Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

giovedì 23 dicembre 2010

DICEMBRE


Settimana precedente il Natale: nel mio distratto e non indispensabile aggiornamento settimanale sul piccolo schermo, quello del sabato pomeriggio, salto di canale in canale, ma non c’è verso di essere risparmiata: dovunque si susseguono servizi realizzati nelle dimore di personaggi più o meno famosi, in particolare leggiadre fanciulle che hanno voluto moltiplicarsi, e ci mostrano come le hanno addobbate, queste dimore, spesso con l’aiuto dei loro pargoli in fasce, quali decorazioni hanno utilizzato per l’albero e dove e con chi trascorreranno quella che, nata come festa religiosa, è diventata, quasi per tutti, festa della famiglia, e ancor più spesso, festa dell’eccesso, consumistico e alimentare. Quasi tutti e tutte tessono l’elogio della famiglia, porto sicuro dopo tanto navigare e raccontano di come stendano bene la sfoglia a mano e allestiscano personalmente la tavola di Natale. Se siamo fortunati riusciamo pure ad avere la ricetta natalizia di famiglia. Al di là di ogni frivolezza televisiva, le ricette di famiglia sono davvero un patrimonio da salvaguardare: spesso tramandate di generazione in generazione costituiscono il collante affettivo, perché il cibo è affetto e tempo e cura e attenzione, e talvolta, l’unico retaggio di famiglie ormai disgregate, o l’unico legame con regioni di provenienza, dove da tempo non si vive più.

Il nostro artista avrà, anche lui, almeno in qualche occasione, ricevuto la sua buona razione di telefonate da parte del, anzi della (certe questioni sono appannaggio femminile) giornalista di turno, e sarà stato invitato a raccontare come trascorre le feste di fine anno. Mi auguro che a nessuna sia mai venuto in mente di chiedergli se si sia mai vestito da Babbo Natale. Nel qual caso, peggio per lei.

Ho un ricordo di una sua testimonianza sulla cucina della tradizione nel suo paese, Penne, proprio nel periodo delle festività natalizie, e avrei voluto riportarla integralmente, ma come già in altri casi mi è accaduto, pur ri-digitando tutte le possibili chiavi di ricerca, non sono più riuscita a recuperare la preziosa notizia. Parlava delle signore di Penne, abili cuoche, intente, nell’intimità e nel calore delle loro cucine, ma anche nelle cucine delle trattorie, a preparare gustosi manicaretti; per le strade del paese innevato, l’odor del freddo si mischiava a quello dei cibi in cottura. Sulla base delle notizie raccolte, e della conoscenza del personaggio raccontato da sé medesimo e dagli altri secondo i canoni consueti, il suo Natale me lo potrei immaginare, però preferisco non dire una sola parola, primo perché talvolta ciò che è verosimile può scontrarsi con una realtà del tutto diversa, secondo perché potrei lasciarmi prendere la mano, tirar fuori tovaglie dai cassetti, piatti dal mobile d’emporio, vini dalla cantina, cibi dalla dispensa, calarmi insomma nel ruolo di fantesca di casa L., ruolo che, è bene tenerlo sempre a mente, non potrà mai appartenermi. (Nota seria dopo una boutade: molte ragazze e donne sarde di umile condizione, in un passato non molto lontano raggiungevano la capitale e si mettevano a servizio presso le famiglie borghesi, e spesso ci rimanevano una vita intera, laboriose e discrete, fino alla pensione e qualche volta anche oltre, senza mai aver avuto una vita tutta loro.)

Tra i ricordi d’infanzia del nostro artista legati al Natale, forse un posto importante occuperanno i canti alla messa di mezzanotte, le “mitiche” figure familiari, i sapori costantemente riproposti e gustati, le famose notti innevate…

In un buon numero di sue canzoni sono molto ben rappresentate, tanto che a chi ascolta pare di esserci dentro, atmosfere invernali, neve piogge brume freddo gelo e per converso fiamme e luci, camini accesi e abbracci che riscaldano le membra, braccia gelate in particolare, e il cuore. Il Natale è espressamente citato, mi pare, solo in tre canzoni, che in ordine meramente cronologico sono
Dicembre

Qualcuno dice che sei già scappata via
Qualcuno dice che fai vita giù in città
E se ti può star bene fatti viva per Natale
Ma non ti voltare indietro
Se capisci che ti va male.

che potrei dire, tra le tre, la mia preferita, ma mi sembrerebbe quasi ingiusto, prima di tutto perché mi sentirei come una mamma che dichiari di preferire un figlio ad un altro, secondo perché le altre due,
Il suono delle campane

Uomini senza lingua uomini senza pietà
Uomini senza un dolore uomini senza umanità
Uomini in fila indiana nella notte di Natale
Aspettavano fumando il suono delle campane

e
Lucy

Prega di giorno prega di notte
Prega che il suo cuore non pianga mai le botte
Botte che arrivano come le caramelle
Che i bambini si sognano a Natale

sono altrettanto belle, ma sono anche un’altra cosa.

