UNA PICCOLA SERIE DI COINCIDENZE,
QUALCHE SEGNO PRESUNTO,
UN PICCOLO SOGNO
In Biblioteca, davanti allo scaffale dove sono allineati i vecchi gloriosi Coralli Einaudi: ne sono sempre attratta, ora come ventiquattro anni fa, quando in questo posto ci entrai per la prima volta e tutto era una scoperta e un girare ubriaco per i magazzini, che mi apparivano come un labirinto magico. Tutto mi sembrava smisurato, mai avevo visto tanti libri messi insieme. Ora tutto è ridimensionato e mi sembra quasi angusto. I libri crescono sempre e lo spazio rimane uguale. Girare per i magazzini tuttavia è sempre una scoperta e un’avventura, e ancora oggi mi ritrovo a scegliere libri curiosando davanti a uno scaffale, e a scoprire autori nello stesso identico modo. Ai Coralli sono molto affezionata, ci sono tanti dei miei autori preferiti, c’è Calvino e Natalia Ginzburg, c’è Sartre e Hemingway, c’è Pavese e molti altri ancora. Credevo almeno di conoscerli tutti, se non proprio di averli letti tutti. Mentre ero lì, eccomi d’un tratto attratta da un titolo, Il silenzio del mare. Inevitabilmente il pensiero va alla canzone di Mimmo Locasciulli, che s’intitola allo stesso modo; mi vengono in mente alcuni versi, quelli finali, mi pare:
Portami via c’è sempre troppa nostalgia
Dentro uno sguardo che si perde in una scia
Dentro un segreto che ciascuno può tenere
Ma nessuno può scoprire
E nessuno può tradire mai.
Chissà se Mimmo lo conosce, questo libro - mi domando - chissà se c’è un nesso tra libro e canzone, e intanto me lo porto via, il libretto dalla legatura rossa, e decido di prenderlo in prestito. L’autore si chiama Vercors, mi sa di pseudonimo: forse è grave, ma io non l’ho mai sentito nominare, anche se il nome mi è vagamente familiare, dev’essere legato a qualcosa sepolta nella mia mente che ora non ricordo. Il silenzio del mare è un racconto non troppo lungo e lo leggo, quasi, durante il tragitto lavoro-casa, in pullman, come mi accade spesso. Un racconto ambientato in Francia durante l’occupazione tedesca: una casa requisita; un giovane ufficiale tedesco che occupa una parte di quella casa, dove vivono un uomo anziano e la sua, si intuisce bella, nipote; un ambiente domestico apparentemente calmo e tranquillo, con tutti i suoi rituali consolidati, ma con la tragedia della guerra e dell’invasione tangibile. L’ufficiale che cerca una comunicazione che mai avrà luogo: egli parla, racconta sé stesso nelle pieghe più intime, mentre i padroni di casa restano muti, e continuano le loro occupazioni e le loro abitudini come se nulla fosse successo, e in casa fossero soli.
Non mi sembra ci sia relazione con la canzone, ma voglio vederci chiaro. Mi pareva di aver cercato fin troppo a lungo notizie riguardanti M. e la lettura, e alla fine annoiata e anche un po’ frustrata dalle scarne e ripetitive notizie trovate, mi ero arresa. Invece ecco mi appare qualcosa che prima non avevo trovato, pur avendo provato con tutte le chiavi di ricerca possibili. Ecco che cosa mi serviva: “I consigli di lettura di Mimmo Locasciulli”. Le mie intuizioni non si sono rivelate del tutto esatte, ma la mia sfera di cristallo evidentemente presenta dei punti di opacità: Mimmo non è, o non era, perché la breve intervista è del 2005 e in cinque anni qualcosa potrebbe essere mutata, un lettore così a tutto tondo come io avevo ipotizzato: si certo, i suoi generi preferiti sono il romanzo, la saggistica (non politica, precisa) e la poesia, ma di norma non legge opere di autori viventi, eccezion fatta per la poesia. Il suo interesse verte sui grandi romanzi dell’ottocento e del novecento. Io rispetto profondamente le scelte di Mimmo, ma spero che abbia cambiato idea e riservi un po’ della sua attenzione anche a qualche scrittore attualmente ancora in circolazione su questa terra. Sono convinta di si, generalmente non vuol dire sempre. Ci saranno di sicuro delle eccezioni, anche se l’ottocento e il novecento, sono certo miniere inesauribili.
