Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

domenica 28 ottobre 2012

FRAMMENTI 6

Sarà che adesso frughiamo spesso dentro al passato
Come si fruga dentro un soffitto abbandonato
E un'emozione nascosta dentro una fotografia
Prende i contorni della tenerezza e della nostalgia
Così a volte si plana sul tempo
Che ha il sapore di miele e di vento

L'inganno del tempo è una delle canzoni di Mimmo che mi suscita sempre, a ogni ascolto, una emozione forte: non mi stanco di ascoltarla, non saprei dire più per la sua bellezza in sè, o per la bellezza dell'emozione.
Inspiegabilmente, non l'avevo inserita tra le (famose) prime cinque, coperta da un velo d'oblio temporaneo subito volato via.
La amo alla follia, è una di quelle, nella produzione di Mimmo, che non ho resistenze a definire perfetta.
Non mi visitano, i frammenti di questa canzone, per il semplice fatto che stazionano in maniera permanente, sono lì, vergati con inchiostro indelebile, incisi nella pietra. Non avevo intenzione di inserirla in questo "ciclo", perchè mi appartiene troppo, e troppo intimamente, e anch'io, apparentemente così incline ad aprirmi, qualche volta ho resistenze e forme di ritroso pudore.
Inoltre pur senza troppo approfondire, mi ci ero già soffermata, e avevo trascritto l'intero testo, in passato.
Di recente lo stesso autore ha dedicato, dietro sollecitazione di un estimatore, alcune considerazioni alla canzone.
Insomma L'inganno del tempo non era prevista.
Poi... poi oggi vedo la foto di un ragazzino bellino, con la faccia pulita, gli occhi chiari, (si lo so, la foto è in bianco e nero, ma si intuiscono) il viso serio, una camicia bianca e un curioso gilet di vello di pecora, (molto abruzzese e molto sardo, anche) tutto impegnato in una cosa che sembra desiderare con grande intensità e che lo accompagna ancor oggi.
"1966 - A volte mi manca quella ingenuità." 2012. Tempo ne è trascorso parecchio. In mezzo c'è stata la costruzione di un uomo, strato su strato, e come è normale che sia, l'ingenuità ha ceduto il posto ad altro. Tuttavia, l'ho sempre sostenuto, qualcosa del ragazzo di allora è rimasto, e di tanto in tanto affiora, nel modo di esprimersi e negli atteggiamenti. Chissà fino a che punto lo percepisce, il Cantante, che il ragazzino ancora molto gli appartiene, così come l'uomo di oggi appartiene al ragazzino.
Vedere la foto e immediatamente collegarla ai frammenti che ho riportato, è stato tutt'uno.
Mi astengo dal sottoporre la canzone alla (s)tortura della mia interpretazione, un po' perchè mi pare in questo caso sia abbastanza univoca, un po' perchè mi sento molto coinvolta, tuttavia desidero soffermarmi un momento su un aspetto in particolare: per me passato e soffitto coincidono. Nella casa della mia infanzia e della mia adolescenza un ruolo fondamentale ha giocato  una soffitta: buia, lunghissima, misteriosa, al contempo fonte di paura e di attrazione irresistibile, piena degli oggetti più impensati lasciati lì da chissà chi, ma anche di topi e ragnatele e strane ombre inquietanti. Il set perfetto per un film di magia. Quando nel 1995 ascoltai per la prima volta la canzone, mi apparve immediatamente dinanzi agli occhi la soffitta della casa di via San Rocco, alla quale, forse per non continuare a soffrire troppo perchè il distacco era stato molto doloroso, (quando si lascia una casa con cui ci identifichiamo non è mai solo un fatto di mura e di stanze, ma di ben altro) non avevo più voluto pensare. Ricucii uno strappo e mi riconciliai con i ricordi, grazie alla canzone.
 
...Sono felice che Mimmo di tanto in tanto condivida il suo album dei ricordi, permettendo a chi lo segue di disegnare con lui i contorni della tenerezza e della nostalgia. A me il ragazzino con il gilet di pecora ha suscitato molta tenerezza. Qualche volta mi intenerisce anche il signore che è diventato.
A proposito, che fine avrà fatto quel gilet?

giovedì 25 ottobre 2012

INCUBO (TRA UN FRAMMENTO E L'ALTRO)