Molte canzoni di Locasciulli presentano caratteri comuni, nelle situazioni evocate, nelle atmosfere, nei temi proposti. Mi piacerebbe tentarne un’analisi comparata, prima o poi, e ad esempio, partendo da Dicembre, mi vengono in mente Piove e non piove e Un po’ di tempo ancora. Quest’ultima, anche a una semplice lettura, senza ascolto, si rivela un classico di perfezione locasciulliana. Non c’è una parola fuori posto, una sbavatura, una piccola nota stridente. Potrebbe benissimo reggersi senza musica, ma siccome è una canzone, la musica c’è, ed è un vestito confezionato su misura da un sarto provetto, o sono state le parole a entrare perfettamente dentro quella musica, non lo so.

Prima di entrare in possesso di notizie sul metodo, anzi sui metodi compositivi di Mimmo Locasciulli, e mi riferisco al mio passato di attenta ascoltatrice delle sue canzoni, che mi portavano a provare sensazioni ed emozioni, e anche a formulare riflessioni, senza mai però, come usa dirmi la mia amica M., sentire l’esigenza di procedere all’esame autoptico, o per essere meno macabri, alla TAC dell’artista - nel senso di andare un po’ più in profondità nel tentativo di scoprirne il nocciolo, come ho fatto in questa mia fase più recente - ero fermamente convinta che la maggior parte delle sue canzoni nascessero da un più o meno “tormentato” calarsi nel profondo di sé stesso, da un processo di autoanalisi, cosa che invece, almeno l’artista così ci racconta, in questa forma così “dolorosamente” introspettiva è avvenuta solo con l’ultimo lavoro, Idra. Non importa: a me, e non solo a me, era sembrato che così fosse stato spesso anche in passato, che ci fosse anche un guardarsi dentro, oltre che un guardarsi intorno, al fine di immagazzinare e custodire input ispirativi dentro “salvadanai” che a un certo punto si rompono, quando giunge inaspettato il momento di comporre.
Non sono neppure del tutto d’accordo con lui quando dice che attualmente è convinto di scrivere canzoni più belle di, cito testualmente, dieci o quindici anni fa. Vero è che è meglio non “estrapolare” da un “contesto” (metto tra virgolette perché mi ritrovo ad usare parole che non amo, e io cerco di fare attenzione all’uso delle parole) e non prendere per verità assolute, inconfutabili, dichiarazioni che hanno si un fondo di verità, ma sono anche legate al momento contingente.

In ogni caso, qualsiasi sia la molla o il metodo che ha portato alla loro composizione, quelle di Mimmo Locasciulli sono canzoni slegate dalle mode, che resistono al tempo, in una parola dei classici. Canzoni che più le ascolti più ti viene voglia di ascoltarle, e certo non sono solo canzonette, e dentro, attento osservatore e cronista del suo tempo, o impegnato in un’ardua discesa negli scantinati di sé stesso, si scorge sempre l’anima di un uomo. Un uomo, e, già questo, come diceva quel suo amico che tra tutti ha saputo, con poche pennellate, meglio delinearlo, non è poco.


Poiché ho preso come spunto il Natale, e in queste circostanze di festa la tavola ha un ruolo fondamentale, avrei voluto fare la spiritosa e proporre un menu di un signore francese molto noto, François Rabelais, collega cinquecentesco di Mimmo Locasciulli, (no, Mimmo non è mai stato frate, ma, Rabelais, lasciato il saio, divenne medico… il mondo era ed è pieno di medici con inclinazioni artistiche) e servire in questa antivigilia una delle colazioni di Pantagruel. Ho cambiato idea perché il francese del cinquecento è un po’ ostico, e poi perché Pantagruel, non si limita solo a mangiare, ma fa anche delle cose che qui dentro non mi sento di proporre, per quanto io non ambisca a diventare la nouvelle Donna Letizia. Nessun menu, dunque, ma alcuni aforismi di un un compito signore francese vissuto tra il 1755 e il 1826, che si chiamava Jean Anthelme Brillat–Savarin e di mestiere faceva il magistrato, ma si era dedicato con passione, prendendosela comoda perché voleva che il piacere di scrivere di un argomento che lo appassionava tanto durasse il più possibile, (come Folgorata, che s’inventa qualsiasi cosa pur di continuare a scrivere) alla stesura di un’opera assai nota intitolata Physiologie du gout ou Méditations de gastronomie trascendante Un classico, un piccolo gioiello, che regala al lettore pagine piacevoli, un’opera seria, ma lieve, connotata da una gradevole e arguta ironia. Ecco dunque alcuni dei suoi aforismi, (in tutto sono venti, vi grazio e ve ne propongo solo quattro) che precedono l’opera vera e propria.

-Les animaux se repaissent; l’homme mange; l’homme d’esprit seul sait manger.

