che la traduzione, rivelatasi quasi subito molto ardua, non è andata al di là di una forma solamente (e malamente) pensata, nelle due varianti sardo campidanese e sardo barbaricino del sud, quelle nelle quali un po’ mi districo. Il mio, nelle intenzioni avrebbe voluto essere un omaggio, ma nei fatti sarebbe stato uno scempio, per cui ho desistito e problemen me ne sono posta eccome.

Certo, al massimo il mio testo avrebbe avuto la "sfavillante" ribalta di Folgorata, nessun supporto lo avrebbe accolto, ma il risultato sarebbe stato deludente, e avrei certamente perpetrato un tradimento: per quanto a volte qualcuno sostenga che si tradisca per troppo amore, io ho preferito rinunciarvi. Quando poi, raggiungendo un piccolo obiettivo che mi ero prefissata, ho comprato e letto un libro che tratta proprio delle questioni intorno alle traduzioni di canzoni nate in un lingua, e riproposte poi in un’altra, ho tirato un sospiro di sollievo, perché, da quel che leggo, l’inclito Nume forse non avrebbe gradito il mio omaggio, tanto appassionato quanto inopportuno.

Nel lontano 1987 un cantautore olandese, Andrè Hazes, pubblicò un album di cover di canzoni italiane molto note, Volare, Piove, Sei rimasta sola…Tra queste trovò posto anche la bella Cara Lucia di Mimmo, tradotta dal signor Hazes con il titolo Zonder problemen, che vuol dire senza problemi. Evidentemente ne fu colpito, dimostrando con questa scelta un certo buon gusto. Forse ha fatto delle canzoni italiane un tutt’uno un po’ indistinto, le ha accostate insieme senza troppo discernimento, ma era sicuramente mosso da buone intenzioni. Attingiamo direttamente alla fonte, riportando le esatte parole di Mimmo Locasciulli. Sono d’accordo che tradurre sia un po’ tradire, premetto questo, tant’è che avrei molta paura se qualcuno volesse tradurre i miei testi in altre lingue… Mi hanno regalato, in vinile, la versione di un rozzo cantautore olandese, di cui non ho presente neanche il nome, di una mia canzone intitolata Cara Lucia, tradotta come Zonder problemen, non so neanche cosa voglia dire… Però immagino che sia difficile per un autore riconoscersi in una traduzione… Di Zonder problemen uscì il 45 giri, che immagino sia quello ricevuto in dono da Mimmo (lo avranno graziato evitando di donargli l'intero album) e che ora dovrebbe essere un pezzo da amatore....
Una riflessione: com’è possibile pubblicare qualcosa di un altro senza chiedere l’autorizzazione? Gliel’avrà chiesto, il permesso, o no, il signor Hazes, al dottor Locasciulli proprietario dei diritti? Io ho ascoltato la versione olandese, questa Zonder problemen.
http://www.youtube.com/watch?v=QZ7I6QtRQBI Chiunque può ascoltarla per potersi fare l’idea che crede. Che dire? Me la posso cavare diplomaticamente sostenendo che la musica di Mimmo, seppur riproposta con un arrangiamento molto…olandese, nobilita qualsiasi cosa?

Lasciando da parte i problemen, mi soffermo per un momento sul libro, La Tradotta, Storie di canzoni amate e tradite, Pieve al Toppo, Zona, 2003, diretta conseguenza di un momento di incontro sul palco del Tenco, avvenuto nell’edizione del 2002, quando un certo numero di persone, cantautori, autori, critici, molto diversi tra loro per provenienza, generi, età, sesso (ci sono anche delle donne, sempre poche) ma uniti dalla comune avventura di essersi cimentati chi occasionalmente, chi più frequentemente, chi sistematicamente nella traduzione di canzoni di artisti stranieri, racconta la propria esperienza. Di fatto tale incontro in realtà fu un vero e proprio convegno, dal titolo Tradutori & Tradittori, e il libro La tradotta ne contiene gli atti.
Chi ha curato la trascrizione intelligentemente si sente di poter assimilare a una traduzione da una lingua straniera, il passaggio dal linguaggio informale, immediato e colloquiale delle testimonianze durante l’incontro, a quello più formale della scrittura. Si è tentata una mediazione tra le due forme, tentando di conciliare immediatezza e fluidità con chiarezza e precisione.

Alla fine del libro troviamo un quasi censimento degli autori che sono stati tradotti, di quelli che li hanno tradotti e delle opere tradotte. Una vera miniera di informazioni, una lettura interessante che permette di scoprire al di là delle cose più note, tante curiosità. Trovo come traduttori alcuni signori (pochi a dire il vero) che a mio avviso conoscono, e non benissimo, solo l’italiano o qualche forma dialettale. Sicuramente è una mia errata convinzione, ma danno quell’impressione. Forse qualcuno avrà tradotto alla lettera per loro, e loro avranno aggiunto il marchio d’autore. Chissà!

La molla, al di là di operazioni meramente commerciali, (abbastanza frequenti in passato, come accadeva in cover spesso improbabili degli anni sessanta) è spesso da ricercarsi nel grande apprezzamento nei confronti di alcuni grandi e molto noti, che induce chi traduce a rendere loro un tributo, ma anche nel desiderio di far conoscere artisti altrettanti grandi, ma molto meno noti. In entrambi i casi è una sfida da parte di chi traduce, che deve entrare nel mondo dell’autore per renderne nel modo migliore possibile, in un’altra lingua, non solo il testo, ma proprio gli intenti, lo spirito, la poetica. Tradurre è un po’ tradire, come convengono in molti, (anche Mimmo nel suo intervento) e come ci suggerisce la comune radice delle due parole.

Non è raro che quello che vorrebbe essere un omaggio non venga considerato tale, e che spesso chi ha tradotto sia stato osteggiato e bocciato dall’autore. Ne sa qualcosa Mimmo che ha dovuto combattere non poco per alcune canzoni contenute nel suo Il futuro, e ha dovuto rinunciare a inserirne altre perché gli autori non hanno accordato l’autorizzazione. A un certo punto, dopo una serie di estenuanti scambi di fax con gli avvocati, e continui ostacoli, aveva pensato di non andare avanti col progetto discografico, finchè, per converso, e per fortuna altri artisti diedero il loro placet nel giro di brevissimo tempo e senza opporre alcuna resistenza.