Non ho mangiato peperoni, ieri sera, ma sono andata a tagliarmi i capelli. Si lo so, è una faccenda del tutto privata, ma ogni volta la visita dal parrucchiere di turno mi scombussola il già precario equilibrio. Non mi piaccio mai e sono sempre a caccia del parrucchiere della vita. Fossi stata così nelle cose veramente importanti, così infedele, scontenta e a caccia dell'assoluta perfezione, avrei cambiato trecento mariti, o, per stare in questo ambito, trecento cantanti. Dunque senza avere il coraggio di guardarmi allo specchio, ieri, dopo essermi sfinita di duro lavoro domestico per non pensare, tento di dormire: sonno agitato... A un certo punto sento una pazza che urla: "No, non può essere, perché!!!" La voce urlante è la mia, il cuore batte all'impazzata e sono notevolmente confusa. Ci impiego qualche secondo, ma sono momenti brutti, per capire che sono appena emersa da un incubo. Lo ricostruisco. Sono a Roma, all'Auditorium del Parco della Musica, in una sala gremita di gente. Mimmo ha indetto una conferenza stampa perché deve dare un importante annuncio. Riconosco diversi critici musicali e giornalisti che si occupano di spettacolo; riconosco parecchi scrittori e poeti, alcuni anche trapassati, ma si sa, nei sogni tutto è possibile. Ci sono parecchi fans. Lui non arriva e cerchiamo di capire cosa debba comunicarci: il nuovo disco a sorpresa, un nuovo progetto? Eccolo, finalmente. Ha una barba alla Karl Marx, indossa una veste bianca e dei sandali di cuoio grezzo. "Amici, è un piacere e un onore essere qui. La vostra presenza testimonia l'affetto che, da zoccolo duro quale siete, mi avete sempre dimostrato (questa era per i fan). Signori giornalisti, e critici, grazie anche a voi, che in tante occasioni mi avete recensito, anche se talvolta avete detto delle c..., voi e la vostra sicumera e la convinzione di avere sempre la verità in tasca: talvolta l'avete completamente travisata, la mia verità. Per fortuna c'è qualcuno che ha colto il mio verbo, e lo ha fatto nel modo giusto - continua, rivolgendosi a tre giovani donne che lo hanno, negli ultimi anni, intervistato o raccontato. Ora tutto questo non ha più nessuna importanza. Appartiene al passato. Se sono qui oggi, è per dirvi che MI RITIRO UFFICIALMENTE DALLE SCENE. Mai più nessun concerto, mai più nessun disco. Ho dato disposizioni perché tutta la mia produzione attualmente in circolazione sia ritirata. Ho compreso che per me ora conta altro. Voglio scendere sempre di più negli scantinati di me stesso e non posso più farlo stando qui. Vi potrà sembrare il più scontato dei copioni, ma mi ritiro in un ashram in India. Questo è il mio nuovo cammino."

Ciò detto, mentre i flash dei fotografi impazzano e un brusio assordante riempie la sala, l'Uomo con le sembianze di un vecchio saggio, si alza e tenta di andarsene, ma una pazza con i capelli corti, tagliati davvero male, che indossa una maglietta color turchese (una alla conferenza stampa ci va così com'è, e io stanotte così ero, esattamente come ora mentre scrivo) gli afferra i lembi della veste e urla: "E IO SENZA DI TE COSA FACCIO? A ME NON CI PENSI? ALMENO I FRAMMENTI LI POSSO FINIRE? SE PROPRIO VUOI UN POSTO DOVE STARE TRANQUILLO, NE ABBIAMO ANCHE DALLE MIE PARTI, MICA SOLO IN INDIA!!!" Mi sfiora appena con quello sguardo che è già in una dimensione di distacco dalle umane cose e mi dice: "Va' è non peccare più, e cambia parrucchiere".

Ecco, questo è l'esito del mio infausto pomeriggio di ieri. Quando mi sono svegliata e ho capito che era solo un incubo, ho provato sollievo... !Meno male, meno male, meno male!" Mi è rimasto un gran mal di testa, e credo che oggi dovrò fare uno sforzo enorme per guardarmi allo specchio. Raccoglierò i cocci, prenderò una pastiglia, e inizierò un'altra giornata. Supererò, con fatica, ma ce la farò.

L'importante è che Mimmo continui a cantare, e di tanto in tanto a manifestarsi: l'ashram può attendere.
Per meditare, poi,  io sceglierei il Monte Corrasi. Vicino è pieno di posti dove si mangia e si beve molto bene.

Il sogno, anzi l'incubo, è rigorosamente vero. Frutto del mio inconscio, e non della mia pur fervida fantasia.

lunedì 22 ottobre 2012

FRAMMENTI 5




...
E adesso
Io non mi piango addosso
Non ho domande
E neanche le risposte

Ho un passo lento lento  un andare costante
E non mi pare pesante
Questo lungo cammino che porta
A qualche posto distante

Dietro quali suggestioni Mimmo abbia scritto questa canzone (Passo lento, Sglobal, 2006) non è dato sapere, e neppure posso tirare a indovinare: non riesco proprio a immaginare. Posso semplicemente tentare di inventarmi una mia storia, certo un’altra, rispetto a quella che aveva in mente lui. Sarebbe interessante chiedere a dieci diverse persone di cimentarsi nel mio stesso esperimento, per vedere i diversi esiti, come sarebbe - però in ultima istanza - interessante conoscere la sua versione.

Nella mia storia c’è un foglio bianco da riempire, in risposta ad un altro invece fitto di scrittura. Qualcuno attende notizie, o chiede spiegazioni. La risposta non si fa attendere, anche se scrivere è mettersi a nudo e può far male, ma può anche servire a togliersi un peso. Qualche ingranaggio sembra essersi inceppato nella vita del protagonista, che tira avanti in una situazione fiacca, che procede quasi per inerzia, con la complicità di qualche bicchiere e un po’ di mestiere, ma nonostante questi tentativi, c’è una sofferenza che lo afferra e lo riporta indietro. Forse è giunto il momento di cambiare rotta, di rompere con i retaggi del passato e di procedere verso una strada nuova. La decisione è presa: c’è una meta da raggiungere, senza atteggiamenti vittimistici, e con un certo disincanto. Senza porsi domande, senza darsi risposte. C’è una tensione, una pulsione che conduce altrove, che sia un altrove fisico e un cambio di situazione non importa, appare chiara la volontà di cambiamento, che presuppone costanza, tenacia: è un affrettarsi con lentezza, ma senza affanni. La decisione è presa e per raggiungere la meta si è disposti a percorrere un lungo cammino, che non appare pesante, anche se  si intuisce pieno di polvere e ostacoli.

