Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

lunedì 30 aprile 2012

INEDITI E SOMMERSI

Devo sostenere un esame; non è la prima volta che ci provo, ma non sono ancora riuscita a superarlo. Il Professore è molto severo, e nonostante io abbia dedicato tempo e cura allo studio, nei precedenti tentativi non ha ritenuto la mia preparazione sufficiente. “Torni la prossima volta, al massimo le potrei proporre un diciotto, anche se non sono certo che potrebbe fare meglio”.

Da tre anni studio “Scienze mimmologiche” in questa strana università che mi sono inventata, con impegno e una tenacia che sconfina nella caparbietà, ma il mio libretto è ancora intonso.

Ci ritento. Mi preparo con cura. L’aspetto è importante e l’abito fa per metà il monaco: sono indecisa tra un tailleur molto simile a quelli che indossavo da studentessa, quando avevo vent' anni e volevo dimostrarne di più travestendomi da professoressa arpia, e un vestitino blu da mezza suora, con i bordini bianchi, che mi aveva accompagnato il primo giorno di lavoro. La prof arpia ha la meglio sulla suorina.

Arrivo in questa antica aula universitaria ad anfiteatro, molto spaziosa. In un angolo una scena nota, dei signori in abiti secenteschi intorno a un tavolo dove è disteso un uomo che sembra morto. Lo osservo meglio e noto che il suo braccio sinistro è stato sezionato. Gli altri personaggi della scena sono immobili come in un quadro… ma… certo, è un quadro, un quadro vivente, l’esatta riproduzione della Lezione di anatomia del dottor Tulp, il celebre dipinto di Rembrandt. Peccato che manchi il dottore. Dove si sarà cacciato? Al centro dell’aula, in cattedra, il mio Cantante vestito esattamente come il dottor Tulp, mi fa cenno di avvicinarmi.

“Si accomodi” - mi dice, glaciale - . “Ha portato il libro di testo scritto da me medesimo, dal titolo Basta sciocchezze, menzogne e imprecisioni sulla mia vita e la mia musica, Penne, Edizioni filologiche aprutine, 2012? Sento che sto per essere colpita da un attacco di balbuzie, ma provo a parlare: “Professore, non ero a conoscenza dell’avvenuta pubblicazione di questo libro, che da tempo aspettavo. Mi sono documentata su altre fonti e poi pensavo di aver già superato la parte generale, e di dover essere interrogata oggi solo sul corso monografico…”

“Lei pensa molto male, come al solito. Senta, tenga conto che io non posso continuare a perder tempo prezioso. Vede quelli?” - e indica con un cenno del capo il gruppo di uomini, che immobili stanno intorno al cadavere – “Aspettano me. Solo per questa occasione abbandono il tavolo operatorio per quello autoptico. Si spicci che l’aria incomincia a farsi irrespirabile. Mi delinei gli aspetti salienti del corso monografico.”

Attacco: “Il corso monografico verte sul seguente tema: ricognizione ed esame critico della produzione musicale meno nota, dal 1975 al 2009. Per semplificare ho scelto un testo da ciascun album, tra quelli che a mio avviso possono a buon diritto rientrare nella categoria dei sommersi. Da Non rimanere là ho selezionato L’antica stesura; da Quello che ci resta, Il rosso del mattino; dal terzo album, il QDisc Quattro canzoni di M.L., Un altro giorno; Da Intorno a trentanni,  Lo zingaro; da Sognadoro La vita in tasca. Da M.L. Sotto il cuscino; Da Clandestina, La fortuna del mondo; da (Adesso glielo dico) Stupida luna; da Tango dietro l’angolo, Buonanotte nella pioggia; da Uomini, Padre mio; da Il futuro, Come viviamo questa età; da Aria di famiglia, Alice è felice, ghost track; da Piano piano mi son permessa di scegliere Randagio anche se nel testo compare l’apporto di un altro; da Sglobal, Perso e trovato, (pure qui, ma musicale) infine da Idra, Il bambino e il destino (anche qui apporto musicale ...ma familiare). Vorrei iniziare l’analisi a partire dalla canzone più recente. Qui, l’autore, portando alle estreme conseguenze il suo…

L’espressione insofferente del mio esaminatore mi induce a interrompermi sul più bello.