Il futuro è come sappiamo bene un album del 1998. Mimmo già in un passato lontano si era cimentato nella traduzione di alcuni brani di Dylan (forse il più tradotto in assoluto, scopro anche in sardo) e di Brel e Brassens, (anch’essi tradottissimi, come molti altri francofoni, in alcuni casi integralmente, non solo in italiano, ma anche in milanese, in bolognese…) per non parlare, con l’aiuto dei suoi amici scandinavi del tempo di Perugia, perfino di artisti folk norvegesi, (lì poteva davvero sbizzarrirsi) ma si era limitato a cantarle, quelle sue versioni, e non le aveva mai incise. Nell’ultimo scorcio degli anni settanta si era cimentato, e anche questo lo abbiamo ricordato, perfino con Brecht, proponendo ai discografici della RCA una versione di Mio fratello faceva l’aviatore, anch’essa mai pubblicata.

Dopo il lungo, ma alla fine felice parto de Il futuro, Mimmo ha curato la versione italiana di Hotelsong, ma questa è stata una cosa fatta in amicizia con il suo amico Büne, che a sua volta l’ha omaggiato con la versione tedesca di Natalina. Ha tradotto anche un’altra canzone di Randy Newman, I miss you, che mi sono subito andata a sentire, (nell’album del 1998 aveva inserito I’ts money that I love, Sono i soldi che amo) e ha, sempre in occasione del suo intervento al Club Tenco da cui poi è scaturito il libro, dichiarato di avere l’intenzione di pubblicarla, autore permettendo, in un album successivo. Concordo pienamente, molto nelle corde, anzi nei tasti di Mimmo, questa canzone. Spesso nel corso di questo mio cammino ho trovato intenzioni e progetti non realizzati, e mi domando se il tempo o il superamento dell’interesse li abbiano cancellati, o se siano ancora vivi in qualche angoletto, ben custoditi, in attesa che arrivi l’occasione giusta.

Mi piace, in conclusione, riportare ancora qualche stralcio della testimonianza di Mimmo Locasciulli … Tradurre, in definitiva, è andare, invitati o forzatamente, in casa d’altri, guardare tutto com’è fatto, vedere perché un quadro è stato messo lì…e tornare a casa propria per tentare un ripristino totale di quelle sensazioni.Non sono un traduttore e quindi è molto difficile per me entrare nella cifra compositiva altrui. Non mi piace l’idea di violentare, forzare, derubare, spogliare (come amo dire io, in queste parole c’è tutto lui) Ci sono autori che non sono in linea mentalmente e spiritualmente con me. Viviamo mondi diversi e culture diverse, e soprattutto trovo molto brutto che nel mondo della musica, che dovrebbe essere un mondo di vicinanze e un mondo di comunione, ci siano comunque degli interessi, degli ostacoli di ordine legale, burocratico, economico, che tolgono ecumenicità e universalità a questa bella cosa che è la musica.

Pur dichiarando quella della traduzione una bella esperienza, che comunque finisce qui, una piccola eccezione, la fece in occasione dell’invito a mettere in musica delle poesie. (Ne ho già ampiamente parlato dunque non ripeto i dettagli.) Ne scelse alcune di Cohen, (a parte Idra, delle altre non ho trovato traccia alcuna da nessuna parte. Spero che Mimmo almeno si ricordi che cosa ha tradotto, altrimenti noi biografi siamo messi male e soprattutto che il libro scomparso sia di nuovo bene in vista nella sua libreria) ma si limitò a cantarle in occasione dei recital di Torino e del Cairo.
Questo per quanto riguarda Mimmo. Se i miei tre piccoli lettori volessero leggersi integralmente le riflessioni, prima di tutto quelle di Mimmo Locasciulli, ma anche degli altri suoi colleghi che si sono confrontati, e si sono confidati storie di canzoni amate e tradite, non hanno che da comprare il libro. (Costa sedici euro, meno di uno dei tanti libri-panettone, che come tali riempiono il cervello di colesterolo, e non nutrono l'anima.) Se non volete comprarlo, andate a consultarlo o a richiederlo in prestito in una bella biblioteca.
Dopo averlo letto, penserete - Folgorata aveva proprio ragione!

domenica 7 novembre 2010

IN NOME DELL'AMICIZIA

Oggi c’è stato un concerto, a Roma, al Teatro Olimpico, per ricordare Corrado Sannucci e per parlare dell’Associazione, che si chiama Stentore, come il personaggio omerico dalla voce possente, che è stata istituita dalla moglie e da un gruppo di amici di Corrado. Il senso di quest’associazione, è oltre che ricordarlo, continuare a lavorare per le cose cui si era dedicato e in cui credeva, e anche, a tal scopo, come nel caso della manifestazione di oggi, raccogliere fondi proprio perché si possano realizzare i progetti dell’associazione. Molti articoli sono apparsi in rete e sui giornali per diffondere questa iniziativa.
Sul sito dell'associazione http://www.corradosannucci.it/ si possono trovare maggiori informazioni.

Non ne ho parlato prima, perché sarebbe stato del tutto inutile, data la scarsa diffusione del mio blog, che mai avrebbe potuto fungere da cassa di risonanza. Ne parlo oggi, a cose fatte, convinta che il concerto abbia avuto un grande successo, per la risposta del pubblico, ma anche perchè tante persone che lo conoscevano si sono ritrovate unite dall'affetto e dalla stima per l'amico. Tra gli altri vi ha partecipato anche Mimmo, che Corrado Sannucci lo ha conosciuto al Folkstudio, quando entrambi erano giovani studenti di medicina, e cantautori della fucina del locale romano. Sull’Unità di ieri è apparsa un’intervista a Mimmo Locasciulli, in relazione alla manifestazione di oggi dedicata a Corrado. Mimmo ricorda le conversazioni e le discussioni appassionate e stimolanti con l’amico, molto impegnato in politica, molto “estremo” nelle sue posizioni. Ne ricorda le doti di cantautore, fa riferimento ad alcune canzoni. Credo che si fossero ritrovati qualche anno fa, e che avessero ripreso a frequentarsi. Credo anche che Corrado abbia fatto ascoltare a Mimmo delle nuove canzoni, e che ci fosse anche l’intenzione di pubblicarle, ma poi non so bene perché, la cosa non ha avuto un seguito, o non c’è stato il tempo.
Io di Corrado Sannucci non sapevo niente, forse solo che era un giornalista della redazione sportiva di Repubblica, ma non leggevo i suoi articoli (quelli di sport in genere, al di là del valore del singolo giornalista, ed è sicuramente un mio limite). L’ho incontrato nel corso del mio viaggio a dorso di mulo, per Mimmo e dintorni, che sono piuttosto estesi, ma spesso riportano al Folkstudio. Ho letto qualche intervista a Sannucci in cui era menzionato l’incontro con Mimmo, la nuova frequentazione, il progetto di fare qualcosa insieme. In un’altra intervista di Mimmo, dei tempi di Sglobal, ho trovato riferimento al disegno della bambina, che poi ho scoperto essere figlia di Corrado (ne avevo parlato in un vecchio post, senza entrare troppo nel dettaglio delle identità) che divenne poi l'illustrazione della copertina di Sglobal.

