Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

mercoledì 12 maggio 2010

IL FARDELLO DELL'HOBO


AVVISO AI RARI NANTES DI QUESTE ACQUE TEMPESTOSE:
LUNGO, MOLTO LUNGO...
NIENTE VIETA DI LEGGERLO A RATE, DI LEGGERLO D'UN FIATO, O ANCORA, OPZIONE NON AUSPICABILE, DI SPAVENTARSI E USCIRE.
MEGLIO ESSERE CONSAPEVOLI DI QUEL CHE VI ASPETTA.
Mi sono fatto a piedi la Lincoln Highway, pensavo che lo sapessi.
Mi sono fatto la Sessantasei, lungo la strada,
Sotto pesanti fardelli e con l’anima oppressa,
In cerca di una donna che è difficile trovare,
E ho fatto un gran duro viaggiare, Signore
Woody Guthrie

Straniero ora, misero vado, albero sradicato,
e all’alba, vacillante, nel vuoto.
Da Worker Uprooted di Joseph Kalar, poeta falegname degli anni trenta.

La strada ferrata è il mio cuscino,
la giungla la mia casa felice.
Brothers Son Bonds: Blues del vecchio scapolo.

« Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare »
Jack Kerouac, On the road.

A blanket of newspaper covered his head,
As the curb was his pillow, the street was his bed.
One look at his face showed the hard road he’d come
And a fistful of coins showed the money he bummed.
Only a hobo, but one more is gone
Leavin’ nobody to sing his sad song
Leavin’ nobody to carry him home
Only a hobo, but one more is gone
Bob Dylan, Only a hobo

Ogni strada è il mio portone
E io ho tutte le mie chiavi
Dentro le tasche
Ho il fumo della ferrovia
E non so mai
Dove quando
E che sarà domani
Mimmo Locasciulli, Anna di Francia

In principio fu Woody Guthrie, (1912-1967) figura leggendaria, ma fin troppo reale, di folksinger americano dalla vita avventurosa. Bob Dylan lo ammirava tantissimo, lui e il suo stile di vita fuori dagli schemi, e un giorno, era il 1960, partì anch’egli per un viaggio avventuroso, con pochi mezzi, la sua voce, la sua chitarra e la sua armonica che gli permettevano di rimediare pochi dollari come suonatore itinerante, proprio come il suo mito. Proprio durante quel viaggio, si fece coraggio e raggiunse l’ospedale del New Jersey, dove Guthrie era ricoverato per curare una malattia neurologica, la corea di Huntington, che lo avrebbe portato alla morte nel 1967. Lì i due s’incontrarono e tra loro nacque subito un’intesa che divenne amicizia. Nel 1962 Dylan pubblicò un album intitolato Bob Dylan, all’interno del quale c’è la canzone Only a Hobo. Più che l’aspetto romantico della figura dell’hobo, pare emergere dal testo la difficoltà che fare una scelta del genere, volontaria o obbligata, comporta.

La leggenda narra che proprio nei primi anni sessanta Bob Dylan capitasse a Roma e suonasse al Folkstudio: ancora non lo conosceva nessuno, ma nel giro di pochi anni divenne celebre e la sua musica, le sue idee e il suo stile di vita influenzarono moltissimi giovani di tutto il mondo. Anche molti musicisti e cantanti italiani ebbero in Dylan il loro nume tutelare, ne furono ispirati e gli dedicarono numerosi tributi, e sembra quasi pleonastico far riferimento a Tenco, De Andrè, e Massimo Bubola, (come non citare Avventura a Durango) e De Gregori, grandissimo cultore di Dylan, solo per citarne alcuni. A noi qui interessa Mimmo Locasciulli, che si appassionò alla musica di Dylan sul finire degli anni sessanta, e non abbandonò mai questa passione. Abbiamo già ricordato su queste pagine come nei suoi soundcheck M. canti sempre una versione, secondo alcuni spericolata, di Sign on the window, e che nell’album Il futuro ha proposto una cover di Series of dreams, in collaborazione con l’amico Francesco. Non so se L. e Dylan si siano conosciuti; le cronache, almeno quelle di cui io ho preso visione non ce lo narrano. Certo hanno avuto contatti proprio per l’autorizzazione alla traduzione e pubblicazione del brano citato prima. Probabilmente Mimmo ha realizzato il desiderio di conoscere uno dei suoi “padri musicali”, uno di quelli che gli ha dato l’imprinting musicale, magari in uno dei suoi viaggi in America, forse con la complicità di un amico comune, o anche in occasione di qualche tournée europea, con tappa anche in Italia, di Dylan. Certo è che tra le tante persone presenti al concerto romano di Dylan di qualche anno fa c’era anche Mimmo, e c’era suo figlio Matteo, che la passione per Dylan, come per Waits o i Beach Boys l’ha ereditata dal padre.