-La destinée des nations dépend de la manière dont elles se nourissent. (Evidentemente ci siamo nutriti molto male, in questi ultimi tre lustri.)
-Le plaisir de la table est de tous les âges, de toutes les conditions, de tous les pays e de tous les jours ; il peut s’associer à tous les autres plaisirs, et reste le dernier pour nous consoler de leur perte.

-La decouverte d’un mets nouveau fait plus pour le bonheur du genre humain que la decouverte d’un étoile.

Ne consiglio a tutti la lettura. Un capitoletto, anzi una méditation di tanto in tanto. Potrebbe diventare un libretto da tavolino da notte. A Mimmo, gourmand sans retour, che questo libro certamente conosce meglio e prima di me, ma non so effettivamente da quanto non lo apra, mi permetto di suggerire la lettura del paragrafetto 64 della Méditation XII.

Niente traduzione per gli aforismi: uno che ama Mimmo Locasciulli, ça va sans dire, il francese, almeno quel tantino per leggere e comprendere un testo, deve conoscerlo. (A breve saranno aperte le iscrizioni al corso “Come diventare un perfetto fan di Mimmo Locasciulli”, a numero chiuso; si accede dopo aver superato una severa selezione. Costituisce credito la conoscenza della biografia autorizzata, ma anche, in misura minore, della “agiografia” romanzata di Folgorata.)

Buon pranzo di Natale a tutti, e mi raccomando: gourmandise, non gloutonnerie o voracité.

martedì 14 dicembre 2010

DOPO

IL POST-CONCERTO DI MIMMO LOCASCIULLI A TORINO, ATTRAVERSO GLI OCCHI DI UNA CHE NON AVEVA MAI AVUTO, IN PASSATO, MOTIVI SUFFICIENTI PER TRATTENERSI DOPO LA FINE DI UNA ESIBIZIONE.
Il cantante ha appena terminato il suo acclamatissimo bis. Si accomiata con un inchino. Si allontana dalla sala ancora buia e si infila nell’andito. È carico, ma è anche stanco; ha bisogno di ricomporsi un po’ e sicuramente di bere. Anche il pubblico inizia ad alzarsi; qualcuno va a riappropriarsi del cappotto, qualcun altro si ferma davanti al “banchetto” dove sono disposti in bell’ordine i lavori più recenti dell'artista.

Il cantante riesce a ricomporsi soltanto parzialmente, non gli danno il tempo. Piccolo prezzo da pagare: il pubblico inteso come entità indistinta, non dico abbia in sé qualcosa del piccolo mostro fagocitante, ma certo ha le sue esigenze: vuole vedere, parlare, stringere mani, in qualche caso baciare; richiedere un autografo, posare con lui per una foto, complimentarsi, rendere omaggio; dare e prendere, per quanto consentito nello spazio di un saluto, di un rapido scambio di battute, portarsi a casa sensazioni ed emozioni da ritrovare dentro un foglio di carta o una fotografia.
Ha preso una birra, l’assetato cantante: la beve così, direttamente dalla bottiglia, appoggiato al muro accanto al camerino: evidentemente è sua regola non bere alcolici prima del concerto, se si lascia andare a dire che è dalle sei e mezza che aveva una voglia di birra… Sembra un ragazzo, in quella posizione, con quella birra in mano.

La gente inizia ad avvicinarsi, ordinatamente. C’è pure un sacerdote, molto prete di frontiera, sembra. (Oddio, ora mi coglie il dubbio di aver visto male! NO, portava il clergyman.) A lui, prima, il cantante ha porto il “bussolotto” con i bigliettini, e nel chiedergli di “pescare” gli ha detto: “Ha la mano miracolosa?”(Molto spiritoso, davvero simpatico; il pubblico gradisce molto le sue battute.) Ma ecco un altro signore, anch’egli invitato in sala a "pescare". Il caso volle che fosse francese e, un sospetto lo avevamo già avuto, il francese è la lingua d’elezione di Mimmo Locasciulli, quella che conosce meglio. Tra i due pare esserci un piccolo feeling istantaneo; il signore legge il numero in francese, onze, e la sua pronuncia manda in visibilio il cantante, che coglie la palla al balzo per farci un piacevole siparietto. “Che pronuncia, parla meglio di F.” e cita un bravissimo e notissimo personaggio televisivo e radiofonico, che evidentemente apprezza perché dal tono si sente la simpatia per lui (Locasciulli è uno che, citando una persona, fa immediatamente capire, dall’intonazione che usa se è "nelle sue grazie" o meno). Siccome è molto ispirato parla un po’ in francese pure lui, e ci dà un piccolo saggio della sua conoscenza della lingua. Col signore francese è ancora feeling al momento dei saluti. Per una di quelle curiose coincidenze, il suo paese d’origine è uno di quelli che il Nostro ha visitato quest’estate. C’è di più: ha regalato un centimetro dei suoi capelli a “un bravissimo” barbiere che ha il suo salone nel corso di questo paese, situato in una zona della Francia, notissima per la sua produzione di vini di altissima qualità.

