Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

lunedì 25 aprile 2011

CI SI DIFENDE CON GLI OCCHI DURI E LA FILOSOFIA?


Questo è un post surgelato. Scritto e poi messo nel freezer, perchè nel frattempo la mia attenzione era stata presa da fatti e temi più legati al momento, che non avrebbero resistito alla lunga conservazione: occorreva consumare subito. Nel caso specifico di oggi, spero si possa consumare il prodotto in tutta tranquillità, anche a distanza di tempo, e che il freddo abbia mantenuto inalterate le sue proprietà.

Da quella famosa volta in cui Mimmo Locasciulli ha vestito i panni del professore e ha interrogato il suo pubblico (in mezzo c’ero anch’io) su alcune citazioni contenute nella sua bella, amata, articolata, semplice e complessa a seconda della lettura che se ne vuole fare, e sempre interpretata, sia nei concerti, sia quando è ospite in radio (accendo la radio, la musica è oscena, non passa una nota di rock e di jazz, e qui mi fermo, perché oggi non mi posso permettere una digressione che da sola diventerebbe un post) sia in televisione - La disciplina dell’amore - ha incominciato a frullarmi in testa un’idea. Ve la esterno tra poche righe, perché una trasgr-digressione piccolissima, la vorrei fare: a onor del vero, i panni del professore li ha vestiti davvero, Mimmo, non di filosofia, è evidente, ma di discipline inerenti la professione medica. La docenza non è stata la parte più significativa della sua carriera, ma l’ha esercitata, in diverse occasioni. Posso quindi affermare, che non solo Mimmo dixit,ma anche che Mimmo docuit. Qui mi fermo, perché così devo, ma mi concedo la licenza di affermare che io, potendo, seguirei una sua lezione con lo stesso trasporto con cui mi accosterei a un suo concerto. Anche a una lezione-concerto, che mi pare abbia tenuto anche quella.

Mimmo, che come sappiamo è un grande appassionato di filosofia, anzi per essere più precisi l’ha proprio succhiata col latte materno, ha dedicato parte dell’adolescenza, fino ai diciotto anni, alla lettura di intere collane filosofiche, fonti dirette e saggi, perché era un ragazzo animato dal desiderio di comprendere, di darsi delle risposte sui temi portanti della vita. Interessato alle dottrine filosofiche più disparate, sembrerebbe particolarmente imbevuto, tra l’altro, di filosofia platonica. Diversi sono i riferimenti alla teoria delle idee, e al celebre “mito della caverna”. Pare ci sia in lui anche un certo gusto alla discussione filosofica, al trovare argomenti validi per sostenere una tesi, ma anche il suo esatto contrario, al pari degli antichi sofisti greci, che quest’arte insegnavano alla jeunesse dorée ateniese. Un ottimo esercizio per tenere allenato il cervello, il tutto in occasione di simposi con amici affascinati, ma anche estenuati, da questa sua attitudine. Lui si diverte molto, sostengono alcuni, ma non li conosco e non so se dicano il vero. Mi fido di più dei suoi versi che recitano Ci si difende con gli occhi duri e la filosofia/ma sotto sotto spinge più forte la malinconia. Non so se la filosofia sia stata per lui, oltre che una difesa, anche una consolazione, come spesso è avvenuto in altri casi illustri.

Tornado a Platone, la maggior parte delle sue opere sono sotto forma di dialogo tra alcuni personaggi, uno dei quali è Socrate, del quale Platone divenne discepolo, dopo essere stato poeta, (e aver rinnegato la poesia, un bel giorno in cui decise, dopo aver dato una grande festa e aver riunito tutti i suoi amici, che da quel momento si sarebbe dedicato solo alla filosofia: era per la separazione delle carriere) e che conosciamo proprio grazie a Platone, perché come è noto di Socrate non ci è pervenuta nessuna opera diretta. Uno dei dialoghi più noti è la Repubblica, e proprio al suo interno, si trova "Il Mito della caverna", in cui gli interlocutori sono Socrate e Glaucone. Nella canzone di Mimmo citata prima, il riferimento è nel verso che recita Ed un piccolo chiarore, si trasforma in una luce.

L’idea che mi frullava nella testa era proprio quella di riportare integralmente il Mito, in omaggio al Cantante, e anche perché, se qualcuno, non si sa mai, non lo conoscesse, se si affaccia qui, può trovarlo, leggerlo, e, volendo, leggere anche una possibile interpretazione, che ho affidato a un professionista. Ne ho scelto una in particolare, perchè mi pare di semplice lettura, accessibile anche a chi non abbia nel suo curriculum, ne' studi, ne' letture filosofiche. Per gli altri non saranno necessarie le mie indicazioni.

Non vedo scelta: se si abbraccia Mimmo, si abbracciano anche i suoi punti cardine, e "Il mito della caverna" è uno di questi.