Dunque ricapitolando: Woody Guthrie e Dylan che va a rendergli omaggio, Mimmo che verosimilmente incontra D., io che l’incontro del tutto virtuale con il mio “piccolo nume” (solo rispetto a chi ho citato prima: sia chiaro che per me è “gigantesco”) l’ho cercato su queste pagine: il folgorato fa sempre un tentativo, che a volte riesce a volte no, per entrare in comunicazione con il folgoratore.
Finirà che anch’io prenderò il mio fagotto pieno di disillusioni e mi nasconderò su una nave mercantile per sbarcare sulla coste tirreniche; da lì, sempre clandestina, dentro un treno merci, o dentro un carro adibito al trasporto di animali, arriverò a Roma. Mi piazzerò davanti al “suo” Ospedale, e aspetterò che passi, (l’attesa potrebbe durare giorni e giorni) e, dopo avergli consegnato senza parole un pezzetto di ossidiana e una bottiglia di Turriga (mica gli posso portare il nuragus da due euro e cinquanta della cantina sociale vicino a casa mia!) come ricordo mio e della mia terra, sparirò, confusa tra la folla variegata dei pellegrini. Novella hobo.

Questo piccolo intermezzo fantasioso mi introduce nel cuore del discorso: la cultura hobo e il suo legame con Mimmo Locasciulli.

Cosa c’è nel fardello dell’Hobo?

Sicuramente pochi soldi, molto "fumo delle ferrovie", come "nelle sue tasche", una gran sete di libertà e pochissimi effetti personali. Certo l’hobo, questa affascinante figura di uomo on the road tipico di una certa controcultura americana, fin dai tempi immediatamente successivi alla guerra civile, che continua ad avere molti seguaci a tutt’oggi, seppur in forme diverse, ha influenzato intere generazioni di giovani, anche fuori dall’America, in particolare negli anni sessanta e settanta che videro l’imporsi della cultura beat, hippy, e dei movimenti pacifisti.

Vediamo di definire meglio chi è un hobo: una figura di girovago, lavoratore stagionale senza fissa dimora, che si muove in lungo e in largo per tutta l’America, sempre con mezzi di fortuna, in particolare servendosi di fortunosi passaggi clandestini sui treni merci, rischiando la vita, e nella migliore delle ipotesi di essere cacciato dal personale di controllo. Spesso capro espiatorio nel mirino delle forze dell’ordine. Ha incominciato ad affermarsi come fenomeno diffuso negli ultimi decenni del XIX secolo, e in alcuni momenti successivi di crisi economica cruciali per il paese, in particolare quella del 1929. Questo perché la mancanza di lavoro, le pessime condizioni economiche inducevano spesso intere famiglie, o singoli individui, a spostarsi per il paese, per un mero fatto di sopravvivenza. Si fermavano dove trovavano temporanee condizioni che permettessero loro di vivere, raramente mettevano radici, e poi ripartivano. Nel 1890 il termine hobo, con cui viene designata questa figura, era già largamente in uso.
L’etimo è incerto, ma può essere interessante elencarne alcuni possibili: uno, secondo me piuttosto improbabile, farebbe derivare hobo dal latino homo bonus; un’altro sarebbe una contrazione di Hello brother, accorciata poi in “Lo bro”, “Lo bo”, e infine “O bo”, cui poi si pensò di aggiungere una acca, per dare più forza alla O. Secondo un’altra ipotesi ancora hobo sarebbe una contrazione dell’usuale saluto “Ho, boy” e infine potrebbe derivare dal tedesco hoboe, (oboe) e appare verosimile perché molti dei lavoratori stagionali, tagliaboschi e braccianti agricoli erano immigranti tedeschi, suonatori di oboe.