Mi sono incuriosita e sono andata ancora a cercare, e purtroppo, come tante altre volte in questa ricerca e nella vita, ho trovato una storia di malattia contro la quale Corrado, da combattente quale credo che fosse, ha lottato sperando di farcela, e invece così non è stato, perché è morto nell’ottobre del 2009. Ho visto un video, in cui parlava della malattia e presentava il suo libro, A parte il cancro tutto bene, un titolo che nasce da una conversazione di Corrado, credo (non ho ri-verificato niente, per questo pezzo, vado a memoria e mi scuso per eventuali imprecisioni) con un giovane barista che gli chiedeva come stesse. Ho il cancro - rispose Corrado e il ragazzo, di rimando - E a parte il cancro, tutto bene?
Corrado Sannucci per come mi appare nelle immagini che ho visto, quelle di ragazzo e quelle di uomo, era una persona con un fisico imponente, con una bella faccia su cui brillavano due occhi sorridenti e ironici. Aveva la barba, in molte foto, e una gran massa di capelli, diventati poi bianchi, tenuti in una coda molto lunga. Ci teneva tanto, a quella chioma: ne parla nel video, quando ormai, per le cure, aveva perso i capelli, con una certa nostalgia. Pur nella consapevolezza della malattia, aveva ancora moltissima speranza di farcela.
So che aveva lavorato fino all’ultimo.

Insomma, alla fine ne ho parlato. Una persona interessante e dai molti interessi, che ha lasciato molti germogli. L’associazione voluta dalla moglie Maresa e da un gruppo di amici di Corrado, credo che abbia proprio l’intenzione di lavorare su questi germogli. La manifestazione di oggi è la prima tappa di un cammino tutto da percorrere.
Nel libro su Roma di cui ho parlato la volta scorsa, è citato anche Corrado Sannucci.

Da lì traggo uno stralcio di una sua canzone. (A casa, a casa)
A casa, a casa, 6,30 esatte
A casa, a casa, via dalla notte
E la notte è già luce del bagno
Un sapone di calce e di stagno
E la calce è già muro in cucina,
La cucina si squaglia nel latte
Ed il latte è già sveglia profonda
Lei ti guarda e sembra nasconda
La tua casa e poi dietro la porta
Dov'è che finisce la porta
Dov'è che comincia la strada
Dov'è che la strada dovunque essa vada
Che poi ridiventa il portone
Dov'è che il portone si sdraia a scalino
E le scale si allargano a stanze
Dov'è nella stanza la sedia che siedi
Dov'è che poi appoggi i tuoi piedi
E i piedi diventano tavolo e foglio
E il foglio diventa rumore
Dov'è che il rumore diventa una voce
E tremore diventa scrittura
E la scrittura diventa una macchia
la macchia s'allarga col tempo,
Dov'è che il tuo tempo diventa un'attesa
La stessa che imbocca le scale
E la scala si drizza a portone
E il portone si sdraia per strada
Dov'è che la strada dovunque essa vada
Che poi ridiventa la porta
Dov'è che finisce la porta, e sei
Ancora a casa, ancora a casa...