IL MITO DELLA CAVERNA

In seguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. – Vedo, rispose. – Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. – Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? – E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita? – E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? – Sicuramente. – Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? – Per forza. – E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa? – Io no, per Zeus! rispose. – Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. – Per forza, ammise. – Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che cosí facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo piú vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi piú essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe piú vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? – Certo, rispose.

E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente piú chiari di quelli che gli fossero mostrati? – È cosí, rispose. – Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lí a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. – Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso. – Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso piú facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. – Come no? – Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria. – Per forza, disse. – Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano. – È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà cosí. – E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro? – Certo. – Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse piú acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e piú rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? – Cosí penso anch’io, rispose; accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo. – Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole? – Sí, certo, rispose. – E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo? – Certamente, rispose.

Platone, La Repubblica, trad di Franco Sartori, in Opere complete, vol. 6, Laterza, Roma –Bari 1978, pag. 237-239

Il mito della caverna rappresenta una calzante metafora della condizione umana e della via per innalzarsi verso la luce divina della verità. L’anima umana è imprigionata in un corpo materiale che la rende ottusa e sonnolenta. Un uomo sempre vissuto nell’oscurità di una caverna e obbligato a vedere solo ombre proiettate sulla parete da oggetti che – fuori dal suo campo visivo- passano davanti a un fuoco, sarà convinto che le ombre siano l’unica realtà. Analogamente, l’anima umana vive in un mondo di illusione, scambiando per realtà ciò che è soltanto ombra, proiezione concettuale, pallido riflesso della verità. La vita che tutti crediamo reale – suggerisce Platone – è una fantasmagoria di immagini illusorie che l’anima offuscata non può fare a meno di considerare vera. Il cammino verso la verità è dunque il cammino verso la liberazione da tutti quei legami che ottundono la nostra capacità di vedere le cose così come sono. Non può che essere un processo graduale: l’uomo dovrà sciogliersi dalle catene che lo tengono fermo, riconoscere che le ombre non sono oggetti reali; poi scorgere gli oggetti e il fuoco che ne proiettava le ombre; uscire quindi dalla caverna per scorgere il mondo esterno, e infine gradualmente avvicinarsi alla visione accecante dl sole, la vera fonte di ogni visione. Analogamente, il cammino verso la verità porta l’anima a liberarsi da quei legami col corpo che la offuscano (passioni, desideri, etc.) fino a scorgere l’illusorietà della ordinaria percezione della realtà: allora soltanto l’anima potrà innalzarsi verso l’ineffabile contemplazione della infinita luce divina, la fonte di ogni Verità.

Edoardo Shuré, I grandi iniziati della storia segreta delle religioni, III, Platone e Gesù, Laterza, 1987, pag.40.

2 commenti:

  1. Cierto cansancio

    ….Estoy cansado del recuerdo.

    Quiero que el hombre cuando nazca
    respire las flores desnudas,
    la tierra fresca, el fuego puro,
    no lo que todos respiraron.
    Dejen tranquilos a los que nacen!.
    Dejen sitio para que vivan!.
    No les tengan todo pensado,
    no les lean el mismo libro,
    déjenlos descubrir la aurora
    y ponerle nombre a sus besos.

    Quiero que te canses conmigo
    de todo lo que está bien hecho.
    De todo lo que nos envejece.
    De lo que tienen preparado
    para fatigar a los otros.

    Cansémonos de lo que mata
    y de lo que no quiere morir.


    Certa stanchezza

    …Sono stanco del ricordo.

    Voglio che l’uomo quando nasce
    respiri i fiori nudi,
    la terra fresca, il fuoco puro,
    non ciò che tutti respirano.
    Lasciate tranquilli quelli che nascono!
    Fate posto perché vivano!
    Non gli fate trovare tutto pensato,
    non gli leggete lo stesso libro,
    lasciate che scoprano l’aurora
    e che diano un nome ai loro baci.

    Voglio che ti stanchi con me
    Di tutto ciò che è ben fatto.
    Di tutto ciò che ci invecchia.
    Di ciò che han preparato per affaticare gli altri.

    Stanchiamoci di ciò che uccide
    e di ciò che non vuol morire.


    Pablo Neruda

    ....un piccolo pensiero che pare inno alla libertà

    Monica

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  2. L'aurora la scopro tutti i giorni, perchè come sai questa è l'ora, per me, per curiosare qui, ed essere felice se qualcuno, in piena libertà, è entrato in questo posto che, confesso, per vari motivi, un po' mi ha stancato, ma ancora non vuole morire: tento di affogarlo, ma tira fuori la testa dall'acqua con una certa vitalità. Rispetterò i suoi tempi, non i miei; si sa, i figli prendono da soli le proprie decisioni,
    Grazie, Monica per questa tua inattesa e quindi assai più gradita attenzione, che ti fa soffermare qui.

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