“Proprio non ci siamo. Vede, il suo difetto maggiore è il suo essere totalmente immersa dentro la sua sindrome (una delle tante di cui soffre) di prima della classe, che deve necessariamente mostrare al mondo tutta la sua nozionistica preparazione. Non si tratta solo di elencare titoli e date, si tratta di andare al fondo delle cose, che è sempre la cosa migliore, anche se qualcuno ha sostenuto che chi va al fondo, rischia di rimanerci. Mi scusi, ma sono atteso al tavolo autoptico; come vede quelli sono immobili da un’ora, aspettano me per riprendere a respirare. Questa volta non potrei proporle più di un ventidue, che lei non accetterà, perché è presuntuosa. La informo del fatto che il corso di laurea in Scienze mimmologiche è stato soppresso, per cui questo non vale più”. E così dicendo straccia il mio libretto e, con sguardo impenetrabile e passo altero consono al ruolo, bisturi alla mano, si dirige verso il quadro vivente.

…Questo raccontino delirante venuto quasi da sé, questa sorta di visione pilotata che si è presentata davanti ai miei occhi, senza che la dovessi pilotare troppo, ha l’intento di puntare l’attenzione sull’invito di Mimmo a riscoprire le canzoni meno note, un po’ dimenticate, del suo repertorio. Io ne ho scelto alcune, ma solo per esemplificare. In effetti anche io, che conosco tutte le sue canzoni, e mi somministro un po’ di musica di Mimmo quasi tutti i giorni,  ho la tendenza ad ascoltare meno certe canzoni, (non necessariamente quelle citate, anzi) a favore di altre, che mando incessantemente a rotazione, in genere finchè quelli che abitano nella casa di fronte, la cui finestra è a cinque metri scarsi dalla mia, non invocano clemenza o minacciano di far intervenire la forza pubblica.

Io vorrei rilanciare la palla al Cantante, che domani saggiamente fugge dalla città invasa e scappa in un dimensione più a misura sua, (e anche a misura mia, ma nel mio caso sono valutazioni che esulano dall’aspetto strettamente musicale) e invitarlo a guidare chi lo desideri in un percorso di scoperta o riscoperta di brani un po’ dimenticati, trascurati o meno noti. Un modo potrebbe essere inserire un numero maggiore di queste canzoni nei suoi concerti, o addirittura ideare uno spettacolo solo di sommersi, uniti anche a qualche inedito. Roba da supernicchia, da estimatori davvero affezionati. Sarebbe bellissimo.

Potrebbe anche pensare a una raccolta antologica di vecchi inediti e sommersi, ma forse è meglio che si concentri sul suo nuovo disco di inediti, che, vorrei essere smentita ma credo di poter sottoscrivere quanto sto per affermare, non sarà nostro prima del 2013, quando si sarà sciolta la neve. Lo sappiamo, il nostro Cantante non ha e non vuole avere tempi imposti e steccati, e ci piace anche per questo.

…E dire che al vulcano di idee autore di questo scritto, è stato proposto un modesto ventidue, ed è stato stracciato il libretto. Ah, gli artisti, così capricciosi e incontentabili!

lunedì 23 aprile 2012

SINDROME ABBANDONICA


… Abbiamo perso un amante… - Così recita l’incipit di un noto romanzo, che amo molto, intitolato L'amante, dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua. Sulla falsariga di questo incipit mi verrebbe da scrivere Abbiamo perso un cantante, anzi, il Cantante. L’amante del libro, perduto, sarà ritrovato. L’auspicio è che lo stesso accada con il Cantante, che possiamo al più presto ritrovarlo, perché ci sta facendo molto soffrire di sindrome abbandonica. Parlo al plurale perché credo di non essere la sola in ambasce, e mi faccio portavoce anche delle istanze di altri, che, silenti per discrezione e rispettosi delle sue scelte, non manifestano il loro stato d’animo. Da più di un mese oramai tutto tace, nessuna notizia.  Entro nella pagina dei concerti del sito e l’ultimo aggiornamento risale ai concerti siciliani; non è stato neppure inserito l’evento di Tivoli.

 Entro nella sua pagina ufficiale e mi accoglie un gran silenzio, non solo suo, ma anche dei suoi estimatori. Incomincio a preoccuparmi, soprattutto per la mancanza di impegni: a marzo solo quello citato prima e una partecipazione, neppure pubblicizzata da lui, come ospite di un gruppo di suoi amici musicisti, nella sua terra; ad aprile non c’è stato neppure un concerto. Mi ero anche abituata a un canale di comunicazione costante, anche se discreto, certo non martellante. Non mi dispiaceva, non sembrava fosse una forzatura, o un allineamento obbligato a utilizzare strumenti di comunicazione ormai indispensabili per chi si muova in ambito artistico, che per sua stessa ammissione non apparterrebbero alla sua indole. Mi sarò sbagliata: forse l’eccezione stava nella tendenza dei mesi precedenti, e la regola in quella attuale.