mercoledì 3 novembre 2010

DI NUOVO DENTRO UN LIBRO: MIMMO LOCASCIULLI E ROMA


Mi sarà rimasta ancora qualcosa da scoprire, su M.L.? Io penso di si, che ci sia molto altro, oltre le notizie in mio possesso che ho prontamente trasferito su questo spazio. Sono sempre stata molto felice quando, e ormai mi è già accaduto parecchie volte, avendo maturato la convinzione di essere arrivata a raschiare il fondo del barile, in maniera del tutto inaspettata, o casuale, nuovi spunti si sono offerti alla mia inesauribile curiosità. Nel caso specifico di oggi, si tratta di un libro, Roma, suoni dai sette colli : guida alla citta e alle sue canzoni / Alessia Pistolini Civitella in Val di Chiana, Zona, 2006, che, confesso, ho acquistato perché sapevo che, dentro, ci avrei trovato la viva voce di Mimmo Locasciulli, la sua testimonianza. L’autrice, alla quale, forse senza farne il nome, avevo più volte fatto riferimento, ha in più occasioni intervistato e recensito Mimmo, nel corso della sua attività di giornalista musicale. In questo lavoro, che è una vera e propria guida di Roma, strutturata in capitoli dedicati ai singoli rioni, e quartieri, (c’è differenza) proponendo itinerari e raccontando monumenti, o dedicando piacevoli “interludi” ad aspetti della città, attraverso le canzoni di diverse generazioni e di cantanti e cantautori, che l’hanno, ciascuno alla sua maniera, celebrata, ampio spazio è lasciato alle testimonianze di alcuni di essi. Ciascuno secondo la sua esperienza e sensibilità, raccontano il rapporto con la città.
Mimmo Locasciulli non ha dedicato canzoni a Roma, la città è menzionata esplicitamente in una sola canzone, Alice è felice, ma, vivendo una buona fetta della sua vita nella città, ed essendo Egli costantemente ispirato dai vari input non è escluso che, indirettamente, la sua produzione ne sia stata influenzata. A ben pensarci, la città è citata a anche in Povero me, ma qui la responsabilità è condivisa con il coautore. Cammino come… un deragliato… (deragliato è insuperabile)… per le strade di Roma. (Per le strade di Roma è anche il titolo di una canzone di Francesco, che si trova in Calypsos, uno dei miei album preferiti, tra i recenti.) Forse in una grande città il senso di deragliamento, di scoramento è ancora più forte.
L’autrice del libro riporta alcuni versi molto noti di Intorno a trent’anni, …Con una città che sa menare le mani e con un pugno ti stende per terra. Sarà Roma la città, o sarà un sublimato di città? Il rapporto che M. ha con la capitale, lo ha in più occasioni molto ben descritto egli stesso, in particolare in quella pagina in cui fa riferimento alla sua anima abruzzese. Sintetizzando, Roma ha avuto e ha un ruolo importante nella sua vita, lo ha plasmato, ha tracciato le sue rotte, ma non lo ha inglobato, fagocitato, posseduto; la sua identità abruzzese è molto netta; nella città vive e opera (in senso stretto e in senso lato) ma per quanto possa essere stimolante, appare evidente che è a lui più confacente una vita in una dimensione più a misura d’uomo, più a contatto con la natura, che gli permette di ritemprarsi e di ritrovare le energie che la grande città - con il suo traffico, i suoi impegni incalzanti, i continui squilli del telefono, (spegnilo, ogni tanto, almeno uno) i contatti, i tempi stretti - assorbe.
Durante i primi anni a Roma, dichiara Mimmo Locasciulli, la città per lui era l’Università, la casa dove abitava, e la casa di un cugino proprietario di un atelier con clientela selezionata, (sarà quello molto noto che ha dato al marchio il nome delle isolette dell’Adriatico?) dove trascorreva molte serate. E poi naturalmente il Folkstudio, che quando lo frequentava lui, era nella sede di Via Sacchi. (Inciso: il Folkstudio è una colonna portante del libro, se ne parla moltissimo. Anche in riferimento alle diverse sedi che ha avuto. Per Lui, il Folkstudio è quello di Via Sacchi. Nella sede precedente di Via Garibaldi, non c’è mai stato. In quella successiva di via Frangipane, dove il locale si era trasferito intorno al ’92/’93, non ci ha più messo piede, perché evidentemente quel tempo a lui caro, quelle atmosfere, la pulsione eroica nella musica, ormai forse non c’erano più.) Insomma, percorreva sempre le solite strade note, da buon abitudinario come dichiara di essere.
Pare che a distanza di tanti anni continui a non avere una completa padronanza della città, a non conoscere i nomi di tante strade, e a non sapere come arrivarci, per cui si avvale delle consulenze dei figli, che a Roma si spostano con molta disinvoltura. Secondo me è un vezzo, un altro modo per mantenere un affettuoso contatto con loro, che magari altrettanto affettuosamente lo prendono in giro. Insomma io mi immagino questi bei quadretti familiari, Mimmo già pronto di tutto punto, in giacca cravatta e camicia chiara e borsa portadocumenti, perché ha un impegno di lavoro, Matteo appena alzato in pigiama e molto spettinato, le marmellate di loro produzione sulla bella tovaglia del mattino, l’uovo à la coque appena deposto da Bianchina, il profumo del caffè… Papà, allora devi passare per… poi svolta a destra, poi ti trovi davanti alla rotonda… ma quando imparerai a usare il navigatore satellitare? Mai, perché le indicazioni di un figlio non sono paragonabili a quelle di un aggeggio elettronico. (Mie fantasie, in cui per i condizionamenti subiti sono portata a immaginarmi certe scenette. Magari di mattina nella casa storica di Mimmo, quella della via del romanzo, tra Esquilino e Monti, Matteo non c’è, in pigiama: è grande, starà da tempo per conto suo.) E poi Roma è dispersiva anche per i Romani veri - dice sempre M. - e si finisce per muoversi con destrezza solo nei luoghi che abitualmente si vivono e si frequentano.

Ormai nel suo quartiere, come accade un po’ dovunque, nelle città grandi e ahimè, anche in quelle meno grandi, scompaiono gli artigiani, i calzolai, i sarti, le piccole mercerie; si vedono solo i lampioncini rossi dei negozi cinesi, i ristoranti multietnici, una dimensione globale che al Nostro non dispiace, ma un mondo cui tutti eravamo almeno un po’ affezionati se n’è andato e se ne sta andando.

Sono riportati nel libro alcuni aneddoti che Mimmo ama ricordare spesso, quando se ne presenta l’occasione. Uno di questi è la nascita di Piccola luce, avvenuta proprio a Roma, di cui ho parlato tante volte, ma siccome, forse, in passato qualche particolare mi può essere sfuggito, ora faccio ammenda e riporto integralmente le parole di Mimmo. Mi tocca per contratto.

Per esempio Piccola luce è stata scritta nel ritorno dall’Acea, che sta lì a Piazzale Ostiense, sul tram numero tredici che mi riportava a Via M., perché ero stata a pagare le bollette della luce, e la sera prima o due giorni prima al Folkstudio c’era stato un concerto di un duo – Ettore e Carolina De Carolis, che cantavano le canzoni della Valle del Pescara, folklore abruzzese – e avevano inciso un disco di canzoni abruzzesi intitolato Stelluccia del cielo non ti scurire. Quindi, tra l’Acea dove andavo a pagare la luce, e Stelluccia del cielo non ti scurire, sul tram numero tredici è nata in cinque minuti una canzone.

Un altro episodio che M. racconta sempre è quello dell’unico spettatore presente al suo primo concerto serale al Folkstudio. ll gioco di sguardi, la comunicazione non verbale tra i due, e tutto il resto, li conosciamo. La cosa però ha avuto un seguito simpatico. Un bel po’ di anni fa, a una trasmissione radiofonica (quante me ne sarò perse negli anni del mio parziale oblio, ma come mi sono applicata per recuperare…) ricordò, forse per la prima volta, la storia degli occhi che dicevano Ehi amico guarda che ho pagato il biglietto e tu canti anche se sono solo, e degli altri occhi, che di rimando, - Ehi amico ti prego non te ne andare - e dopo una settimana gli arrivò una cartolina dell’unico spettatore, Caro Mimmo ero io, sai faccio il medico a Ostia. Terreno comune… Magari era un suo collega alla Sapienza e lui non lo sapeva.