Talvolta vive di espedienti, spesso è un lavoratore stagionale, occupato nelle fattorie nel periodo dei raccolti, ma anche in altri settori: gli hobo dei primordi nella costruzione dei binari delle ferrovie, o lavoratori nelle miniere, perfino nella mitica corsa all’oro nel Klondike. Non si può tuttavia definire l’hobo come un vagabondo qualunque. L’hobo ha una sua etica, vuole senz’altro vivere fuori dagli schemi, senz’altro la sua è una condizione marginale, ma quello che lo spinge a sopportare tutti i disagi e le difficoltà che una vita girovaga comporta è uno smodato amore per la libertà e la sete di esperienze sempre nuove senza padroni, senza proprietà e senza catene di alcun tipo.

Come è noto, la casa discografica di Mimmo Locasciulli si chiama Hobo. Nata nella metà degli anni ottanta come casa di produzione, diventa nel 1994 casa discografica. Dell’attività di produttore di L. in passato e dei nuovi progetti futuri, differenti dai precedenti, e non ancora realizzati, si è già parlato in altre occasioni; di ciò che ha comportato per l’artista e per la sua indipendenza poter pubblicare i suoi lavori con una propria etichetta indipendente, pure, come si è fin dagli esordi di questo lavoro, fatto riferimento al “mitico” studio di registrazione di campagna, con tre (?) finestre che si affacciano su un panorama mozzafiato (cito parole tratte da un’intervista a M., non è una definizione mia: non ricordo il numero esatto delle finestre, ma avendo visto sia la famosa "lezione d’autore" , sia il bel video de Il futuro, che hanno come cornice la casa di campagna, dove è situato anche lo studio di registrazione, non posso che confermare: panorama davvero mozzafiato e non solo panorama, anche gli interni e gli arredi sono molto belli, con una cura tutta femminile per i tessuti e i particolari. Anche lo studio di registrazione si chiama Hobo, e la scelta del nome è da parte di M. un evidente omaggio sia a Dylan e alla canzone citata, che al fascino esercitato su di lui dalla cultura Hobo, e dai suoi esponenti, molti sconosciuti e che non hanno lasciato traccia evidente, ma molti noti, come ad esempio lo scrittore dalla vita avventurosa Jack London, che tra le tante esperienze di una vita movimentata annovera anche quella di hobo: ne parla in prima persona nel suo La strada, del 1907, raccolta di racconti dove appare evidente la profonda attrazione per questo tipo di vita libera e avventurosa. London partecipò anche alla mitica corsa all’oro nel Klondike, per quanto forse per lui abbiano più contato le tappe del viaggio e l’osservazione del fenomeno, che non l’esperienza di cercatore d’oro in sé, nella quale pare non si sia troppo impegnato. La profonda attrazione per quel tipo di vita non gli impedisce tuttavia di assumere, nel suo articolo Quello che la vita significa per me, apparso nel 1905 su “The Comrade” una posizione critica nei confronti di quella vita che tanto lo aveva affascinato. “Divenni un vagabondo, mendicando di porta in porta lungo il mio cammino, vagando per gli Stati Uniti e sudando sangue nei bassifondi e nelle prigioni…” "Ero precipitato nella cantina della società, nelle profondità sotterranee della miseria di cui non è bello, ne' decente parlare. Ero nella fossa, nell'abisso, nella fogna umana, nel mattatoio e nell'ossario della nostra civiltà. Questo è il lato dell'edificio della società che la società preferisce ignorare".