Arriva il turno di una ragazza, giovane e carina, potrebbe essere mia figlia e potrei averle trasmesso io la passione per il cantante. Era seduta accanto a me e ha seguito il concerto con emozione pari alla mia. “Mio padre mi ha trasmesso la passione per la sua musica” confessa felice ed emozionata, e garbatamente chiede a Mimmo una foto. Lui è gentile, come si può non esserlo con una personcina così a modo (questa ragazza mi intenerisce) e accoglie la richiesta con un sorriso. Si ricorda perfino che lei gli ha scritto. Ottima memoria, forse gli sfugge qualche nome, ma ricorda perfettamente le circostanze, anche quelle recenti, nonostante abbia confessato durante il concerto di ricordare bene le cose del passato e poco o niente quelle recenti.
Ecco una bella signora: "Buonasera, sono nata anch'io il 7 luglio, si ricorda, ci siamo fatti gli auguri a vicenda..." "Ah, non fossi nato quel 7 di luglio... Se trovo quelli dell'anagrafe li gonfio..." Battuta già utilizzata durante il concerto e chissà quante altre volte. Io ora do in anteprima una notizia eclatante: in effetti c'è stato un errore, Mimmo non è nato nel 1949, ma nel 1994. Quelli dell'anagrafe hanno davvero sbagliato. Ci troviamo pertanto di fronte al caso di un adolescente molto vissuto, un vero prodigio.

Diventa addirittura caldamente affettuoso quando si avvicinano due “ragazzi” abruzzesi: qui non si può scherzare, c’è un incontro di anime; li bacia, li invita ad accomodarsi nel camerino; regala (come nel libro delle “emozioni”, ogni tanto lo fa, pare) il Cd singolo che contiene Natalina cantata dal suo amico bernese e Hotelsong cantata da lui, quello, che io non ho, con la sagoma del volto di entrambi gli artisti.

I suoi conterranei hanno perso il conto dei concerti di Mimmo Lcasciulli cui hanno partecipato: quaranta, forse cinquanta? Un affetto e una stima davvero profondi, corrisposti, tangibili.

C’è una signora che si muove intorno al cantante, impegnato a salutare gli altri “fans”. Lo osserva, anzi lo studia, lo ascolta con attenzione, sembra non voler perdere una sillaba di ciò che dice. Di tanto in tanto interviene, di tanto in tanto anche lui le si rivolge brevemente. Ha il cappotto addosso, questa piccola signora con gli occhiali neri e i capelli argentati, questa ragazza vecchia, che fa cose che già a quindici anni sarebbe meglio evitare, ubriaca anche se ha bevuto solo un succo di frutta. Ha il cappotto addosso ma non sente caldo, e pensa che essere già pronta le tornerà utile se a un certo punto qualcosa la dovesse indurre a fuggire. Non fuggirà, anche se forse sarebbe stato meglio farlo: rimarrà lì, fino all’ultimo, sempre più ubriaca e sempre più infreddolita e si darà qualche pizzicotto per capire se quello che sta vivendo è un sogno, o un incubo, o semplicemente una realtà per lei inconsueta.

C’è un signore magro e alto, che si aggira intorno. A un certo punto si siede e armeggia con un telefonino, di quelli molto diffusi oggi, che quasi quasi fa anche il caffè e la pizza. Pare sia del cantante: uno cui è concesso trafficare con il portatile personale di Mimmo, non può certo essere un estraneo, e infatti è uno dei suoi amici più cari. Tra loro la complicità è tangibile anche senza parole: semplicemente non ne hanno bisogno, sembrano comunicare benissimo senza. Le misteriose alchimie tra le persone. Durante il concerto Mimmo ha fatto alcuni riferimenti a fatti vissuti con il suo amico, e lui c’era, discreto, silenzioso. La signora ubriaca è affascinata dalla corrente emotiva tra i due, tangibile.