Tornando alle considerazioni sulla città, Mimmo pone l’accento su un fenomeno che si verifica spesso, purtroppo, non solo a Roma: la mancanza di partecipazione e solidarietà, l’incapacità di intervenire a sostegno di qualcuno in difficoltà, o peggio di qualcuno brutalmente aggredito e lasciato a terra. Indifferenza o paura? A me da poco è capitato di sentirmi un verme perché su un autobus, un signore molto anziano ha rimproverato un ragazzotto che teneva i piedi sul sedile di fronte. Apriti cielo, il bullo ha avuto una reazione aggressiva che rischiava di non essere solo verbale. Io fremevo, ma non sono intervenuta, avendo rischiato in altri casi simili, col mio intervento, di essere malmenata, ed essendo stata più volte insultata. Mi sono sentita un verme ugualmente, ma quello era un tipaccio: ho avuto paura e, magari vigliaccamente, non sono intervenuta.

Ancora Mimmo racconta di essere estasiato, (anzi folgorato, dice, per essere precisi; mi sto rendendo conto di quanto inflazionata sia la parola che ho scelto per il titolo, ma non ci posso fare niente, non ce n’è un’altra che renda l’idea così bene, banale e inflazionata quanto si voglia) e al contempo irritato da ciò che vede ogni volta che attraversa la città.

Pone l’accento anche sulla mancanza di accoglienza nei confronti dell’altro, del diverso, dello “straniero”. Trent’anni fa non l’avrei detto, ma forse trent’anni fa non c’era il problema.

Altre considerazioni su come cambia la città, nel corso degli anni, su come cresce e si estende a dismisura. Il ricordo della visita alle borgate, sulla scorta di suggestioni pasoliniane, la scoperta di una realtà totalmente sconosciuta. Lo stupore nel vedere un uomo che dormiva per strada, al suo arrivo a Roma, poi, durante il primo viaggio a New York, un barbone a ogni passo, cosa che evidentemente a Roma non accadeva ancora, mentre oggi…

Infine un ultimo accenno a un aspetto spinoso, un riferimento “alle maleducazioni” della gente, dalle quali, se c’è una popolarità, devi pure difenderti, mettere dei paletti, in primis in ospedale, e poi al ristorante, al semaforo (vecchi discorsi, affrontati in passato). Il tipo che mentre sei in ospedale, nel tuo ruolo di medico, in una circostanza particolarmente seria, ti apostrofa con un 'A Mimmo, e ti dà una pacca sulla spalla. In ospedale, al ristorante, al semaforo, dovunque, è una questione di educazione e di opportunità, di rispetto dei luoghi, dei ruoli, delle persone con cui sei, e di buon gusto. A un saluto educato, a un sorriso, che vuol essere un omaggio, e che non chiede altro, si può rispondere tranquillamente ovunque, anche col camice. (Lavato e stirato: da poco sono stata in ospedale e mi ha visitato un medico con un camice che non vedeva acqua saponata e ferro da almeno un lustro; non sono dettagli, anche qui c'è una questione di rispetto.) Su questo penso concordi anche Mimmo. Cosa c’entra con Roma tutto questo? Evidentemente in massima parte gli accadono a Roma, questi spiacevoli inconvenienti. Da lì eravamo partiti.
Basta, se qualcuno è interessato a sapere cosa racconta Mimmo, tutto tutto tutto, e cosa raccontano l’autrice e gli altri intervistati, lo compri, il libro; magari è fortunato come me, e nella sua città c’è un deposito della casa editrice Zona, che dedica molta attenzione, tra l’altro, alle tematiche musicali.
Siccome stasera sono molto minacciosa, prometto una nuova prossima incursione in un altro libro pubblicato dalla stessa casa editrice, che ho comprato indovinate perché? C’entrerà il nostro amico giustamente infastidito dalle “maleducazioni”?
Ai post l’ardua sentenza…

lunedì 1 novembre 2010

BELLA ANNATA, IL 1949!


Non potevo non domandarmelo, ne', pur non avendolo programmato, potevo alla fine rinunciare a far prendere forma scritta al pensiero che mi ha tenuto compagnia, fin da questo pomeriggio: "Ma ci sarà ora, mentre scrivo, Mimmo Locasciulli, all'Auditorium, a godersi la proiezione, in anteprima, del documentario di Thom Zimny, The Promise: the Making of Darkness on the Edge of Town, che racconta la genesi di un disco epico, e a respirare la stessa aria di uno che apprezza molto, The Boss? Chissà, io propenderei per il si. L'occasione, per chi può, e di quelle da non perdere. Mimmo e Bruce sono coetanei, (bella annata, il '49) hanno iniziato più o meno nello stesso periodo (il primo album di Bruce è di qualche anno prima rispetto a quello di Mimmo) si sono nutriti, musicalmente parlando, di cibo comune, e entrambi possono raccontare di concerti sotto la pioggia scrosciante, e di pubblico entusiasta che dalla pioggia non si lasciò minimamente scoraggiare. Bruce è cresciuto nel New Jersey e come ormai sanno anche i sassi, il nonno materno di Mimmo, Domenico, vi trascorse un po' di anni, lì, prima di far ritorno in patria. Il nonno materno di Bruce invece ci rimase, negli States, dopo esservi approdato dalla Campania. Sicuramente hanno degli amici comuni, i due ragazzi del '49. A Bruce piacerebbe molto il vino di Mimmo, ma a chi con un po' di sale in zucca e di curiosità nell'olfatto e nelle papille gustative non piacerebbe? Per inciso, a Roma piove anche stasera, e anche qui, nell'estrema propaggine dell'Africa del nord, ma non abbiamo Bruce, stasera, e neppure Mimmo.


Breve come raramente mi capita di essere, che non mi metto certo a parlare del Boss, che tra l'altro ha un sito ufficiale molto esauriente, e sul quale veramente c'è tantissimo materiale ovunque.


Domani leggerò i giornali, che dedicheranno ampio spazio all'evento. Andrò dritta alle pagine dello spettacolo, che il resto mi ha stufato.


lunedì 25 ottobre 2010

SARÓ LA PRIMA A COMPRARLO!


Sono ancora una volta la donna più felice del mondo, e sapete perché? Un segreto che non dovrei svelare a nessuno, ma devo, devo, devo confessarlo, altrimenti potrei scoppiare di felicità (e mi viene in mente una scena del film dei Monty Peyton, Il senso della vita, non so come mai…), e perché non posso tenerla tutta per me, questa felicità: sono stata a casa di Mimmo Locasciulli, la casa di campagna, dove, si, ero già stata qualche altra volta, ma l’ospite nelle precedenti occasioni era stato un po’ meno generoso, mi aveva tenuta al guinzaglio; oggi invece, libera, mi sono “sguinzagliata” non dico dovunque, ma in diversi ambienti ho potuto girare liberamente e osservare con molta più calma e attenzione. Ogni passo una beatitudine, ogni oggetto una curiosità soddisfatta, ogni angolo una storia. Casa calda accogliente ornata vissuta, piena di oggetti, piena di colori, piena di tessuti, ma piena soprattutto di buon gusto. Il tanto, che è tanto davvero, non è troppo, almeno per me, che non amo per niente le case fredde, monocolore, minimaliste, ma detesto il fronzolo, il ridondante, il kitch.


