Mimmo & Greg

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Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

lunedì 6 ottobre 2014

IL GHIOTTONE ERRANTE



Paolo Monelli (Fiorano modenese, 1891 - Roma, 1984), giornalista poliedrico dalla lunghissima carriera, sul quale non mi soffermerò qui, consigliando eventualmente la lettura della voce a lui dedicata nel Dizionario biografico degli Italiani (reperibile anche online), scrisse nel 1935 un piccolo libro, intitolato Il ghiottone errante, che mi offre un piacevole spunto di scrittura.
Monelli, cultore del buon vivere e quindi del buon cibo e del buon bere, viaggiò in lungo e in largo per la penisola, in compagnia dell’illustratore Giuseppe Novello, e sperimentò le diverse cucine e i vini tipici, se non di tutte le regioni d’Italia, delle zone a suo vedere più rappresentative (con qualche inevitabile mancanza, ad esempio la Sardegna), per darne poi conto nella bella edizione pubblicata a Milano nel 1935 dai fratelli Treves, corredata dalle illustrazioni di Novello. L'edizione che ho consultato e di cui ho pubblicato l'immagine di copertina, è del 1938. La prosa è certo un po’ aulica, e risente come è normale che sia dello stile e dello spirito del tempo, ma l’autore ha il dono della leggerezza e di un umorismo sottile, che fanno del suo libro una piccola delizia per chi vi si accosti con l'animo giusto. 

Perché ne parlo qui? A parlare di buongustai, erranti o sedentari non sbaglierei in ogni caso, ma, poiché Monelli tra le regioni degne di una sua visita, ha incluso l’Abruzzo, sono certa di centrare il bersaglio. Si sposta, l'autore, in terra d’Abruzzo, dalla montagna al mare, e certo non racconta solo di cibo e di vino (anzi, non ne parla tanto quanto avrebbe potuto e forse dovuto: si limita ad accenni), ma si sofferma molto sul paesaggio, sulla descrizione dei luoghi, delle persone incontrate, che spesso sono personaggi. Il suo timore iniziale presto fugato, è quello di finire vittima della tradizione della panarda, pranzo di non meno di venti e anche di trenta portate (secondo altre fonti di diciannove e di ventiquattro) riservato a circostanze particolari, espressione suprema dell’ospitalità abruzzese, cui non si può dire di no, per non recare offesa a chi ha preparato e a chi offre. Al nostro viaggiatore furono servite diverse portate alquanto sostanziose, ma non ci fu una vera e propria panarda, che avrebbe messo a dura prova perfino un appetito robusto come il suo. Non so se Mimmo conosca Il ghiottone errante: probabilmente si, ma, se così non fosse, lo invito ad andarlo a cercare e a leggerlo. Il capitolo dedicato all’Abruzzo si intitola P.G.R. (per grazia ricevuta) e per scampato pericolo, che sarebbe quello di essere stati graziati dall’esperienza delle trenta portate. Io mi offro volontaria per una panarda, sia essa di diciannove, ventiquattro, o anche di trenta portate, ma piccine piccine, quasi bocconcini, accompagnate da altrettante sorsate di vino. 
Non potendo riportare tutto il capitolo, mi limito ad alcuni passi strettamente legati al cibo, che somministro sotto forma di bocconcini.

Dal menù di montagna, consumato sul Gran Sasso.

...Vennero in tavola i maccheroni conditi con aijo,oijo e peparzò...Ogni tanto ci veniva sotto i denti un confetto crocchiante che si rivelava aglio, ma questo era nulla in confronto alla barbarica violenza del peperone... Finita la porzione, una sete ruvida ci disseccò...Provammo con un vino rosa ed un vino nero, alternandoli, arzilli e trepidanti. E fecero l'ufficio loro. 
...Vennero poi, gentili, le scamorze di Rivisondoli allo spiedo: formaggine di latte di vacca e di capra che hanno la levità di questi panorami; simili a cavie grassottelle e bofficione, candide, con una strinatura sul fianco. Poi un'insalata di peperoni, pomidoro e melangole anticipò sulla tavola i colori del lontano tramonto... Ecco, col castrato di Rocca di Mezzo, ci passano ora sulla lingua, misti all'aroma selvatico della carne, quei pascoli dolcissimi, pingui di timo, e mastichiamo un verso del D'Annunzio abruzzese: Pensa ai riposi, quando sarà notte! la menta e il timo avrai per origliere.

Finito col cibo, si inizia con i liquori. Li assaggia tutti, ma proprio tutti e ce li presenta: il sangue di Aligi, che par roba per pancini festivi, un liquore giallo detto Brummel, chissà perché, l'aurum di Pescara, la cerasella di Fra Ginepro, ma da uno in particolare è conquistato, il centerbe di Tocco Casauria:
Dicono che lo distilla un mago scontroso, e lo dà solo a chi gli va a genio. Grande alchimista, ad ogni modo. Se mangiando peperoni e maccheroni alla chitarra ingoiammo l'Abruzzo, bevendo di questa preziosa pietra liquida ci mettiamo in comunione con la grande montagna, con tutto il massiccio di roccia nobile e di gelo splendente che sorge a custodire il cuore d'Italia.

Leggendo Il ghiottone errante sono venuta a conoscenza di un'altra opera precedente, di un tedesco gaudente, Hans Barth, che trasferitosi in Italia come inviato del Berliner Tageblatt, non trascurò di effettuare visite puntuali a molte osterie, e di riportare l'elenco completo e le sue considerazioni in un libro dal titolo Osteria, guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri (prima edizione: Firenze, 1909, seconda edizione, quella che ho consultato io, riveduta ed ampliata, Firenze, 1921). Mi dispiace, le osterie dell'Abruzzo non sono presenti nella guida spirituale. In compenso, l'Abruzzo è ugualmente presente perché la prefazione è curata... indovinate da chi? Dall'Immaginifico in persona. 
Curiosando tra i tanti locali recensiti dallo scrittore di Stoccarda dalla penna spigliata e briosa, ne ho trovato diversi che, per come lo vedo io (o anche per come effettivamente è, chi può dirlo), sarebbero stati perfetti per Mimmo. Uno in particolare avrebbe potuto essere il suo luogo elettivo. Si trovava a Roma, sulla Via Appia, dietro un rustico portone, il gran Bar notturno per Lemuri vagabondi, ideale per il bicchiere della staffa. Mi par di vederlo, in una notte fredda e brumosa, ultimo avventore che si allontana svelto, involto nel suo tabarro, e si lascia alle spalle una scia di luminosa malinconia. 

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