Forse non c’è nessuno, venuto lì quella sera per il concerto, che vada via senza salutare l’artista. Nessuno è lì per caso, o perché quella sera non aveva di meglio da fare. Molti lo conoscono già, con qualcuno c’è qualcosa di più di una semplice conoscenza. Intonazione della voce ed espressione del volto del cantante variano e, a seconda dell’interlocutore, vengono fuori, in misura più evidente, le caratteristiche del ragazzo d’Abruzzo, del giovane uomo pieno di entusiasmo, aspettative ed energie, dell’uomo maturo e riflessivo e del primario, l’uomo, cioè, abituato ormai da tempo ad un ruolo di responsabilità, a prendere decisioni importanti, a dare disposizioni, a non perdere tempo. In ogni caso appare spiccio di modi, informale, senza smancerie. Nessuna traccia di “È un piacere e un onore"; e neppure "è un dovere” nessuna cerimonia.
Sotto la scorza dell’uomo vincente ormai abituato a muoversi con disinvoltura tra i continenti e a prendersi il meglio dalla vita, ogni tanto fa capolino il ragazzo di provincia, che un po’ intenerisce con le sue insicurezze. Domanda a qualcuno come sia andato il concerto, sembra interessato a ciò che la gente gli dice. Tutti gli fanno complimenti sinceri e lo rassicurano, ma Lui non digerisce le piccole defaillances, non le digerisce perché Lui è preparato, le sa tutte le sue canzoni, le potrebbe anche recitare tutte e trecento cinquanta davanti a un bicchiere di birra (forse un boccale da un ettolitro, ci vorrebbe…), e invece, quella maledetta emozione, dopo una carriera lunghissima. Benedetta quell’emozione, dico io, perché ti salva, prega che ci sia sempre, finchè avrai voglia e voce per cantare…

Quasi per ultimo, quando quasi tutti hanno salutato si avvicina un signore dall’aspetto serio e un po’ triste (pura sensazione, magari è la persona più allegra di questo mondo). Si aggira intorno da un po’, ma si vede che cerca un breve momento tutto suo col cantante, che evidentemente ama molto, e dal quale forse si sente rappresentato. La compenetrazione, l’immedesimazione sono un ingrediente fondamentale del rapporto tra fans e artista. Ti apprezzo perché condivido; i tuoi stati d’animo sono i miei, i tuoi convincimenti sono i miei. Quanto di vero e quanto di ingannevole? C’è un confine dentro le canzoni, tra le parole vere e quelle che componi, per fare centro per colpire più la fantasia (cito a memoria, ora non ho voglia di entrare nel sito a controllare il testo, ne’ di ascoltarmi la canzone perché sono in fase di astinenza) Questione aperta… Il signore triste gli tende un libretto, (la mia prima fonte, non in senso di importanza, cronologicamente parlando) perché vuole che l’artista ci scriva qualcosa sopra. “Ancora con questo, giri” scherza Mimmo Locasciulli. (In effetti è un po’ da aggiornare) ma poi lo sventola sotto alcuni occhi presenti e aggiunge “Questa è la mia biografia autorizzata.” Essenziale, ma c’è tutto quello che deve bastare a un "fan istituzionale".

Intanto la maggior parte della gente è uscita dal locale. Si è fatto tardi, anche se non tardissimo. I musicisti sono abituati a tirar tardi e a cenare tardissimo. Mimmo ha raccontato durante il concerto, di una cena a Tokio, (Tokyo?) alle tre del mattino, con Greg, che volle ad ogni costo mangiare spaghetti, nonostante i tentativi dissuasivi dell’amico. Arrivano gli spaghetti, Greg mangia, riflette, si esprime: spaghetti 30% buono, 70% m…a. La stessa percentuale che molti anni dopo Mimmo ha utilizzato nella sua L'interpretazione dei sogni: (Il 30 per cento dei suoi pensieri è fatto soltanto di bianchi e di neri, l'altro 70 è un arcobaleno... cito sempre a memoria e l'errore è in agguato) 100% ottima.

Già, è tardi; alla signora col cappotto, che non si è persa un respiro del cantante e di tutto ciò che si è mosso intorno a lui, sembra di sentire i rimbrotti di un affamatissimo stomaco d’artista (farà una proposta perché tali rimbrotti siano inseriti tra i beni patrimonio immateriale dell’umanità). Non ha smesso neppure per un momento di osservare gli occhi dell’artista, occhi chiari che nelle foto non sembrano tali (ingannevoli le foto più di ogni cosa, come il cuore: citazione biblica, Geremia, che mi ha insegnato uno scrittore israeliano, e che appena posso utilizzo perché mi piace troppo) occhi sommamente espressivi ed eloquenti. Potrebbe non aprir bocca, il cantante, perché è in grado di trasmettere tutto ciò che sente con gli occhi. La nostra amica li ha visti soffermarsi su qualcuno a tratti con affetto, con complicità, con un guizzo di sorpresa, con indifferenza, con un po’, ma solo poca, insofferenza, con un guizzo di allegria, con stanchezza, con gravità e infine, li ha visti un po’ adombrarsi e diventare gelidi.

Questione di secondi, ma si è sentita addosso tutto il freddo del mondo. Me l'ha detto una che la conosce bene.
Mai e poi mai avrei voluto essere nei suoi panni.

martedì 7 dicembre 2010

UN ARTISTA GENEROSO, UN DILETTANTE DI LUSSO

Appena rientrata a casa, dopo un breve periodo di vacanza seguito al concerto di sabato, decido di scrivere. Sono passati alcuni giorni, e il proposito di mettere ordine nei miei pensieri non ha avuto un risultato felice. Mi sembra di avere in testa una gran confusione, e i ricordi di un avvenimento recentissimo mi appaiono lontani nel tempo, frammentati e non coordinati. Non mi aiuta la febbre, non il malessere fisico che mi sono portata dietro da luoghi totalmente diversi da quelli in cui abitualmente mi muovo. Dalla neve e da una temperatura molto bassa sono passata ai 23° della mia bianca, bella città nord-africana.