Qui è tutto perfetto. Ci sono delle ceramiche bellissime, dipinte, colorate e bianche, o semplicemente di terracotta invetriata. Ci sono scatole di latta, quadri, stampe, una vecchia carta geografica ancora con la dicitura "Abruzzi Molise", utensili da cucina di tutti i tipi, molte fotografie; c’è l'angolino degli scacchi (Mimmo scacchista, gli avevo dedicato un ammiratissimo minuscolo post) dove gioca con il figlio (chi?) c’è una cucina che da sola è un capolavoro non solo per l’aspetto, ma soprattutto per la quantità di prodotti di qualità, (molti preparati dai padroni di casa, che producono anche la frutta, hanno le galline, hanno l’orto, per il quale, immagino, corra copiosa l’acqua…) perché - dice Mimmo - io sono un fanatico del mangiare. (Lo sapevo, anche prima di averne la certezza, o meglio, come dire, lo percepiva il mio sesto senso: perché io debba provare un simile interesse per qualcuno la musica da sola non basta, ci sono sempre di mezzo, cibo, vino e libri, testa e cuore e voce.)


Quello è il mio studio - dice indicando il suo regno, la cantina, dove produce il suo Montepulciano d’Abruzzo, che mi riesce abbastanza bene - aggiunge. Insomma, io non è non mi fidi delle alate parole di Mimmo Locasciulli, ma le mie papille gustative mi chiedono una conferma. Allora mettiamolo in commercio, questo Rosso Saraceno, Montepulciano d’Abruzzo, tenute Locasciulli, corposo, gradazione alcolica intorno ai 13°, rosso rubino con riflessi violetti, ottimo con primi robusti, arrosti, arrosticini, cacciagione, pecorini d’Abruzzo e non, l’importante che siano prodotti buoni, nel senso locasciulliano del termine, e cioè gustosi, sani e genuini.


La dispensa di casa Locasciulli trabocca di vasetti di olive, cipolle, verdure sott'olio, marmellate, miele, tutti molto invitanti e civettuoli con le loro etichette e cartine smerlate, e arnesi d’obbligo per ogni cuoco che si rispetti, coltelli, macchine tradizionali per preparare la pasta, tritatutto… E poi ancora una collezione di oggetti di rame, di ceste, ancora ceramiche e terrecotte. Mi domando, da donna che per lunghi anni ha collezionato oggetti, scatole di latta, portauovo, piatti e altri utensili di ceramica, e che da qualche tempo ha detto basta, chi si occupi della manutenzione di quella casa, chi spolveri, chi lavi, chi sposti e rimetta nello stesso modo quella enorme quantità di oggetti. Chiunque sia, padrona di casa, (ruolo comunque impegnativo di supervisione) o collaboratrice, ha il suo bel da fare. Una casa che necessita di cure continue.


Il pezzo forte di una casa che ha parecchi pezzi forti è un bellissimo e grandissimo mobile abruzzese da emporio, di legno scuro, si, proprio uno di quelli che, come spiega il padrone di casa, costituivano la colonna portante dei vecchi empori di paese, dove si vendeva di tutto, dalle candele al carburo, dai chiodi alle stoviglie, dai quaderni ai prodotti alimentari, che doveva contenere tutte queste cose. In via di estinzione, questi empori, ma qualcuno ancora resiste. Ci sono altri bei mobili antichi, c’è perfino una acquasantiera grande, di quelle che si trovano in chiesa. Un certo numero di poltroncine, con belle tappezzerie, di seggioline impagliate, di deliziosi angolini.
I mobili e gli oggetti sono stati scelti con gusto e passione dalla padrona di casa, e si vede, che c’è amore, lì dentro, e anche tanto tempo speso dietro a quella passione.


C’è il pianoforte, chiuso, per esigenze di famiglia, dice Mimmo sorridendo, diventato un ripiano dove alloggiano foto (una di Penne dei primi del secolo), scatoline di porcellana, forse c’è qualche uovo Fabergé, o se non c’è, ci starebbe bene, su quel piano, e altri oggetti ancora.


Poi c’è ancora l’altro regno di Mimmo, il famoso studio di registrazione, suo orgoglio al pari della cantina, (che sta sotto, e si vede attraverso una “finestra” di vetro ricavata nel pavimento) su cui le telecamere si soffermano con lentezza. Le telecamere si soffermano con lentezza anche sulle manone (tuttavia curate) da contadino abruzzese di Mimmo, o da scalpellino, come il babbo di John Fante, che raccontano tanto di lui. Le telecamere si soffermano anche sulle fotografie che ritraggono i componenti della famiglia, la mamma (professoressa di filosofia, cui Mimmo da ragazzo saccheggiava intere collane filosofiche, come sappiamo) mentre ricama; ora è novantenne, come la mia; alcuni bambini piccoli. Ho capito bene? Ha detto davvero Questa doveva essere la casa per il figli, per i nipoti, che dovevano arrivare e sono arrivati? Mimmo è nonno e io non lo sapevo? Queste sono cose che le biografe, perquanto non autorizzate, dovrebbero sapere, ma il padrone di casa, giustamente, gli affetti personali se li tiene per sè. Sanno però con certezza, anche se non gliel’ha detto nessuno, alle biografe, che sia che lo sia già, sia che debba diventarlo, sarà un nonno tenero, affettuoso, attento, magari senza eccesso di effusioni, o meglio senza troppe smancerie, ma un nonno che avrà tante cose interessanti da far conoscere ai suoi nipoti.