Mi vengono in mente altre canzoni del passato. Qualcosa farò per i non ho, per la volontà di agire, seppur in maniera non ancora del tutto chiara. Svegliati amore per la chiamata, per l’urgenza della pulsione che spinge ad andare. Dopo che avrò pubblicato me ne verranno all’istante in mente altre, ma non integrerò il testo, lasciandogli immediatezza e incompiutezza.

Non so bene dunque cosa abbia spinto Mimmo a scrivere questa canzone, che fa parte dell’album Sglobal, e non è una delle più note. In Sglobal, ci sono delle canzoni bellissime prese singolarmente, ma che danno la sensazione di una mancanza di armonia nell’economia dell’album, in cui sembrano quasi perdersi e quasi stridere con altre, belle anch’esse, ma in maniera diversa, con cui hanno poco da condividere.  C’è troppo di tutto, lì dentro, troppa varietà, sembra quasi uno spreco, un eccesso, che porta a una mancanza di equilibrio. Ai primi ascolti dell’album avevo asserito il contrario e invece, dopo averlo meditato, mi trovo a rivedere le mie considerazioni. Mi viene in mente l’immagine di un insieme  di gemme bellissime,  infilate a formare una collana, senza tener conto di forma e colore: ne risente la singola gemma e il monile nel suo complesso.

Non so bene cosa lo abbia spinto a scrivere la canzone, ma so, o meglio, mi pare di cogliere in lui, nel Cantante inteso come persona, delle caratteristiche evidenziate nella canzone. Mi lancio in questa operazione azzardata. Non si piange certo addosso, non si commisera, e spesso non ha domande, e neppure risposte, sia nel senso più immediato che spesso non sa davvero cosa pensare di certi argomenti, non ha una opinione definita (mi sovvengono i suoi frequenti "non saprei" nelle interviste, accompagnati da un tono di voce sorridente: ha ragione, non si può avere un’opinione su tutto)  sia nel senso più alto, filosofico, di non ritenere di essere detentore di verità assolute. Se deve raggiungere un obiettivo, percorrere un lungo cammino che lo porti a qualche posto distante, non si lascia scoraggiare: procede, magari con passo lento, ma il suo andare è costante e prima o poi arriverà. Così lo vedo io.

E io, dove voglio arrivare? Intanto a portare a compimento il ciclo "Frammenti", che nelle mie intenzioni nasceva come un ciclo di sette, da esaurire in sette giorni: troppo anche per me. Neppure io so su quali altri frammenti (ne restano due) mi soffermerò, anche se sono orientata verso quelli di canzoni un po’ defilate, un po’ da retrovia, e solo sue, senza il contributo di altri. Poi si vedrà. Questo posto è come uno di quei ristoranti dove si decide il menù in base a ciò che si trova  al mercato, al mattino presto.

Il mio mercato è Mimmo. Mi piace molto girare per mercati, osservare con attenzione merci e persone, ascoltare suoni, rubare discorsi e poi imbastire storie. Un po' quello che faccio qui dentro: racconto, e un po' me la racconto, per farci compagnia. 

sabato 20 ottobre 2012

FRAMMENTI 4



Non è il primo disco, lo sappiamo, ma è quello che gli ha dato la notorietà, che lo ha fatto uscire dalla nicchia, tanto ristretta quanto affezionata, di persone che lo andavano a sentire nel locale famoso e fumoso. Per me per tanto tempo è stato il primo; degli altri precedenti, avevo notizie nebulose, e ho approfondito solo quando ho intrapreso il "percorso iniziatico". Del Qdisc di Mimmo in particolare e di cosa fosse in generale, ho parlato in diverse occasioni: era un vinile a 33 giri, grande quanto un long playing tradizionale, ma conteneva solo quattro canzoni, due per facciata. Ne uscirono in quegli anni (siamo nel 1980) un certo numero, di diversi giovani cantautori, nella Rca di Ennio Melis, che di fatto lanciò il prodotto. Quello di Mimmo, intitolato "Quattro canzoni di Mimmo Locasciulli" fu registrato in un solo giorno, così narrano le cronache. Mimmo e la sua Piccola luce colpirono nel segno: passavano in radio e illuminavano tanti pomeriggi e tante sere. “Chi sarà questo, che bella voce!” Ti ritrovavi subito a cantare quella canzone. Credo di averne parlato fino allo sfinimento, della bolletta della luce, del concerto di folk abruzzese, del foglietto sul tram, dell’incontro con la musica dell’artista americano dalla voce roca, et voilà eccolo pronto a salire sul treno della notte.  Chi ne ha voglia e ancora non sa, cerchi qui dentro o altrove e troverà diverse notizie sull'argomento, anche di prima mano dell’autore che racconta questo suo luminoso passato.

La canzone di oggi è, con la compagna Con un fiore tra i capelli, la parte oscura del Qdisc, perché tanto note sono, anche a chi Mimmo lo conosce poco, Piccola luce e Il treno della notte – anche perché, soprattutto la prima, sono state più volte riproposte, e, sempre soprattutto la prima, eseguite nei concerti dal vivo -  quanto meno note e un po’ dimenticate le altre due. Forse proprio per questo, per vedere un po’ di sole, i frammenti di Un altro giorno, hanno bussato alla mia porta con una certa energica prepotenza, come spesso accade a chi abbia sete di giustizia. Eccoli.