La mia piccola avventura, è iniziata sabato mattina alle 4,30. La mia sveglia suona sempre molto presto, ma in questo caso non posso permettermi di far tardi e mi dà molta sicurezza avere tempo.

Saltando tutto il resto, il racconto inizia con i miei preparativi in albergo e la telefonata al taxi che mi condurrà al Folkclub. Non è stato casuale che io abbia scelto di venirlo a vedere proprio qui: ho parlato tante volte dello stretto legame tra l’artista e il locale: è un luogo che ama e nel quale si sente profondamente a suo agio, per cui penso dia il meglio di sè.

Arrivo molto presto, il locale è aperto da poco e ci sono ancora poche persone. È una cantina, un locale seminterrato, chiamatelo come vi pare. Una sala rettangolare, un palco col pianoforte, delle file di sedie sistemate di fronte al palco, e nei due lati. Io ho prenotato appena sono venuta a conoscenza della data. Spero per questo di avere una posto che mi permetta di vedere bene. Sono proprio di fronte al pianoforte, ma in quarta fila. Se davanti ci sarà qualcuno alto – penso – non riuscirò a vedere nulla. Sempre meglio di quelli sistemati nella fila di sedie al lato sinistro del palco, che del cantante sentiranno solo la voce, e non ne vedranno il volto e l’espressione, ma solo le spalle.

Continuo a guardarmi intorno, a osservare le persone che piano piano arrivano, quelle che si fermano al bar a bere e chiacchierare. Alcuni hanno l’aria di essere di casa. Sono, credo l’unica donna sola, e sono, credo, quella che ha fatto il viaggio più lungo e anche più costoso: tre voli acquistati; non potendo raggiungere Cuneo al ritorno, ho dovuto acquistare un altro volo da Malpensa, più vicina al luogo dove mi trovavo, per poter tornare a destinazione in tutta tranquillità.

Osservo il pianoforte: sopra c’è un cappello, un bel cappello nuovo, e questo mi racconta che il cantante, o cantautore, o artista, chiamatelo come vi pare, Lui, Mimmo Locasciulli, insomma, è lì. Dove non si sa, ma c’è. In tutto questo tempo non mi pareva di essere minimamente emozionata, nonostante tutto sia per me una novità. La mia prima volta assoluta in trasferta apposta per un concerto, la mia prima volta assoluta a un concerto tutto di Mimmo.

Guardo l’orologio, le 21,30 sono passate da poco. Dopo poco tempo, uno dei responsabili del locale, annuncia che di lì a poco si inizia. Forse sento qualcosa che si muove, dentro di me, forse sono i primi segni dell’emozione. Eccolo, arriva, saluta, si siede, si guarda intorno; si rivolge in particolare a chi, tra i presenti, potrà vederlo solo di spalle.

Racconta dei dubbi che ha avuto sulla opportunità di cantare da solo (il concerto era previsto inizialmente in quintetto) e del fatto di avere poi deciso di farlo solo perché si svolgeva lì, in un luogo amato e in cui si sente davvero a suo agio, rassicurato. Ha espresso al pubblico la paura che lo coglie prima di ogni concerto, nonostante i quarant’anni di esperienza. Il cappello è la mia coperta di Linus - dice anche oggi (frase topica locasciulliana) serve a nascondere le mie insicurezze, (altra frase topica) non la violenza della natura (ridiamo tutti) - aggiunge togliendo per un attimo il cappello e lasciandoci intravedere questa presunta "devastante" violenza.
Mi piace questo aspetto: è sempre positivo non avere resistenze a esternare le proprie insicurezze, e poi, lungi dal pensare che sia una tattica da artista consumato, fa presa sul pubblico. Funziona sempre.

Essendo questo un concerto particolare, Mimmo ha deciso di impostarlo in modo un po’ diverso dal solito. Ha preparato due scatole di cartone con dentro tanti bigliettini sui quali è scritto un numero al quale corrisponde una canzone. C’è la scatola delle canzoni lente, e di quelle un po’ più movimentate. C’è una terza scatola che contiene pezzi "imprevedibili", nel caso in cui gli venisse in mente di farne qualcuna. Mimmo invita qualcuno del pubblico a estrarre il primo bigliettino, e la prima canzone è il suo inno alla libertà, la sua canzone in abruzzese, Vola vola vola. (Si dichiara molto contento dell'inizio voluto dalla sorte.)