Insomma non è che ci sia stata proprio, in casa Locasciulli di campagna, ma mi sono talmente immedesimata, che mi è davvero parso di esserci stata. Per fortuna ogni tanto capitano delle inaspettate sorprese, come il bel programma, che è andato in onda su un canale satellitare, Leonardo TV, e si intitola Passepartout, Ospite a sorpresa. La conduttrice, una bella signora mia coetanea, attrice nota, Laura Lattuada, è anche lei, come la giornalista citata nel precedente post Isole, Unadonnamoltomoltooofortunata, perché lei c’era, lì, a respirare quella bell’aria di famiglia Locasciulli, e a lei è stato concesso l’onore di un brindisi col Rosso Saraceno.


Io, che Sky non ce l’ho, e non voglio averlo, perché il mio televisore è un mobile raramente messo in funzione, e già mi basta e avanza l’intrico di fili di decoder e lettori e prese scart, ho dovuto chiedere a un signore gentile di registrarmi la puntata a casa di Mimmo. Per me era di vitale importanza. Questo signore gentile mi ha detto tu sei pazza e sei malata, (incurabile, malattia cronica con cui si convive bene) forse perchè gli ho messo un po' di fretta, ma ha svolto molto bene il suo lavoro, e io ora ho un altro giocattolo, anzi veramente ne ho anche altri due, che mi sono procurata da sola, perché evidentemente questo è un periodo di abbondanza, per il mio blog sfigato, (nel senso che ho materiale sul quale lavorare) cui seguirà inevitabilmente uno di carestia.


Così va il mondo: il mio blog rimarrà sempre molto sfigato, ma io ogni volta che ci scrivo sono contenta, perché pur non essendo una felicissima di base, ho di buono che sono facilmente accontentabile. Mi basta davvero poco, un libro, un incontro, una canzone, un bicchiere di vino, un Dvd con dentro la casa di Mimmo Locasciulli, uomo gentile attento e tenace, come lo ha definito la conduttrice, e romantico, come ha aggiunto lui, di un romanticismo un po’ cupo che si nutre di cieli plumbei bufere e cime tempestose. Sangue romantico, tramonti e foschia, niente di più, niente di più, era tutta lì, era la vita mia. Invece questa vita è davvero molto di più, piena di tante cose.


Avessi dedicato un blog a V.R. - mi ha detto una mia, spero, nuova lettrice, (chissà se rimarrà o fuggirà, io ho qualcosa che talvolta, attrae, ma purtroppo o magari per fortuna, più spesso fa fuggire, blog a parte) che, udite udite, conosce Mimmo Locasciulli, anche benino, sembrerebbe, - avresti avuto molti più lettori. Si, può darsi, ma a me di V.R., con rispetto parlando, e pur apprezzando molto certe sue canzoni, cosa me ne può importare?


P.S. ma giocherà anche a golf, Mimmo Locasciulli? Ho visto un set di mazze da golf, che sono state inquadrate con grande attenzione. Quest’uomo è una scatola cinese, una matrioska: ogni giorno ne scopro una, e quello che non si vede è di sicuro ancor meglio di ciò che appare.

P.S. bis. Ho visto un cane, un bel pastore tedesco con lo sguardo buono, ma di lui non so niente, e sui cani, miei amici come i gatti, non me la sento di inventare niente, perchè li rispetto troppo. Ciao cane di Mimmo!

venerdì 22 ottobre 2010

ISOLE


Amo le isole, come entità geografiche e come metafore. Isola: mi piace la sequenza di suoni che compone questa parola. Io sono un’isolana, credo da mille generazioni, anche se il cognome di mia madre è uguale a quello di un borgo della provincia di Viterbo, e si dice, se ne ha il sospetto, che quelli con quel cognome, che è caratteristico solo di due paesini della Barbagia del sud, siano fuggiti da quel borgo e si siano stabiliti nel cuore della Sardegna, non si sa bene quando, ne' perchè. Se ciò fosse vero, avrei lontanissime ed annacquatissime tracce di sangue “continentale”. A furia di viverci nell’isola, avendo dentro di te i geni di chi ugualmente ci ha sempre vissuto e ti ha preceduto, finisce che non ce l’hai solo nel sangue, ma anche nel carattere, e nelle sembianze. Mi sento profondamente “Isola”, di quelle piccole isole battute dal vento, pietrose e scoscese, quasi senza approdi, ma facilmente raggiungibili in alcuni punti nei giorni di mare calmo. Di quelle isole che se ti senti male puoi rischiare la pelle, perché raggiungere la terraferma è troppo complicato: così mi sento, a volte, e se ne accorgono anche gli altri, almeno quelli che non si fermano alla superficie del mio fare disinvolto, che mi farebbe piuttosto assimilare a una città continentale, grande, piena di vita e di ponti e di legami, di scambi e di voci. Mi preferisco isola, ma per poter sopravvivere devo essere un po’ anche città continentale.

Che pensieri susciteranno le isole nel mio cantante? Le frequenterà? Le uniche isole delle quali l’ho sentito parlare sono, arcipelago giapponese a parte, la solita Idra, dove però non è stato, ne’ da giovane, ne’ più tardi, e poi Lampedusa, dove, come già riferito qui, ma di tanto in tanto è inevitabile ripetersi, andò in occasione dell’evento della Porta dei Migranti. A Lampedusa il mare è bellissimo - ha raccontato Mimmo Locasciulli - ma lui non ha davvero avuto il coraggio neppure di bagnarsi i piedi, a pensare a quanta gente c’è morta, dentro quel mare, e probabilmente è diventata cibo per i pesci, perché non ne è più emersa. Da nessuna intervista o conversazione sono venute fuori altre isole. Nella sua vita di viaggiatore entusiasta, ne avrà visitato altre, immagino, ma dei suoi viaggi personali, che io so frequenti perché ne ha fatto accenno lui in un suo raccontino dal titolo Idee per un viaggio, e anche perché ha scritto una canzone, Portamenti turistici, (Tango dietro l’angolo), bella di una bellezza per me appena incrinata dalla presenza nel testo di una parola che non amo, approccio, (chissà, magari per lui è una bella parola, o semplicemente rispondeva bene a un concetto o a questione di metrica), non trapela molto. Parlo di viaggi privati, non di lavoro, che quelli li conosciamo e ne abbiamo più volte parlato. Magari un giorno a qualcuno verrà in mente di invitarlo a una trasmissione di viaggi alla radio, o su un canale satellitare, e allora, chissà, sapremo che paesi ha visitato, se ci sono delle isole amate, grandi o piccole.