Impossibile poi non fare riferimento a Furore di John Steinbeck, del 1939, considerato il suo capolavoro, che racconta il viaggio disperato di un’intera famiglia che, spinta dalla fame negli anni della grande depressione, attraversa l’America lungo la mitica Route 66, partendo dall’Oklahoma fino alla California, idealizzato paese del latte e del miele che non si rivelerà tale. Dal libro è stato tratto un film di John Ford del 1940, vincitore di due Oscar, con Henry Fonda. Altro riferimento imprescindibile è il celeberrimo On the road di Jack Kerouac, uno degli autori della cosidetta Beat generation, pubblicato per la prima volta nel 1957, amatissimo dai giovani della generazione di M. e non solo, un’autentica opera di culto che ha influenzato le fantasie e la realizzazione delle stesse, portando molti giovani a ripercorrere esperienze simili a quelle descritte (e realmente vissute) da Kerouac nel libro. Anche l’itinerario di Sulla strada si snoda sulla Route 66.

La cultura hobo si è espressa attraverso varie altre forme artistiche e di comunicazione: la poesia, in forme alquanto semplici e immediate, la pubblicazione di giornali clandestini, la musica. Il suo cantore più noto è senz’altro Woody Guthrie, originario dell’Oklahoma, che a tredici anni si mise in cammino verso il sud adattandosi a svolgere ogni genere di lavoro stagionale e occasionale e al contempo suonando l’armonica e più tardi la chitarra, per strada o nei locali. Partendo dalla sua esperienza e da quelle dei tanti incontrati sul suo cammino, incominciò a comporre le sue ballate che avevano come tema le storie dei battitori di cotone, degli operai delle fabbriche delle scatole di latta e dei contadini proprietari spodestati dai loro campi; degli scioperi e degli scontri con la polizia, del carcere e della fatica di campare. In giro per l’America, con la sua chitarra e la sua armonica, cantava le storie in cui tantissime persone si riconoscevano.
Conquistato dall’opera di Steinbeck e dal film omonimo, ne narrò nei suoi versi le vicende e le atmosfere, per renderle accessibili a chi non poteva comprare il libro o andare al cinema.

Woody Guthrie scrisse un libro, Bound for Glory, in cui racconta proprio il suo girovagare. Dal libro, nel 1976, fu tratto un film uscito in Italia col titolo Questa terra è la mia terra, con David Carradine a interpretare Guthrie.
Un altro celebre film del 1969, Alice's Restaurant, vede protagonista il figlio di Guthrie, Arlo e la partecipazione di Pete Seeger, entrambi nel ruolo di sé stessi. Il film è ispirato a un blues autobiografico dello stesso Arlo, ed è uno specchio fedele del clima dell'America di quegli anni. Seeger, che G. incontrò negli anni trenta a New York, quando entrò in contatto con una cerchia di intellettuali di sinistra interessati alle tematiche sociali e alla ricerca delle radici della musica folk americana, divenne un suo grande amico. Personalità davvero interessante, vanta anch’egli una lunga carriera di folksinger, e di insigne musicologo. Ancora attivo, sembra portarsi benissimo i suoi novant’anni.

Il logo della Hobo di Mimmo è un omino stilizzato col cappello e col bastone. Il cappello è uno degli elementi distintivi dell’hobo, sebbene non ce ne sia uno in particolare che lo caratterizzi, come il fagotto, o più praticamente lo zaino e il sacco a pelo e un abbigliamento pratico e resistente, date le condizioni in cui l’hobo si trova a muoversi, ma non privo di varianti e di una certa originalità.
M. non è l’unico a essere stato influenzato anche nella scelta del nome di una sua attività dal termine hobo. Mi risulta però che sia stato il primo. Nel corso di questa ricerca ho individuato una piccola casa editrice con sede a Rieti che si chiama Hobo, e dato il nome, pensavo a un particolare tipo di pubblicazioni: non ho trovato notizie al riguardo. A Roma, si trova L’Hobo Artclub, uno spazio che è insieme luogo di ritrovo, e di aggregazione, dove si può mangiare e bere, e dove si può assistere a concerti acustici, e insieme spazio espositivo o aperto alla realizzazione di altro tipo di eventi culturali. M. sicuramente lo conosce e magari gli è capitato di frequentarlo.

