Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

martedì 14 settembre 2010

PER CONCLUDERE UN DISCORSO INIZIATO UNA SETTIMANA FA...


Di tanto in tanto, ancora oggi, chiudo gli occhi e atterro sui giorni felici della mia infanzia, ed è un film bellissimo. ... Ogni volta che plano ritrovo innocenza e stupore ed ogni volta spero di poter cogliere in volo il senso della mia esistenza, delle mie scelte, del mio vivere oggi. ...



Se potessi, oggi, tornerei indietro per tutto il corso dei miei anni. E non cambierei nulla delle scene e dei personaggi della storia: fermerei qualche fotogramma, forse, ma solo per gustarne più a fondo il magnifico sapore.


Io un uomo così lo guardo come guarderei una creatura di un'altra galassia, e un po' lo invidio anche. Beato lui. Innegabilmente anch'io amo immergermi in certi ricordi, ma credo di averli in parte colorati con tinte che forse sono molto diverse da quelle originali. Sono brandelli di discorsi, sensazioni, atmosfere, persone, profumi e vestiti; la casetta delle bambole e la mia collezione di bottoni, una voliera con un pappagallo gigantesco che pare non sia mai esistito, lo sguardo di un bambino bellissimo affacciato alla finestra di fronte.

Anche io, potendo, tornerei indietro per tutto il corso dei miei anni, e in ciascuno di essi, però, vorrei cambiare qualcosa, scene, personaggi della storia, scelte, o non scelte. Più di tutti e di tutto, vorrei poter modificare alcune caratteristiche della protagonista della storia, e ri-tracciarne le rotte. Per riuscire ad essere straordinariamente felice.


Un giorno, o più giorni, la storia non dice, una dotta assise di signori, per lo più di mezza età, abituati, i più, a indossare cuffie e mascherine e guanti dopo essersi lavati le mani con molta cura, mani ferme e salde, indossa giacche scure, camicie chiare e cravatte, e si incontra davanti a un tramonto che infuoca le acque di un bel lago, in un bel borgo abruzzese. Questi signori, quasi tutti chirurghi, ma non solo, sono anche umanisti, amanti dell’arte e della storia, e delle dotte disquisizioni. Si confrontano, come in un simposio di antichi filosofi, e dalle loro dotte disquisizioni nasce un libro. Al simposio partecipa anche un chirurgo che noi conosciamo bene, un filosofo in pectore, che lascia la sua testimonianza tra le pagine di quel libro, Scanno : storia di gente di montagna : bisturi e tramonti sul lago / a cura di Guglielmo Ardito Pescara : ESA, 2004, uno di quei bei volumi patinati, ma di sostanza, che non credo (ma forse mi sbaglio) abbiano avuto larga diffusione fuori dall’Abruzzo.


Il capitolo di Mimmo Locasciulli, intitolato Un chirurgo sopra le note: " l'anomalia", quello da cui ho tratto le notizie sullo studente atipico asso in latino, consta di poco più di tre pagine, scritte in modo semplice, con linguaggio colloquiale e immediato, come se davvero l’autore stesse conversando con amici con cui si sente a suo agio. Io non so se questi signori si siano effettivamente trovati a Scanno davanti a un tramonto sul lago, per discutere anticipatamente gli argomenti che avrebbero trovato poi spazio nel libro, o, se, come è più probabile, ciascuno per proprio conto abbia scritto, per poi incontrarsi il giorno della presentazione, in occasione della edizione del 2004 del Premio del borgo abruzzese, ma la prima ipotesi è senz’altro suggestiva e a questa voglio dare credito. Alcuni di questi signori hanno discettato di chirurgia endocrina, altri di storia della chirurgia in Abruzzo, altri di arte e infine, per ultimo (a me piace immaginare che le cose siano andate così) per la sua “anomalia”, ha preso la parola Mimmo. Ha parlato di sé, nel tentativo di capire meglio egli stesso, indagando su di sé ancora una volta, per poi poterlo comunicare agli altri, dove affondi le radici la sua doppia vita, l'una vissuta nelle regole e nella disciplina, alla luce del sole, o meglio del neon dell’ospedale, l’altra vissuta alla luce della luna e delle stelle, sui palchi dei teatri e nei locali, davanti al pubblico o nel suo studio di registrazione, la sua vita creativa e artistica, la sua passione per la musica. A me non sembra in fondo che ci sia tutta questa anomalia, ne’ tutta questa differenza tra le due vite: in entrambe, e non solo nella prima, mi pare ci siano regole, diverse, certo, e in entrambe mi pare che ci sia passione. L’una pare essere indispensabile all’altra. All’artista è utile essere medico per non perdere il contatto con la realtà, col mondo, con i problemi reali della gente che soffre, (un luogo comune vuole che tuffandosi in quelli degli altri si esorcizzino i propri) con la quotidianità; al medico è indispensabile trovare linfa ed energia nell’attività creativa dell’artista, tuffandosi in una dimensione meno razionale e più sentimentale ed estetica, tanto nel senso etimologico del termine, quanto in quello filosofico.


Il bello di questo scritto, lo ribadisco, è la sua semplicità. Così come Mimmo ha il dono di condurre chi ascolta la sua musica dentro un mondo a sé, che non è necessariamente quello dell'autore, ma un mondo in cui chi desideri entrare può trovarsi perfettamente "nelle sue misure", allo stesso modo ha il dono di condurre il suo lettore dentro un mondo che, nel caso del breve scritto sull’anomalia, lo rappresenta invece totalmente.