Quando viene la bufera 
E la montagna è tutta scura 
E il vento fischia sulle porte 
Tu non devi avere paura 
Dopo l'inverno arriva un'altra estate 
E ti saranno più dolci queste notti gelate 
C'è una candela accesa in fondo al cuore 
Avvicinati ancora per un po' di calore 


Ma contravvenendo un po’ allo spirito di questi miei ultimi scritti seriali, che giocano intorno ai frammenti che si sono più soffermati nel ricordo e ogni tanto affiorano, pubblico l'intero testo.

Benedetta questa terra
Benedetta questa spiga di grano
Benedetta sia la rosa
Che tieni nella mano
Viva la sposa bianca e senza spine
Che hai colto un giorno
Dietro a queste colline
Coglila piano senza fare rumore
Che le cornacchiette se ne volano via

Un altro giorno è andato
Quante volte ci ho pensato
C'è qualche posto lontano
Che uno ci passa e poi
Non ci ritorna più
Quando viene la bufera
E la montagna è tutta scura
E il vento fischia sulle porte
Tu non devi avere paura
Dopo l'inverno arriva un'altra estate
E ti saranno più dolci queste notti gelate
C'è una candela accesa in fondo al cuore
Avvicinati ancora per un po' di calore

Un altro giorno è andato
E buonanotte al figlio che hai cresciuto
A questa striscia di luna
Alla buona e alla cattiva fortuna

Un altro giorno è andato
E buonanotte al grillo che ha cantato
Agli occhi freschi di pace
E buonanotte pure a te

Mi sembra ci sia già ben delineata la poetica di Mimmo, qui dentro, molte delle sue tematiche e molte delle sue figure ricorrenti, che poi vedremo riproposte, ampliate e approfondite. Sembra quasi una dichiarazione d’intenti. C’è il tempo che passa, c’è la terra nutrice con i suoi frutti, ci sono la natura e i paesaggi cui tanto è legato; l’alternarsi delle stagioni, che puoi prendere alla lettera, ma puoi leggere come una metafora: dopo l’inverno arriva un’altra estate… una promessa di speranza e di rassicurazione. C’è un amore dal sapore antico consumato dietro le colline: una figura femminile docile e pura, un po’ anacronistica, di quelle capaci di mantenere un legame saldo per tutta la vita, perché così hanno giurato. Il fruscio del vento, che qui fischia sulle porte, altrove sarà da cani, passerà sui vetri, e in tante altre occasioni farà da sottofondo, e spesso scompiglierà i capelli. Candele accese e spiragli di luce, posti lontani dove uno passa, ma poi non ci ritorna più; non si può non pensare a qualche posto fuori mano dove è raro che ci passi mai qualcuno. Un altro giorno è andato e finisce il giorno e ricomincia la notte; avvicinati ancora per un po’ di calore, e io io ti volevo qui vicino, coprirti le braccia dal freddo del mattino; se hai le braccia gelate ti riscalderò…. La promessa costante e reiterata di un abbraccio che riscalda membra e cuore. L’augurio di buonanotte, ripetuto più volte, a più indirizzi, mi richiama alla mente quello di Buona fortuna… Insomma, in quella che a una lettura superficiale sembra una canzoncina gradevole e basta, senza troppe pretese, c’è, in embrione, parte del suo mondo, che è più ricco e vario e non si esaurisce certo nelle costanti e nei moduli brevemente elencati per esemplificare. Senza contare che Mimmo non ci ha già detto tutto: dovrà ancora prenderci per mano e accompagnarci per le lande del suo mondo che ancora non conosciamo, e che forse non conosce neppure lui: addentrarsi e scoprirle insieme, attraverso le sue canzoni future, sarà un bellissimo viaggio interiore. 

Non prendo altri impegni, in attesa della chiamata.

martedì 16 ottobre 2012

FRAMMENTI 3


E io non sono pronto
Per grandi cambiamenti
Vorrei parlarne ancora
Mi ascolterai?
Aiutami
Segretamente aiutami
Inventami
Sarò come vorrai
Accoglimi
Semplicemente prendimi
Aspettami
Per la mia strada cercami
Ho una candela accesa
E briciole di pane
Mi riconoscerai così

Oggi più che mai ho sentito il dovere di tenere ordinate e accoglienti le mie stanze interiori, perché presentivo che i frammenti che mi hanno appena visitato, sarebbero stati ospiti speciali, ai quali riservare cure particolari. L’inverno ha il sapore della neve appena posata sul davanzale della finestra. Fa freddo ma la apri e non resisti alla tentazione di assaggiarla. Le finestre sono state chiuse con l’ordine di non aprirle per giorni e giorni, ma in questo caso, benché inclini all’obbedienza, si cede all’insubordinazione.  Mimmo, lo racconta lui stesso, traspone nella canzone tutti i ricordi degli inverni della sua infanzia e della sua giovinezza nel luogo natio: io mi immergo in questo flusso di ricordi e mi immedesimo. Mi aiutano certo le molte immagini innevate che ho visto con gli occhi, ma anche in assenza di esse, la canzone me ne avrebbe suggerito di altrettanto vivide, perché ha un forte potere evocativo.

Che cosa mi fa venire in mente, inoltre? Un amore, certo, un po’ sofferto, anche questa volta, ma c’è la possibilità di trovare un punto d’incontro. Perché è evidente che ci sono divergenze: da una parte forse c’è il desiderio di fare passi importanti, dall’altra di pensarci ancora, perché i grandi cambiamenti spaventano, e bisogna attendere il momento giusto, o arrivarci per gradi. Se ne può parlare, per fortuna. Non ci si trincera dietro silenzi. In amore si chiede molto: aiuto, con discrezione, accoglienza, paziente attesa… ma molto si dà: si forniscono segnali e indizi per arrivare all’essenza di sé, oltre l’ovvia apparenza, e si è disposti a essere come l’altro ci vuole, se è capace di inventarci.