A parte la malia esercitata su M. dagli aspetti migliori della cultura hobo e cioè l’amore per la libertà e per una vita fuori dagli schemi, ma nel rispetto del prossimo, lontana da forme di prevaricazione, in che cosa il nostro artista è stato influenzato da questo modo di vedere la vita? Certo nella sua produzione, molti elementi si possono riscontrare, sia nei contenuti, che nella costruzione di certi schemi musicali, e nell’uso di alcuni strumenti utilizzatissimi dai folksinger americani, armonica in primis.

La sua vita fantastica sicuramente è molto hobo, la sua vita reale, o meglio, una parte di essa, quella in cui si può dare meno spazio alla fantasia e a una certa sregolatezza, ma è necessario invece essere totalmente rigorosi e precisi, per ovvi motivi, no.
La passione per il viaggio, inteso come esperienza totalizzante in cui ci si immerge nella realtà che si visita, nel modo più partecipe possibile, la tendenza a un costante dinamismo alla ricerca di esperienze nuove e appaganti, non scontate, sono hobo. Una certa irrequietezza, un continuo desiderio di andar vagando, di non fermarsi, di non perder tempo a dormire, sono hobo. Scherzosamente potrei dire che sia affetto da una forma leggera e non preoccupante di dromomania e di drapetomania, anche se lui, nel secondo caso, ha spesso l’impulso di allontanarsi da casa, ma quando è distante ci pensa sempre, e ne sente il calore e il profumo, e non vede l’ora di farvi ritorno.

Certo Mimmo, almeno allo stato attuale, non viaggerà con lo zaino in spalla, col sacco a pelo, e non soggiornerà in ostelli economici, anche se secondo me, il nostro personaggio, pur abituato a certi agi, è uno che sa anche adattarsi, fatte salve alcune condizioni essenziali. Forse da ragazzo anche lui avrà fatto i suoi viaggi on the road, col sacco a pelo, in autostop o in economiche carrozze di treno, o con una macchina un po’ male in arnese, con gli amici e con la chitarra. Magari sarà andato in Norvegia, a far visita al suo amico folksinger studente di architettura a Perugia cui deve la sua iniziazione al folk, e insieme avranno fatto il rituale pellegrinaggio a Capo Nord, caposaldo di ogni bella gioventù di quegli anni, e non solo, magari leggendo pagine di Kerouac e cantando canzoni di Dylan. Un sacco di gente c'è andata e ci va in moto, a Capo Nord.
Ecco, non so perchè, e come al solito tutto è basato su sensazioni, ma Mimmo motociclista proprio non ce lo vedo, ne' ora, ne' in passato. Al massimo su una Vespa 125.
Grazie a Guido, che nel lontano 1981, quando ero una ragazzina molto convinta di sapere un sacco di cose, mi "portò" a vedere "Questa terra è la mia terra" che lui aveva visto anni prima. Mi voleva comunicare un mondo; mi ha comunicato tantissime altre cose, che forse ho colto meglio, in primis la farinata e i crostini toscani che "come li fa lui nessuno." Dal Cineclub San Michele di Cagliari, fuggimmo prima del morettiano dibattito.
Anche ora, con molti più anni, sono una donna profondamente convinta: di non sapere nulla.

2 commenti:

  1. come vedi ho letto tutto!!! un po' "hobo" siamo stati tanti in gioventù, almeno mentalmente.
    Qualcuno ha fatto tesoro dell'esperienza "libertaria" riuscendo a mantenere saldi certi principi, altri un po' meno e nonostante le esperienze giovanili, si sono integrati, forse troppo, nel modello societario che tanto hanno contestato da giovani. Grazie per la "passeggiata culturale" che, come sempre, hai raccontato benissimo.
    ciao pat

    RispondiElimina
  2. Amica mia grazie a te! Sembra che io ti paghi, e così non è, perchè anche il caffè, quelle pochissime volte in cui scendo alla macchinetta, lo offri tu. Approfitto per dire che io non sono (solo) a caccia di complimenti, (sempre graditi) ma anche di critiche (costruttive).

    RispondiElimina

Elenco blog personale