Alterna canzoni e parole, Mimmo, e io non so se mi piaccia di più sentirlo parlare o cantare. Mi sento sempre più emozionata, e davvero un’espressione beata non mi abbandona per tutto il concerto. Gli applausi sono copiosi e spontanei. Si "allunga" per raggiungere file di sedie più distanti, pencola appoggiato a una colonna. Coinvolge tutti i settori, a parte le ultime file, perchè fin lì non riesce ad arrivare.

Davvero Mimmo Locasciulli, ora, dopo averlo letto tante volte scritto da altri, posso testimoniarlo anch’io, non si risparmia durante le sue performances. Canta moltissime canzoni, le interpreta con una passione sconfinata, si vede che le sente, e questo ha una inevitabile conseguenza fisica. Suda le classiche sette camicie, diventa porpora; è molto carico, ma questi concerti, in cui certo non ci sono salti o acrobazie, richiedono una buona resistenza fisica che dimostra di avere.
Ho modo di capire le ragione di quell’altra frase che lo riguarda. "Chino sul suo pianoforte", "piegato sul suo pianoforte". Vero, a volte completamente adagiato. C’è una totale compenetrazione tra il piano e il pianista, che ci sorprende, anzi, no, ce l' aspettiamo, però ci piace molto, con le sue variazioni e i suoi virtuosismi.

Fa di più: lo bacia, quel piano del Folkclub, si sente proprio lo schiocco, gli fa una dichiarazione d’amore: lo amo questo pianoforte.

Mimmo Locasciulli è un artista affascinante: lo aiutano la sua bellissima voce, dice cose interessanti, e a me personalmente piace di più quando aggiunge qualcosa di nuovo al repertorio di frasi consuete, a quelle che fanno parte del corredo personale dell’artista. Oggi riesce a ottenere molto dalla sua voce, canta davvero bene, nonostante piccole defaillances, (dimentica qualche parole, incespica di tanto in tanto sulle note, in qualche occasione ricomincia da capo: gli dispiace, perchè "davvero le mie canzoni le conosco tutte") che me lo rendono molto più caro che se fosse perfetto. Devo aggiungere anche che quella che io ho sempre definito una bella faccia, seppur non convenzionale, osservata da vicino è molto più bella. Intanto sembra molto più giovane, il nostro artista, e ha occhi chiari e sorriso smagliante. Le telecamere e le foto non gli rendono giustizia.

Ogni canzone una emozione, ogni canzone un ricordo, ogni canzone un pezzetto di cuore che muore e un altro che rinasce a nuova vita.

La terza, se non ricordo male, canzone cantata, è Tango dietro l’angolo, "una di quelle" - dice lui, "che in genere canto alla fine, perché mi scalda molto e poi vado sopra le righe". Che bella!
Ogni canzone una storia e il racconto di aneddoti legati ad essa. Uno, quello legato a Natalina, che racconta sempre, lo racconta anche oggi, perché qualcuno tra il pubblico non lo conosce. Io l’avrò letto e sentito venti volte, ma lo ascolto ancora con piacere.

Fa un po’ il professore, Mimmo, e a un certo punto, sbalordendomi, interroga il suo pubblico, su certe citazioni (Tutto è stato già scritto, tutto è stato compiuto... riferimento alle ultime parole di Cristo sulla croce prima di spirare, Ed un piccolo chiarore, si trasforma in una luce, e qui siamo alla caverna di Platone) contenute all’interno de La disciplina dell’amore (Il titolo è un chiaro riferimento a Pascal, del quale cito un passo: L’uomo è nato per pensare; e davvero non c’è un momento in cui non lo faccia: ma i pensieri puri, che lo renderebbero felice se fosse in grado di farli durare, lo affaticano e lo abbattono. Rendono la vita monotona, e l’uomo non riesce ad adattarvisi; ha bisogno di movimento e d’azione, ogni tanto deve essere agitato da passioni di cui sente nel suo cuore sorgenti molto vive e profonde.
Le passioni che gli sono più vicine, e ne richiamano parecchie altre, sono l’amore e l’ambizione: non hanno alcun legame tra loro, anche se le si accosta molto spesso: e infatti l’una indebolisce l’altra, reciprocamente, per non dire che si distruggono a vicenda.)
Si verifica in sala un clima da pre-interrogazione scolastica, quando il professore legge i nomi sul registro, e tutti guardano il banco, o la punta delle dita. Nessuno risponde. Vi boccio - scherza il nostro filosofo mancato per un soffio.

Io, che un po’ la sindrome della prima della classe ce l’ho, soffro a non alzare la mano e mostrare quanto sia stata diligente, ma il pudore e il senso del ridicolo hanno il sopravvento, e rinuncio così a fare la mia bella figura. NO, non è la verita, ho avuto paura che mi chiedesse di approfondire, e di non essere all'altezza...
In L'interpretazione dei sogni, c'è invece il richiamo alla notissima opera di Freud, di cui in molti sanno l'esistenza, mentre l'opera di Pascal è decisamente meno nota ai più.
Altri aneddoti raccontati, e qui sono personali, sono quelli legati alla canzone Buoni propositi, che mi ricorda un passato remoto, i miei vent’anni, e mi mette una grande allegria quando la ascolto. Buoni propositi a distanza di tanto tempo messi in atto, almeno in parte, dal nostro.