Questa è la lettura più immediata, ma non la sola. La canzone è inserita dentro l’album a mio avviso più bello dei tre più recenti, Piano piano, (dopo per me viene Idra e infine Sglobal) o semplicemente più vicino alla mia sensibilità, quello che sento più mio. Non dimentichiamo che in Piano piano c’è Lettere dalla riserva,  che a buon diritto Mimmo definisce il suo manifesto artistico. Anche in alcuni versi de L’inverno potremmo trovare un invito e insieme una indicazione, per chi desideri incontrare un artista che ha scelto una strada non troppo frequentata, forse un po’ impervia, ma che riserva bellissime sorprese per chi decida di percorrerla.

Inevitabilmente, la canzone mi fa venire in mente Pollicino, e Hansel e Gretel. D’altronde lo sappiamo che Mimmo è un po’ fiabesco.
Ancora, il riferimento alla candela accesa, forse del tutto simbolico nella canzone, mi richiama immediatamente alla mente una figura di donna, ritratta in penombra, di spalle, con una lunga veste bianca, che tiene in mano una candela, e che volge il viso verso un ipotetico osservatore con espressione vagamente impaurita e al contempo invitante. Esisterà un quadro simile? 

Per completezza, e perché ha svolto un bel lavoro: la musica della canzone è di Guido, che mi pare ora abbia preso un periodo di pausa dalla musica, almeno da quella (relativamente) sotto i riflettori. Non avevo mai visto il video della canzone di Guido La migliore combinazione, quello diretto dal Muccino più giovane,  e stasera, complice L’inverno, me lo sono andato a cercare. Pieno di gioventù allegra e pieno di baci. Il luogo in cui è girato mi è sembrato familiare: se non è quello a cui penso io, gli somiglia molto. Che bello poter fare tutto in casa!

domenica 14 ottobre 2012

FRAMMENTI 2

Un giorno qualunque ti ricorderai
E non sarà un caso tu mi cercherai
Se stai lì da sola o con un uomo diverso
E' sempre lo stesso non prendi e non dai

...
Un giorno qualunque avrai voglia di me
Avrai voglia di quello che ero con te
Più rabbia che amore la voglia e il sapore
Quel moltiplicare ogni cosa che c'è



Fedele alla promessa, propongo altri due frammenti di canzone, che hanno scelto,  (continuo a sottolinearlo, io non ho alcun ruolo attivo in questa vicenda) di farmi compagnia oggi. Sono, per me, quelli con maggiore forza espressiva, che sembrano raccontare meglio la canzone, coglierne forse l'essenza. Come un bravo scrittore può totalmente compenetrarsi nei suoi personaggi e farsi di volta in volta più vecchio, più giovane, di sesso diverso da quello cui nella realtà appartiene, e ancora vivere altre epoche storiche e altri mondi, così l'autore di canzoni può riuscire a calarsi nel personaggio e nella situazione che racconta, rendendoli vivi e veri anche se possono essere distantissimi dalla sua realtà. Potrebbero anche non esserlo, ma a noi poco importa; ciò che conta è che la canzone oggetto di questa piccola analisi, del tutto parziale e soggettiva, trasmette immediatamente l'idea di una sofferenza d'amore, di un abbandono di cui è difficile farsi una ragione, di una inevitabile dose di esacerbato rancore. La disperazione d'amore, per trovare un piccolo lenimento, ha bisogno di qualche bugia: "te ne sei andata, stai da sola, o con qualcuno, comunque sia non sei e non sai essere felice; te ne sei andata, ma prima o poi ti assalirà il rimpianto, e sarai colta da un desiderio estremo che solo io ti suscito, e che nessun altro ti potrà mai suscitare, e non potrai fare altro che cercarmi e tornare... un giorno qualunque." 
Si, ci raccontiamo qualche pietosa bugia, quando siamo innamorati e non (più) corrisposti, quando qualcuno non ci contraccambia o ci abbandona. Un tentativo di auto-cura, che alla fine solo il tempo, o un nuovo amore, porteranno a compimento.
Canzone disperata e piena di passione, con un finale della storia  che non si esplicita, ma si intuisce in bilico tra l'accoglienza e l'orgogliosa, sofferta distanza, nell'eventualità  lontana di un ritorno, con una musica tutta tesa a sottolineare questi stati d'animo, Un giorno qualunque fu scritta da Mimmo nel 1994 per il primo album di Haber, Haberrante, pubblicato nel 1995, di cui fu anche produttore. 
Nel 2002 la canzone, finalmente interpretata dall'autore, fu inserita in Aria di famiglia: per fortuna! Tra i giorni di Mimmo, quelli delle rose, quelli di noia, quelli più difficili, questo giorno qualunque ha per me un richiamo tutto particolare.