Non so se sono riuscita a rendere l’idea o se il pensiero espresso risulti contorto. Mi spiego meglio: in quelle tre pagine Mimmo da voce ai suoi ricordi e riesce a prendere per mano il lettore, a condurlo con sé a ritroso nel tempo, a farlo calare perfettamente nell'atmosfera e nelle situazioni evocate. Io mi sono seduta nel salotto della sua casa paterna di Penne e ho assistito alla prima lezione di pianoforte, ho preso posto nel banco di legno della primina (io sono nata a ottobre, ma neppure fossi nata a gennaio avrei fatto la primina…) ho visto brillare al buio le lucciole (non potevano mancare le lucciole nella sua infanzia magica) e ho sentito l’abbaiare dei cani, ho tremato di emozione davanti ai tramonti rossi dietro il Gran Sasso, ho guardato i granelli di sabbia al microscopio, ho preso otto in latino e letto il Roversi (ce l’ho anch’io! Veramente ce l’ha un sacco di gente), ho suonato al Tortuga e ho trascorso le notti ad ascoltare Radio Lussemburgo. Ho seguito clandestinamente il corso monografico su Svevo all’Università per stranieri di Perugia; ho conosciuto il vichingo norvegese che mi ha presentato il signor Robert Allen Zimmerman, ho studiato come una matta e ho fatto le ore piccole al piano bar in Via dei Priori. Mi sono trasferita a Roma e ho condiviso l’appartamento di studenti con mio fratello e mia sorella, che si disperava perchè con quella chitarra le toglievo la concentrazione necessaria ai suoi studi, mi sono presentata timidamente, ma con una certa convinzione, al Folkstudio e alla fine sono riuscita a cantare e suonare il piano con la faccia rivolta al pubblico, e non al muro, ho cantato-suonato-studiato e infine ho raccolto i frutti di tutto questo incessante ed entusiasmante fare. Mi sono laureata in medicina, ho dato l’abilitazione, ho intravisto da lontano, ma ho distolto lo sguardo per discrezione, un giovane uomo innamorato, pronunciare promesse d’amore lungamente mantenute, sono stata assunta come venticinquista all’Ospedale Santo Spirito e, un mese dopo, ho pubblicato il mio primo disco.


Ma non è finita qui: ho conosciuto tutti i componenti della famiglia, ho potuto finalmente capire (per me è fondamentale avere dati certi) quale fosse il nonno del mandolino (Osvaldo, nonno paterno) e quale il nonno “americano” (Domenico, nonno materno); i ragazzi L. hanno preso i nomi dei nonni, una tradizione che ha voluto onorare anche Mimmo, dando al primogenito il nome di suo padre, Guido, il veterinario-cantante. (L'anomalia è proprio nei cromosomi.) Ho visto le terre dei nonni, i tori, la bella casa della piazza, i campi di grano, le libellule conservate nel cloroformio dalla "famosa" zia Elsa, allora laureanda in biologia, di cui Mimmo leggeva i libri; mi son letta, non senza fatica, Bertrand Russel e Marcuse, e ho fatto anche molto di più: ho collezionato i proverbi del nonno Domenico, che il nipote ha ricevuto come eredità (uno in particolare gli ho sentito usare diverse volte: Corre l'acqua per l'orto, e glielo rubo immediatamente, perchè con l'arrivo di queste pagine, per il quale benedico il meraviglioso servizio che è il prestito interbibliotecario, un po' d'acqua è corsa anche per il mio orticello, fornendomi due spunti di scrittura...) ho fantasticato su quello che Mimmo non dice, sulle altre figure della sua vita di cui non parla, e poi, poi sono stata, per lo spazio della lettura e anche per quello della scrittura, terribilmente felice, anche se per me la felicità è uno stato si, raggiungibile con poco, ma molto effimero, mentre per Mimmo, che ha saputo tracciare bene le sue rotte, e seguirle meglio, pare essere, o almeno essere stato, un fatto permanente. Per questo io lo frequento tanto, perché la felicità è contagiosa, e fa bene frequentare gente felice, anche a distanza, anche senza nessun contatto diretto. Datemi retta: non limitatevi alle sensazioni che vi riporto io: se non l’avete ancora fatto, leggetevi un po’ di Mimmo, un po' di quel poco che c'è, che vi farà bene.


Non son capace di rinunciarvi, io, ai parallelismi: Mimmo a sei anni, se avete studiato bene ormai dovreste saperlo, lesse con trasporto, pur con la scarlattina, (aiuto! mi viene in mente un altro, che ha avuto la scarlattina, però da grande: non oso pensare cosa possa aver fatto per trascorrere al meglio il tempo, non so se sappia leggere…) un grande tomo illustrato delle favole di Perrault. Lui era in seconda, a sei anni, sapeva leggere molto speditamente. (Mi levo un sassolino dalla scarpa: io quelli che hanno fatto la primina li ho sempre invidiati molto: era questione di status, come il microscopio, o il pianoforte... o la fortuna di avere una mamma tedesca e di essere perfettamente bilingue.)


Io, a sei anni, in prima, lessi invece un libretto, comprato con mia mamma all’Upim vicino alla mia casa di allora, intitolato Trottolino: il primo della mia vita di nata per leggere (non necessariamente per capire tutto...). Aveva una bella copertina rosa di cartoncino, su cui era raffigurata una pecora, con suo figlio, un agnellino di nome Trottolino. (Nella formazione di certe bambine sarde di origine barbaricina le pecore hanno un ruolo fondamentale, per questo poi non riescono a cibarsene.) Mi piacerebbe poter sostenere di averlo letto quando ero a letto con la varicella, che ho avuto proprio a sei anni, ma purtroppo non posso affermarlo con certezza, e mentire su fatti così seri non mi piace.

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