Ancora la ruvida Il giorno più difficile, concepita in una notte di guardia in ospedale, in una delle tante giornate difficili, e immediatamente comunicata telefonicamente dall'autore al suo produttore di allora. Come la capisco questa smania.
Un’altra canzone che, dice Mimmo, "gli da gusto": Piano piano, che da molto gusto anche a me.
Davvero tutte non le ricordo; ha concluso con Cara Lucia, dopo essere rientrato a concerto concluso per il bis, acclamatissimo. Insomma si sono alternate canzoni vecchie (Natalina, Piccola luce, Buoni propositi, Gli occhi, Pixi dixie fixi...) con canzoni dell’ultimo album (Idra, La disciplina dell’amore, Senza un addio, una che ci teneva proprio a cantare, Benvenuta) da Aria di famiglia (il pezzo omonimo) da Tango dietro l’angolo (title track e II giorno più difficile) da Sglobal, (Correre baby, L’autunno dopo tutto) da Piano piano (la canzone omonima, L’interpretazione dei sogni).
Canta anche Blu, che forse non è una di quelle che fa più spesso. (?)
Blu per non dimenticarcelo è in Adesso glielo dico.

Tutte ora non sono in grado di elencarle, ma davvero Mimmo non si è risparmiato, davvero è un artista molto generoso. Piccole defaillances a parte (che ribadisco aggiungono, e non sminuiscono) è un perfetto dominatore del palco e del rapporto col pubblico, dosa bene giuste intonazioni e pause, imita il suo amico cantante americano dalla voce roca, quando, a proposito di qualche “errorino” dice è il piano, non sono io, e la voce è davvero imitata benissimo. Insomma, promosso a pieni voti, anzi gli conferisco pure lode e bacio accademico, a questo signore che dopo questa splendida esperienza mi ha lasciato il desiderio di riviverla ancora, molte e molte volte, in duo, in terzetto, in quartetto in quintetto, con la band, con l’orchestra, in qualsiasi modo va sempre bene.

Basta che ci sia Mimmo Locasciulli, artista generoso e dilettante di lusso, (nel senso che la musica per lui è pure diletto, pura passione) come gli piace definirsi. Scrivetemi e ditemi pure che sono un dilettante, ma di lusso - ci comunica.
Detto fatto: Un forziere di gemme, sei, un hotel a sette stelle, un mare di Barolo, un quintale di tartufi bianchi, una tonnellata di bottarga di Cabras (Tutta roba che mi interessa di più).
Altro che lusso, lusso sfrenato.

… Non riesco a ricordare niente altro, del concerto. Ricorderò tutto a pubblicazione avvenuta, ne sono certa. La notte dopo il concerto avrò dormito, male, due ore; le altre notti ugualmente pochissimo. Mi svegliavo e pensavo: Mi pare di aver sognato di essere stata a Torino, a un concerto di Mimmo…
In conclusione, voglio ancora una volta ringraziare i due ragazzi pescaresi, presenti al concerto, che ho (non avevo scelta, avevo un po' di timore a stare da sola per strada, di notte) "abbordato" perchè mi "custodissero" in attesa del taxi che mi avrebbe riportato in albergo. Grazie, ragazzi, vi sono grata.
Grazie anche, anche se questi non avranno occasione di affacciarsi qui lo faccio lo stesso, ai tassisti torinesi, gentili, e attenti, che hanno atteso che scomparissi dentro il locale e dentro l'hotel. Per fortuna, tra tante persone poco attente e poco cortesi, ce ne sono altre fatte di altra pasta.

domenica 5 dicembre 2010

FINALMENTE CE L'HO FATTA!

Sabato 4 dicembre, finalmente, dopo una lunga e non spiacevole attesa durata, un po' intenzionalmente, un po' no, circa quattordici mesi, (un parto molto molto lungo, e non indolore) sono riuscita a rendere reale il mio piccolo sogno di cinquantenne pazza scatenata, e ho assistito, con un sorriso ebete stampato sul volto per più di due ore, e con le mani impegnate in un applauso durato altrettanto, al concerto, emozionante, coinvolgente, irresistibile di un Mimmo Locasciulli in forma smagliante. Questione di poco e racconterò le mie sensazioni di spettatrice emozionata e straordinariamente felice. Ho bisogno di riordinare le idee e gestire le emozioni, nonchè di ritornare alla base, nel mio studio di Folgorata. Qui sono fuori sede, e mi dedico a cose più materiali, tipo degustazioni di vino e formaggio piemontesi. Per la spiritualità ci sarà spazio a Cagliari. Non vedo l'ora di tuffarmi nella scrittura delle emozioni!

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