venerdì 12 ottobre 2012

FRAMMENTI 1

L'ho scritto mille volte, che nei momenti più impensati mi ronzano prepotenti nella mente i versi delle canzoni di Mimmo. Sono sfacciati e indiscreti, lo fanno senza preoccuparsi del luogo in cui mi trovo in quel momento e della circostanza. Versi sfrontati e invadenti di autore discreto, che tuttavia non ha alcuna responsabilità: dopo essere stati composti, essi, dotati di libero arbitrio, non mantengono legame di subalternità col loro demiurgo, ma si muovono come bizzosi folletti anarchici, e lo fanno con le persone più disparate: io sono solo un esempio tra tanti. Se ne son viste di tutti i colori, questi versi si infilano dovunque e si ficcano nelle attività di chiunque: nei discorsi di serissimi amministratori delegati, nel bel mezzo di una riunione, nelle arringhe degli avvocati, nelle lectio magistralis di paludatissimi intellettuali, nelle tesi di laurea di giovanissime dal cuore palpitante, perfino nei referti medici, e, ma questo non desta stupore, nelle lettere d'amore. Potrei allungare l'elenco, ma mi fermo qui, e lascio spazio a uno di questi frammenti. Stamattina mi ha svegliato e mi ha ordinato di scrivere immediatamente. Io, incline all'obbedienza, ho accettato di buon grado.

Per tutto il tempo che ho passato a cercare il passaporto 
Che fa più debole il confine della ragione con il torto 
Per tutti i fiori che ho rubato per farne mazzi di bugie 
Per tutti quanti i miei peccati e le tante malattie 
Che mi son preso a navigare nelle tempeste del mare 
Per tutti i falsi giuramenti fatti di audacia e pentimenti 
Per tutte quante le stelle cucite addosso alla mia pelle 
Per poi volare contro il vento in mezzo a un grande firmamento 
"Ça c'est la chanson de mon coeur pour toi…" 

L'avrà trovato alla fine, questo passaporto? A volte per me il confine è stato talmente labile, che la ricerca è stata estenuante e senza risultati. Ha sempre scritto belle canzoni, Mimmo, nel passato remoto, in quello più recente e nel presente. E mi pare che l'opera di cesello si sia sempre attuata. Certo molto sarà cambiato nel modo di comporre, e ci interessa sempre apprendere come, ma di più siamo colpiti dal risultato. 

La canzone, giusto per non lasciare le cose a metà, è I giorni delle rose, dall'album (Adesso glielo dico), del 1989. 
I versi delle canzoni di Mimmo sono veramente così, entrano senza bussare, ma non ci sarebbe bisogno di evidenziare che lo scritto di oggi è anche un modo per rendere omaggio ad alcune canzoni, e un pretesto per invitare a leggere i testi, integralmente, non solo i miei frammenti, e ad ascoltare le canzoni. 

Poiché ogni tanto mi propongo di essere seriale, non sempre riuscendoci perché mi annoio, ho pensato di dedicare un piccolo spazio quotidiano, per una settimana, a sette frammenti. Spero che mi visitino versi di canzoni un po' dimenticate, ma questo non dipende da me.

...ma perchè in questi giorni mi sono fissata con le rose???

lunedì 8 ottobre 2012

LOVE ME DO!


Lettore, non spaventarti e non mollare dopo le prime dieci righe... un po' di pazienza e poi si parla di Mimmo: dulcis in fundo

Si è fatto un gran parlare, nei giorni scorsi, di un compleanno importante, che riguarda la band forse più celebre al mondo: The Beatles. Il 5 ottobre del 1962 usciva infatti il loro primo singolo, Love me do. Come era prevedibile, radio, stampa, internet hanno dato molto risalto a questo cinquantesimo anniversario. La trasmissione radiofonica Caterpillar AM, che ascolto di primo mattino mentre mi preparo per uscire, ha chiesto agli ascoltatori di indicare la preferita tra le canzoni dei Beatles: gioco altrettanto prevedibile, ma evidentemente irrinunciabile.

Ho provato a riflettere, e, considerando che non le conosco tutte, me ne sono venute alla mente almeno una decina, di potenziali preferite. Una però in particolare, affiora subito alla mente, se, come al solito, scelgo di affidarmi al flusso di ricordi e di emozioni, e non ci ragiono su troppo. Mi rendo conto che proprio una canzone dei Beatles è più di altre nel mio cuore, non solo perché è forse il primo ricordo musicale certo, quello che sono davvero sicura di ricordare autonomamente, e non in maniera indotta, ma soprattutto perché l’ascolto mi suscitava un particolare tipo di emozioni del tutto nuove. Era il 1966, forse i primi del 1967, avevo sei anni, e dalla fonovaligia di legno del mio fratello maggiore, Michele, che aveva quindici anni più di me, uscivano le note di questa canzone dolcissima e romantica, di cui non capivo una parola, ma, non so dire se sia stato davvero così, oppure se ho attribuito a quel tempo lontano sensazioni di molto posteriori, mi catturava completamente. Si trattava di Michelle. Sono quasi certa che si trattasse del 45 giri, e non del 33 che lo contiene, Rubber soul, uscito il 3 dicembre del 1965 e registrato in un tempo brevissimo tra l’ottobre e il novembre dello stesso anno. Perché ho questa convinzione? I 45 giri a casa erano in quantità maggiore rispetto ai 33, e poi non ho ricordi, legati a quel tempo, di altre canzoni dei Beatles. Ascoltavo Michelle e anche se non ero in grado di capire, qualcosa intuivo. Chiedevo cosa significassero quelle frasi misteriose e qualcuno mi tradusse il famoso ritornello, e mi disse che la canzone era un po’ in francese e un po’ in inglese, e che I love you vuol dire ti amo. Ora entrano in ballo sentimenti e ricordi molto personali che qui posso solo sfiorare. Mi piacerebbe ci fosse ancora, la fonovaligia di Michele, e tutti i suoi dischi, che non ci sono più, come non c’è più lui. Veramente so che fine hanno fatto molti dei suoi dischi. Era generoso e li prestava agli amici. Uno in particolare, non seppe fare altro che lasciarli abbandonati sulla cappelliera della sua macchina, al sole. Mi ricordo il ritorno a casa di tutto quel vinile accartocciato, ormai inservibile. 