Mi vengono in mente una tale quantità di autori viventi o che sono partiti da poco, che non può non aver preso in considerazione. Mi viene in mente ad esempio Ensaio sobre a Cegueira, che in italiano diventa Cecità, di Josè Saramago, vivente. Leggere un libro così è un’avventura. Mi viene in mente anche Philip Roth, che io leggo volentieri, non tanto perché credo possa essere nelle corde di Mimmo, ma quanto per una suggestione che deriva dalla città natale di Roth, Newark, di cui tanto parla nei suoi romanzi, che è anche la città dove, dall’Abruzzo, approdò il “famoso” nonno cui Mimmo fa tanto spesso riferimento.
Tornando a Il silenzio del mare, nella breve intervista letteraria, (di cui inserisco il link, se qualcuno volesse leggerla: http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/388/cafecons.htm, pur nella sua brevità aggiunge una tessera al nostro mosaico) c’è, eccome un riferimento al libro di Vercors, pseudonimo di Jean Bruller, scrittore e disegnatore francese nato nel 1902 e morto nel 1991, che Mimmo (poteva essere diversamente?) conosceva. No, non c’è attinenza tra le due opere, nel senso che parlano di cose totalmente estranee tra di loro, però in entrambe pur in maniera differente, si respira un aria sentimentale, malinconica. Il racconto di Vercors, che ispira il suo pseudonimo al Massiccio del Vercors, nelle Alpi francesi, preso come base dalla Resistenza francese, di cui Bruller fu attivista, ne divenne uno dei simboli, e quell’ostinato silenzio degli abitanti francesi della casa requisita nei confronti dell’occupante tedesco, sempre educatissimo e gentile, ne è la prima forma.
Una con il mio temperamento, davanti a una serie di segni come quelli descritti finora, (il fatto di aver visto mille volte quei libri e di non aver mai notato quello con quel determinato titolo, il fatto che effettivamente M. lo conoscesse e ne avesse ripreso il titolo per una sua canzone, il fatto di aver trovato poi notizie ulteriori sui suoi gusti letterari…) cioè attribuendo a fatti come quelli narrati finora il valore di segni, potrebbe facilmente lasciarsi trasportare, perché il sotterraneo mondo dei segni è davvero affascinante… tuttavia, non sempre, ma ogni tanto, mi ridimensiono e cerco di fornire una spiegazione razionale a questi segni del destino. È naturale, essendo ormai diventato il mio artista un involontario (questo lo sottolineo sempre, perché penso di doverglielo: lui magari avrebbe abitato volentieri da un’altra parte, o da nessuna) abitante di una porzione non minuscola della mia mente e anche del mio cuore, che veda le cose anche in funzione di questo “inquilino”: certo, Il silenzio del mare, la canzone, la conosco da quando è stata pubblicata, perché (Adesso glielo dico) l’avevo comprato subito subito, nel 1989, ma c’è da dire che forse le stanze che occupava prima nella mia testa e nel mio cuore erano un po’ più defilate, mentre quelle che gli faccio frequentare adesso sono più immediatamente accessibili e trafficate. Del tutto normale, quindi, che il libretto con quel titolo non mi “chiamasse”, come mi ha “chiamato” ora. A questo io credo molto, che i libri abbiano un’anima e un gran desiderio di comunicarci, o non comunicarci, delle cose. Lo fanno secondo il loro capriccio, per cui non è detto che quel tal libro, di cui tutti parlano, considerato un capolavoro, abbia voglia di farsi scoprire da noi: troppo impegnato su altri fronti. Arriverà, se dovrà arrivare, l’incontro.
