Mimmo & Greg

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Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

martedì 7 febbraio 2017

LU "CIF E CIAF"



Il cif e ciaf è un piatto tipico abruzzese a base di carne di maiale. Il nome è chiaramente onomatopeico, fa venire in mente lo sfrigolio che i pezzetti di carne producono nella padella dove si fanno soffriggere con aglio, cipolla ed erbe aromatiche, e un bicchiere di vino bianco. Il piatto è di origine contadina, si preparava infatti quando si ammazzava il maiale, che in passato quasi tutte le famiglie delle aree rurali allevavano. Ciò che rimaneva dopo aver utilizzato le parti nobili per altre preparazioni ed aver confezionato gli insaccati, pancetta, spuntature, guanciale, si tagliava a piccoli pezzi e finiva in padella, e una volta ben rosolato, accompagnato da un bicchiere di vino e pane casereccio, corroborava le persone riunite a celebrare il rito dell’uccisione del maiale, vissuto come momento di mutuo soccorso (ci sia aiutava reciprocamente, a turno) e di convivialità. Come mi è venuto in mente lu cif e ciaf? Semplice: mentre rufolavo (e il termine trattandosi di suini ci sta d’incanto) a caccia di… tuberi e ghiande, mi sono imbattuta nella locandina di un evento che avrebbe dovuto tenersi (non so se poi l’intenzione annunciata si sia trasformata in fatto) il 29 ottobre 2016, per la precisione una cena concerto in un locale di Castelli, centro d'Abruzzo noto per la produzione della ceramica. Il menù musicale comprendeva Mimmo e il suo amico Goran, che con l'Abruzzo pare avere forti legami, mentre il menù gastronomico aveva il suo punto di forza proprio nel cif e ciaf. Magari dopo il concerto, chissà, anche i due amici lo avranno gustato, a tarda notte.

Qui in Sardegna, ancora resiste qualcuno che alleva per tutto l’anno il maiale in casa, lo ingrassa ben bene e verso dicembre o gennaio, lo macella. Immagino accada anche in Abruzzo.

Mia madre mi raccontava che a casa sua, nel paese montano alle pendici del Gennargentu dove nacque e visse per circa trent'anni, il maiale si macellava per sant’Antonio abate, il 17 di gennaio. Al rito assistevano tutti, bambini compresi, e, se il colpo mortale era in genere inferto da un uomo, le donne, mia nonna in testa, avevano un ruolo importante nella lavorazione delle carni, e certo non si lasciavano impressionare dalla scena cruenta, da sangue e frattaglie. Nonna era norcina provetta, imbattibile nella preparazione di salsicce, prosciutti, teste in cassetta e perfino qualcosa di simile a un cotechino, che certo non è un prodotto tipico sardo. Un anno, mia madre avrà avuto una decina d’anni, nella casetta di pietra col ballatoio ligneo, si allevava Elia, promettente aspirante martire, fonte di grassi e proteine per la famiglia tutta. Uno di casa, era, Elia, amato, rispettato e nutrito come meglio si poteva, compagno di giochi di mamma e delle sorelline. Un giorno si sentì male e nonna, preoccupata, chiamò il veterinario condotto che fece subito la diagnosi: indigestione provocata da grande abbuffata di fave, conservate in un sacco di juta preso d'assalto da Elia l'ingordo, che aveva favorito una brutta costipazione. Alla diagnosi seguì la terapia, sale inglese che, prontamente acquistato da una delle bambine in potocaria (la farmacia, termine di chiara derivazione greca), fu somministrato dal veterinario tramite un imbuto. Il liquido seguì un percorso accidentato nella gola di Elia, che stramazzò al suolo e morì quasi all'istante, secondo il racconto di mamma che assistette alla scena in lacrime. In una famiglia in cui si viveva in regime quasi autarchico, orto porco qualche gallina e il latte delle caprette e delle pecorelle di nonno, la perdita del maiale non ancora del tutto ingrassato, morto mentre il clima era ancora ben lontano dai rigori montani del 17 gennaio, non dovette essere cosa facile. Si provvide a macellare in tutta fretta e a confezionare salumi e a cuocere ciò che doveva essere cotto e si distribuì cibo ai parenti e a tutto il vicinato, e per qualche giorno fu festa e lutto insieme, dopo solo lutto.

Questa è una storia di tanto tempo fa, quando il maiale era uno di casa, servito e riverito, e le donne di Barbagia fin da piccole imparavano che ci si deve rimboccare le maniche e darsi da fare, sempre, non lasciandosi scoraggiare dal clima rigido e dalle avversità, capaci di percorrere più di venti chilometri a piedi nelle strade innevate, madri e bambine, con la sola compagnia di un asino che trasportava provviste e panni puliti per i mariti scesi più a sud a cercare pascoli. Mia nonna e mia Madre sono state esempi fulgidi di coraggiose donne di montagna, e qualcosa della loro tempra sopravvive in me, anche se al loro cospetto sono poco più che una bambina viziata. L'anima alla quale vorrei appartenere è quella di certe donne di Barbagia. Cerco di custodire gelosamente dentro di me tracce della presenza di quest'anima, e, quando ne scopro qualcuna, ne vado irrimediabilmente fiera.

4 commenti:

  1. Bellissimo, brava Sorresta.

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  2. Brava Maria, che mi ha trasmesso un mondo che non ho conosciuto, ma mi appartiene.

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  3. Il cif e ciaf di quest'anno è arrivato in ritardo - Sant'Antonio ci ha portato tanta neve, troppa neve - al termine del rito dell'uccisione del maiale che è stato mesto per tutte le sventure qui capitate!
    Della serata di Castelli non so nulla: la sera prima M aveva cantato nella sua Patria; domenica 30 è venuta la scossa che ha messo in ginocchio anche Castelli, la già provata e bella Castelli.
    Piumino

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  4. La "scoperta" della locandina della cena concerto, che spero alla fine ci sia stata, ma che come altri eventi di questo tipo sembra più avere il sapore di un divertimento tra amici che di un evento da pubblicizzare, mi ha offerto lo spunto per parlare di una delle tante storie che mi raccontava mia madre.
    Speriamo di vivere tutti giorni più sereni, caro Piumino.
    Come sempre un grazie e un abbraccio.

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