Di li a poco, emula di mia sorella che ne era una grande ammiratrice, mi innamorai follemente dei Rokes. Scrivevo i nomi dei componenti del gruppo, sotto le sedie di cucina, con le matite colorate: Shel rosa, Mike celeste, Bobby verde e Johnny, che a me bambina sembrava il più bello, giallo. Romantici colori pastello. Il buongiorno si vede dal mattino. Mamma tentava di ripulire e io da capo, a scrivere nomi e aggettivi scelti con cura per ciascuno. Ancora adesso si affacciano alla mente frammenti di canzoni dei Rokes, (poi ho scoperto che alcune che mi piacevano molto erano cover) ma altri frammenti, quelli delle canzoni di Mimmo, hanno quasi monopolizzato tutta la memoria disponibile e non permettono al resto una lunga permanenza: i Rokes si affacciano e vanno subito via, risucchiati dal vortice del tempo, con i capelli lunghi, le giacche aderenti e le chitarre dalle forme strane, disegnate da Johnny.

                                     MIMMO E I BEATLES 

Sempre, quando ripercorre la sua storia musicale, cita "l’incontro" con il gruppo inglese come una svolta epocale, qualcosa di dirompente, innovativo, capace di fargli prendere, seppur ragazzino, decisioni importanti, come quella di abbandonare lo studio del pianoforte classico e di percorrere con entusiasmo strade nuove. Lo stimolo per iniziare a suonare insieme con altri ragazzi, nei famosi complessini beat degli anni sessanta, nacque proprio sull’onda dell’enorme successo dei quattro ragazzi di Liverpool. 

Non è solo Mimmo, a dire il vero: quasi tutti gli artisti, in particolare della sua generazione, ma anche di generazioni diverse dalla sua, citano i Beatles, come fondamentali nella loro formazione. Qualche fortunato che potè assistervi, poi diventato noto, traccia un ricordo entusiasta e ancora vivo del piccolo tour italiano del 1965, che toccò Milano, Genova e Roma. Il quindicenne Carlo Verdone, (cito lui perché è una lettura recentissima, lo racconta nel suo libro La casa sopra i portici) ci andò col padre, che volle regalare al figlio un’emozione bellissima, rimasta indelebile negli anni.

Nei “famosi cento dischi della vita” di Mimmo, c’è Imagine di John Lennon nella categoria cantautori rock e ci sono ben quattro album dei Beatles nella categoria band: 

Revolver (1966) 
The white album (per via della copertina completamente bianca, con la sola scritta The Beatles) del 1968
Rubber soul citato prima, del 1965.
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band del 1967.

Li ho riportati nell’ordine in cui li riporta Mimmo, che non tiene conto della successione cronologica. L’anno l’ho aggiunto io: I Beatles, oggi diremmo per fortuna, erano molto prolifici. Sgt Pepper’s… è, continuando a parlare di classifiche, al primo posto in quella voluta dalla rivista Rolling stone, tra i cinquecento album più rappresentativi di tutti i tempi. Non solo, ma tra i primi posti nella stessa classifica ci sono anche altri album dei Beatles. 

La scelta di Mimmo parla da sola, non ha bisogno di ulteriori commenti. 
Per concludere: immagino che qualche altro fan di Mimmo, oltre me, abbia acquistato la rivista Suono di settembre, che contiene la famosa intervista che ora si trova anche sul sito. (Secoli che non aggiornava la sezione interviste, si vede che questa è molto nelle sue corde.) In tal caso avrà visto che, prima del servizio su Mimmo, ne appare un altro molto interessante, dedicato a Paul McCartney, con relativa intervista e belle immagini. A me è sembrata una bella coincidenza. E poi anche Paul, splendido settantenne snello e con i capelli (un po’ troppo) scuri, dichiara che in fondo, ciò che più conta, è l’amore. Come Mimmo. 

Concordo, è proprio vero, ciò che più conta è l’amore, in ogni sua manifestazione, quello cosmico, teorico, grande e nobile, ma anche quello che si estrinseca nei fatti, perfino in quelli minuti e quotidiani, nei gesti, negli sguardi: le parole da sole non bastano; a riempirci la bocca della parola amore siamo capaci tutti, metterla in pratica è assai più complesso. 



giovedì 4 ottobre 2012

CENERE E ROSE (VERSIONE CHE NON STANCA LA VISTA)


Il testo è illeggibile - mi ha detto il mio editor. - Ti boccio, meriti zero. La prima regola è la chiarezza e   la leggibilità. L'editor ha sempre ragione, ma io non sono completamente scema. Lo sapevo anch'io, ma mi ero ostinata su quell'abbinamento cromatico "testo-rosa." Non rinuncio al vecchio, colorato e corredato di romantica foto, e posto di nuovo, tutto bianco, e, spero, leggibile, per chi vorrà leggere. 