Come vivranno, mi domando, i biografi veri, quelli dotati di tutti i crismi e anche di “imprimatur” dell’oggetto di studio, se vivente? Intendo dire, se è capitato a me, che vivo ormai con una sorta di amico immaginario accanto da quasi un anno (a giugno scorso ho iniziato la mia personale recherche nel mondo di Mimmo, partendo da un ascolto attento, prima vorticoso, poi piano piano, di quanto avevo trascurato negli anni del parziale oblio) e ci parlo pure, talvolta, gli chiedo cosa pensi di questo e di quello, evitanto per quanto mi è possibile di farlo ad alta voce e in pubblico, e dandomi evidentemente anche la risposta, cosa capiterà a quei signori? So di persone che da tantissimi anni, decenni, si occupano di un personaggio importante, lo studiano a fondo, avendo a disposizione fonti serie e accreditate, lasciando ben poco all’intuito, anche se una buona dose di capacità empatica serve, e inevitabilmente quest’oggetto di studio diventa una parte importante della loro vita. Si entra nelle abitudini e spesso nei recessi dell’anima. “Tra gli amici di un grand’uomo – diceva Oscar Wilde – esiste, sempre, come tra gli Apostoli, un Giuda, ed è colui che ne scrive la vita” perché per fare in modo che un lavoro sia completo e obiettivo, deve per forza di cose indagare anche su aspetti non sempre positivi, non sempre edificanti, deve entrare anche nel lato oscuro, se c'è. Insomma una biografia seria non deve essere un panegirico.
Uno studioso che per un periodo lungo, ma non lunghissimo, si occupò, all’interno di uno studio più ampio sul socialismo inglese di fine ottocento e inizio novecento, di una signora inglese che all’inizio del ventesimo secolo tenne a Londra un salotto, in cui confluiva tutta l’intellighenzia socialista inglese, mi ha raccontato questo particolare tipo di empatia col suo oggetto di studio (molto serio) e di essere diventato un esperto decifratore di scritture impossibili dopo aver spulciato le lettere della signora.
Tom Antongini, che di D’Annunzio fu il segretario, si occupò di lui per circa quarant’anni, intrattenendo con il poeta un rapporto privilegiato, che gli permise infine la pubblicazione della biografia intitolata Vita segreta di Gabriele D’Annunzio, Milano, Mondadori: 1938, cui seguirono anche altre opere dedicate al Vate, negli anni a seguire. Antongini ricevette da D’Annunzio circa settecento lettere, pensate, settecento! Ogni volta che pubblicava un libro D’A. ne faceva dono al suo segretario-biografo, con una dedica meditata. Nel 1932, all’atto di consegnargli il secondo tomo de Le faville del maglio, dopo aver guardato negli occhi Antongini e averci un po’ riflettuto, scrisse: “A Tom Antongini, che per tanti anni mi fu compagno dagli occhi acuti ed attenti.”
Ecco, io ho un sogno piccolo piccolo, perché neppure nei sogni volo troppo alto, (ecco giustificata parte del titolo) che mi piace coltivare anche se tale rimarrà (molto del fascino di certi piccoli sogni sta nella loro non realizzazione, nell’attesa di ciò che forse mai accadrà): che Mimmo, nel porgermi una copia della sua prossima raccolta di poesie, o di racconti, o di qualsivoglia altra cosa abbia scritto o abbia voglia di scrivere, prenda dal taschino la sua bella penna e verghi la pagina bianca, con scrittura essenziale e senza orpelli, come lui (o meglio la parte di lui cui sembra essere più affezionato): “A Folgorata, per tanti mesi compagna invisibile dagli occhi attenti e acuti”. M.L. devotamente grato.
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