Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

lunedì 28 febbraio 2011

E TU QUANTO "NE SAI"?

Per voi è più interessante frequentare persone che reputate migliori di voi, da cui poter apprendere, attraverso le quali poter crescere e migliorarsi, o persone con le quali vi divertite a primeggiare e a dimostrare quanto siete bravi? Io propendo per la prima ozione, perché, fermo restando che nelle relazioni con le persone ci si debba sentire a proprio agio, in condizione di parità, al di là di chi “ne sappia” di più, e di chi “ne sappia” di meno, è infinitamente più interessante, e arricchisce molto di più, frequentare chi "ne sappia" di più.
Non mi riferisco necessariamente a un sapere legato a titoli accademici, collezioni di lauree, professioni intellettuali e prestigiose, ma piuttosto a un sapere in senso ampio, che può essere legato all’esperienza di vita, alla profonda umanità, alla sapienza insita in certi lavori manuali, alla capacità di avere occhi che riescano ad andare oltre ciò che appare, che spesso è ingannevole, a saper leggere le cose e le persone superando la superficie e perforando una crosta spesso dura, per coglierne la realtà più profonda, l’essenza. Che gran dono raro, è questo.
A questo proposito come non citare una della canzoni più belle di Mimmo, Gli occhi, cedendo la parola a chi ne ha curato la scheda, nel dizionario citato qualche post fa. Scrive Silvia Boschero (giornalista musicale, conduttrice di una nota trasmissione radiofonica di Radio 2, Moby Dick) “La canzone è una poetica riflessione sull’umana capacità (o incapacità) di capire il senso profondo delle cose: Occhi che stanno lì a guardare/ E non si stancano di cercare/Occhi che seguono fino alla fine/Il sole che scende dietro le colline. In calce Mimmo Locasciulli aggiunge altre righe piuttosto esplicative: “Non tutto ciò che si guarda si vede e non tutto ciò che si vede è visto”. Oggi aggiungerebbe anche dei versi del suo amato Rilke: “Con tutti gli occhi la creatura vede l’aperto/Solo i nostri occhi sono all’indietro rivolti”, come a spiegare ulteriormente la necessità di rivolgersi al “fuori”, di usare i nostri occhi per comprendere il mondo nelle sue infinite pieghe."
Grazie a queste note ho aggiunto un altro tassello, la presenza di Rilke - ma avrei dovuto pensarci da sola, senza essere imbeccata e non l’ho fatto - sul nostro protagonista infinitamente assetato di poesia. Mimmo è senz’altro uno che vale la pena frequentare, seppur in maniera indiretta, perché certo da lui sento, e non mi voglio, asserendo questo, per niente sminuire io, e neppure collocare lui su un Olimpo inaccessibile, di avere tantissime cose da imparare: “Ne sa molto più di me, in tutti i sensi” e per legarmi all’esordio del mio scritto, io amo frequentare chi ne sa più.
Non è uno che si pone in maniera paludata, che usa un eloquio pomposo, un lessico troppo raffinato, o costrutti difficili. Certo conosce un uso corretto dell’italiano, come ben si evince dalla sua prosa, ma predilige un modo di esprimersi semplice, informale, a tratti anche popolare. Usa insomma un registro colloquiale, ma ha una conoscenza profonda di molte cose, al di là di quelle connesse alle sue due vite professionali. Senz’altro è un profondo conoscitore di poesia, e non di poesia facile, immediata. Uno dai gusti raffinati. Questa frequentazione a distanza mi piace molto, la trovo molto stimolante, mentre magari nella realtà, chissà, potremmo non avere granchè da dirci, potrebbe del tutto mancare quella che secondo me, oltre l'interesse reciproco, è la condizione essenziale perché due persone possano comunicare: la totale assenza di disagio. Quando c’è disagio non c’è storia.
A questo proposito, se effettivamente valga la pena conoscere una persona, un artista che si apprezza, nel quale abbiamo colto segni di terreno comune e dal quale siamo attratti, vorrei cedere ancora una volta la parola ad un’altra persona. Si tratta di una testimonianza di Fabrizio De Andrè, rilasciata durante un’intervista alla Stampa, dell’11 novembre 1981, dopo la morte di Brassens, lo chansonnier francese che tanta parte ebbe nella sua formazione (anche in quella di Mimmo, ma anche di tanti altri nostri cantautori prima e dopo di lui.)
“Pur avendone avuto la possibilià, non ho mai voluto conoscerlo personalmente, per evitare che diventasse una persona e magari scoprirlo anche antipatico. Per me è stato un mito, una guida (mentre parla ha in mano un piccolo libro di raso rosso che raccoglie le canzoni più belle di Brassens), un esempio; è grazie a lui che mi sono avvicinato all’anarchismo".
"Egli rappresentava il superamento dei valori piccolo borghesi e insegnò anche ai borghesi certe forme di rispetto ai quali non erano abituati. I suoi testi si possono leggere anche senza la musica. Per me è come legg
ere Socrate. Ti insegna come comportarsi, o al minimo, come non comportarsi".
Io sto in una via di mezzo, in una posizione ibrida. Se non conosciamo direttamente qualcuno, abbiamo meno possibilità di rimanere delusi e il fascino esercitato su di noi da qualcuno che non si conosce, che molto è una nostra costruzione mentale, può essere maggiore di quello esercitato da una persona in carne, ossa, sudore: non è detto. Io a un certo punto, dopo essermi goduta la mia bella costruzione mentale per un bel po’ di tempo, ho avuto forte curiosità di trovarmelo di fronte, l’Artista, e, mi sono trovata di fronte una persona, in carne, ossa e sudore, con caratteristiche molto molto umane, con tutto il suo fascino, e con tutti i suoi limiti: per fortuna, anche la mia costruzione mentale era molto simile a un uomo, che forse mi avrebbe ceduto il posto in autobus.
Quello vero, non lo so.

1 commento:

  1. La testimonianza di De Andrè l'ho tratta non già direttamente dall'intervista, bensì da una bella biografia, uscita nel 2000, ma che ho letto pochissimo tempo fa. ecco, come al solito, i dati del libro: *Non per un dio ma nemmeno per gioco : vita di Fabrizio De André / Luigi Viva. - Milano : Feltrinelli, 2000.

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