Non lo dico per ruffianeria, perché non ce la faccio proprio a esserlo, ruffiana. Oltretutto, anche volendo, non ne avrei nessun tornaconto.
Non lo dico perché in questo modo voglio solleticare il suo narcisismo. Caso mai, sembra un paradosso, sono più interessata a frenarlo.
Non avrei neppure voglia di mettermi a fare confronti con altri, noti e meno noti, ma non posso proprio farne a meno: mi prendono per i capelli. Ora tutti vogliono cantare nei piccoli teatri e nei club. Tutti prestano, o sottolineano di prestare, un’attenzione particolare alla veste musicale, alle collaborazioni con musicisti raffinati che in genere si muovono in altri ambiti. Si sprecano le voci, maschili e femminili, che, dal vivo, si accompagnano al solo contrabbasso, o al massimo a un altro strumento. Un sacco di gente va a cercare ispirazione e spesso a registrare nella “Grande Mela”. Va tutto benissimo, però Mimmo tutti questi step, come direbbe lui, li ha percorsi da tempo, e non perché facesse cool, sempre come direbbe lui, ma perché erano esigenze, scelte, incontri e voglia di sperimentare e sperimentarsi, anche di divertirsi.
Se esterno queste mie convinzioni non è dunque per quanto enunciato al punto uno e al punto due, ma perché lo penso, anzi penso che chi lo conosca almeno un po’ e abbia un minimo di obiettività, non possa che riconoscerlo: Mimmo ha precorso i tempi, solo che i fari sono puntati altrove. Ora, Cantante, vai davanti allo specchio e complimentati con te stesso: sei autorizzato.
Dopo, però, vai davanti al camino, prendi un po’ di cenere e cospargiti il capo, perché, amico, piuttosto che e cool proprio non li voglio sentire, neanche da te. Anzi soprattutto da te. Negli altri, certo lessico, mi infastidisce, ma lo tollero: da te mi aspetto altro.

...Rose. Spesso capita, ai concerti, che leggiadre figure femminili si avvicinino al palco e omaggino l'amato artista con una rosa. Questo, in genere, ringrazia con un cenno o manda un bacio, a seconda dell'indole, e se sul palco con lui c'è un'altra leggiadra figura femminile, gira l'omaggio. Sconcerto e delusione dell'ammiratrice. Non tanto tempo fa, proprio in uno di quei piccoli club di cui parlavo prima, l'ho visto a pochi metri, un signore che cedeva la rosa a una musicista del gruppo, con fare molto signorile. L'ammiratrice quasi sveniva lì.

Difficilmente le rose finiranno dentro le pagine di un libro, o accompagneranno gli artisti nei loro viaggi di ritorno. Più spesso appassiranno sul palco, o al massimo in un camerino.

Con le rose virtuali non si corre alcun rischio.

...Dato che ci sono: la mia fiducia è ben riposta; il Cantante oggi ha dato un colpo d'ala  e ha volato davvero alto.







mercoledì 3 ottobre 2012

CENERE E ROSE


Non lo dico per ruffianeria, perché non ce la faccio proprio a esserlo, ruffiana. Oltretutto, anche volendo, non ne avrei nessun tornaconto.
Non lo dico perché in questo modo voglio solleticare il suo narcisismo. Caso mai, sembra un paradosso, sono più interessata a frenarlo.
Non avrei neppure voglia di mettermi a fare confronti con altri, noti e meno noti, ma non posso proprio farne a meno: mi prendono per i capelli. Ora tutti vogliono cantare nei piccoli teatri e nei club. Tutti prestano, o sottolineano di prestare, un’attenzione particolare alla veste musicale, alle collaborazioni con  musicisti raffinati che in genere si muovono in altri ambiti. Si sprecano le voci, maschili e femminili,  che, dal vivo, si accompagnano al solo contrabbasso, o al massimo a un altro strumento. Un sacco di gente va a cercare ispirazione e spesso a registrare nella “Grande Mela”. Va tutto benissimo, però Mimmo tutti questi step, come direbbe lui,  li ha percorsi da tempo, e non perché facesse cool, sempre come direbbe lui, ma perché erano esigenze, scelte, incontri e voglia di sperimentare e sperimentarsi, anche di divertirsi.
Se esterno queste mie convinzioni non è dunque per quanto enunciato al punto uno e al punto due, ma perché lo penso, anzi penso che chi lo conosca almeno un po’ e abbia un minimo di obiettività, non possa che riconoscerlo: Mimmo ha precorso i tempi, solo che i fari sono puntati altrove.
Ora Cantante, vai davanti allo specchio e complimentati con te stesso: sei autorizzato. 
Dopo, però, vai davanti al camino, prendi un po’ di cenere e cospargiti il capo, perché, amico, piuttosto che e cool proprio non li voglio sentire, neanche da te. Anzi soprattutto da te. Negli altri certo lessico, mi infastidisce, ma lo tollero: da te mi aspetto altro. 

...Rose. Spesso capita, ai concerti, che leggiadre figure femminili si avvicinino al palco e omaggino l'amato artista con una rosa. Questo, in genere, ringrazia con un cenno o manda un bacio, a seconda dell'indole, e se sul palco con lui c'è un'altra leggiadra figura femminile, gira l'omaggio. Sconcerto e delusione dell'ammiratrice. Non tanto tempo fa, proprio in uno di quei piccoli club di cui parlavo prima, l'ho visto a pochi metri, questo signore che cedeva la rosa a una musicista del gruppo, con fare molto signorile. L'ammiratrice quasi sveniva lì. 
Difficilmente le rose finiranno dentro le pagine di un libro, o accompagneranno gli artisti nei loro viaggi di ritorno. Più spesso appassiranno sul palco, o al massimo in un camerino. 

Con le rose virtuali non si corre alcun rischio.

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