Un’isola piccola dove è stato spesso è l’Elba, ci ha suonato diverse volte, all’interno di alcune delle manifestazioni della Rassegna Toscana jazz; forse anche quest’estate, anche se deve essere stato un concerto semiclandestino, di cui non è apparsa traccia neppure sul suo sito. Mistero. Più o meno deve essere stato nei giorni di Effetto Venezia, ma forse era una cosa per pochi adepti. In una occasione, nel 2005, e questa parrebbe una notizia fondata, un temporale d’agosto si abbattè sull’Isola, proprio mentre Mimmo Locasciulli si esibiva. Egli, non nuovo a questo genere di cose (Svizzera docet) continuò al riparo di un ombrellone, così narrano le cronache, il suo concerto, e il pubblico locale non si lasciò, al pari di quello svizzero, spaventare dagli scrosci del cielo, ma rimase impassibile a seguire il concerto. Qui non c'erano neppure biglietti da ottanta euro... Potere della voce del mio nume, che mai come in questi casi potrei assimilare a un’antica divinità vestina della pioggia, nonché della folgore.

L’Elba non può non farmi venire in mente Napoleone. Gli interesserà Napoleone come personaggio, avrà letto qualcuna delle numerose biografie che gli son state dedicate? A me del “Corso” (altra isola, la Corsica, vicina vicina alla mia, ma per noi del sud, arrivarci è un viaggio, e per tutti un’avventura, se nelle Bocche tira vento) ha colpito il fatto che fosse un estimatore del Werther, come me: mi posso vantare di avere in comune un certo numero di cose, con il Corso: essere un’isolana, non propriamente altissima di statura, avere la presunzione di pensare velocemente, soffrire di malattia da reflusso gastro-esofageo, amare Werther, ed essere una "epistolografa" appassionata (i destinatari meno). Per diventare imperatrice forse ormai è tardi, ma visto come si può finire, è meglio così.

Un’isola grande dove a dicembre (il 16) Mimmo andrà a suonare, è la Sicilia, dove è stato altre volte, dove gli hanno consegnato un premio (vedi post sui premi) dove ci sono artisti che stima, e dove ha anche un certo seguito, se un gruppo nutrito di baldi giovani si è recato in trasferta, ad ascoltarlo, a centinaia di chilometri di distanza. Trinacria insula felix, perché hai l’onore di ospitarlo. Il luogo dove si esibirà, a Palermo, rispecchia in pieno la tipologia classica di luoghi dove lo incontriamo più spesso, e cioè spazi culturali polivalenti, non troppo grandi, dove in genere si può anche mangiare e bere. Il locale in questione si chiama Agricantus, come un noto gruppo siciliano (ma la cantante è, udite udite, svizzera della Svizzera tedesca) che avevo scoperto tanti anni fa, forse nel 1998, durante una casuale visione del concerto del 1° maggio in Piazza San Giovanni. Io come al solito sono arrivata tardi, la loro storia inizia molto prima, Fanno una musica ricca di suggestioni e commistioni di generi e anche di lingue, gli Agricantus, e ne sono molto affascinata. Chi ne avesse voglia entri nel loro sito http://www.agricantus.info/e si documenti e si gusti anche un assaggio della loro musica.

C’è un’altra Isola, dove ho più volte trovato Mimmo Locasciulli, ed è un’isola virtuale dove è stato più volte intervistato e recensito, in particolare da una giovane signora della quale penso, va da sé, che sia una donnamoltomoooltofortunataaa.

Isole a parte, sono davvero poche le regioni d’Italia dove non ho trovato traccia del passaggio del Dottorecantautorecolcappellopiegatosulsuopianoforte. Poche poche: una di queste è la mia Isola, Ichnusa insula tristis, almeno per me. Non faccio più, tuttavia, alcun appello per averlo qui. A parte il fatto che non ne terrebbe conto alcuno, del mio accorato appello, evidentemente ci sono motivi validi, e sono convinta che non abbiano niente a che vedere con il suo gradimento personale del luogo, (nel qual caso non ne farei una questione d’altro, se non di gusti, perché non sono di quelle che Sardegna = paradiso in terra ad ogni costo) ne’, come qualche malizioso buontempone potrebbe sostenere, paura di una mia eventuale reazione da fan troppo assatanata, di quelle che ad ogni costo pretendono una reliquia del divo, un brandello di camicia, una falda di cappello, una ciocca di capelli, (giammai, non ne mollerebbe uno) o chissà che altro. Ma a uno come lui, che certo non incoraggia atteggiamenti simili, (una deve essere proprio sconsiderata, sarebbe come spingersi in un campo circondato da filo spinato, disseminato di mine) sarà mai successa, in passato, qualcosa di simile? E se si, come avrà reagito? Pagherei oro per saperlo.

Una fan, pronta a tutto, del suo amico Francesco, racconta di essersi introdotta, fanciulla, dentro la macchina dell’artista, proprio quando quello ingranava la marcia per partire. Il fatto avvenne nel 1984, dopo un glorioso concerto di Mimmo, acclamato da una folla immensa, a Pescara. F. doveva essere parecchio distratto perché, a detta della fan medesima, neppure si accorse della clandestina a bordo. La fanciulla, nel frattempo divenuta donna, anni dopo coronò il suo sogno, lo incontrò e scambio una ispirata conversazione col suo diletto. Ti ricordi? Sono io quella della macchina, quella che si artigliò al sedile... - A dire il vero, no, non mi ricordo…

Se l’artista è meno distratto come è opportuno si comporti in questi casi? Signorina scenda o chiamo la polizia? Scendo io e le lascio la macchina? Ma, altro mistero.

Finalmente, che emozione… - La piccola donna è tutta un rossore e un balbettio - Sa, sono io quella che scrive di Lei, sul blog sfigato, da più di un anno…
Signora, mi spiace, non so di cosa parli, non ho mai letto una parola e francamente penso pure di non essermi perso molto: detesto i blog e gli incauti esternatori che vivono le vite degli altri non avendone una propria. E ora, se vuole scusarmi, il mio pubblico discreto, attento e sensibile e non grafomane, mi aspetta.

E l’incauta ammiratrice dopo la bruciante Waterloo, decise che era giunto il momento per lei, di ritirarsi su un’isola deserta, poco più che uno scoglio, a rifarsi una vita da… monade (le ha citate in più di un’intervista, le monadi, quel filosofo mancato per un soffio) dentro un faro dismesso e fatiscente.

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