Certo, confesso che sapere Mimmo tutto il giorno davanti al computer, assatanato, per usare un termine che fa parte più del suo lessico che non del mio, che posta qualsiasi cosa sulla sua pagina o che twitta  compulsivamente, per usare invece un avverbio che appartiene più a me, mi destabilizzerebbe non poco, e mi piacerebbe anche poco, ma, come dire, in medio stat virtus. Spero che sia imminente il suo ritorno; spero che la sua assenza sia motivata da impegni su altri fronti, che magari stia dando gli ultimi tocchi e ritocchi al disco live; forse è un periodo in cui non gli va di comunicare – succede – sarà immerso in altri pensieri di tipo diverso - succede anche questo - forse attende proprio di aver qualcosa di importante da dire per riaffacciarsi, forse…  comunque sia confesso di essere ansiosa di avere notizie. Se poi dovesse aver cambiato idea e dopo averci provato, reputasse di non avere più voglia di postare pensieri, comunicazioni e “proclami”, pur un po’ dispiaciuta, rispetterei la sua volontà. L’importante è che stia bene, e che a maggio, come annunciato con entusiasmo, possiamo trovarci tra le mani il disco, assaporare la canzone nuova, e urlare al mondo che il Cantante, perso, è stato trovato al… reparto dischi. Chi l’ha detto che sono solo gli amanti a farci morire di nostalgia se li perdiamo? 

lunedì 16 aprile 2012

OLTRE UNA PORTA SOCCHIUSA



Qualcuno ha definito questo blog una sorta di diario, e non ha sbagliato di molto: spesso ha tutte le caratteristiche di un diario. In questo periodo in particolare, mi son messa a rendere partecipe chi legge dei pensieri che mi accompagnano nella fase creativa, in cui sto tentando di analizzare in maniera più organica le canzoni di Mimmo. Avevo anticipato che avrei parlato dei luoghi e dei personaggi che si incontrano se si decide di vagabondare un po' dentro le sue canzoni. Mi sono venute delle idee e ho cercato di fermarle con e nella scrittura. Ho scritto due pezzi distinti. Il primo nel modo che più mi è congeniale, lasciando ampio spazio all'aspetto sentimentale. Nel secondo ho provato a essere più schematica e rigorosa, più comprensibile anche da chi si trovi casualmente a leggere e non conosca la musica di Mimmo, ma il sentimento s'è fatto un varco pure lì... Alla fine mi è sembrato che i due pezzi si completassero a vicenda, ma anche raccontassero in modo diverso le stesse cose. Per ora ne ho scelto uno. A quale avrò dato la preferenza e la priorità?





Mi sono messa a percorrerle in lungo e in largo, queste canzoni di Mimmo, per cercare di coglierne l’essenza, ma nel momento stesso in cui ho creduto di averla imbrigliata, continuava a sfuggirmi, capricciosa, imprendibile. Ho provato a catturarla, con le mani nude, con un retino per le farfalle, ma non c’è stato nulla da fare; ho capito allora che è meglio così, che è nella sua stessa natura non farsi cogliere completamente, perché è fatta di materia impalpabile: non può star chiusa dentro un contenitore, ne’ dentro una categoria mentale. Mi sono definitavamente convinta che entrare nelle canzoni di Mimmo sia un’esperienza del tutto particolare, se si trova la combinazione giusta che permetta di “aprirle”. Non c’è stato bisogno di usarla, perchè mi sono trovata davanti a una porta lasciata intenzionalmente socchiusa: ho solo dovuto leggermente spingerla ed ecco di fronte a me tante case, tante stanze; mi sono apparse così, tutte insieme, disposte su una grande parete bianca come quadri in una pinacoteca. Mi sono domandata se fosse il caso di proseguire perché dentro queste case ho intravisto delle persone intente in qualche attività, alcune private, intime, e mi ha colto la solita preoccupazione di essere invadente, indiscreta. Nessuno però faceva caso a me, e la tentazione era troppo forte. Ho messo da parte le incertezze e sono andata avanti. Ho visitato case di campagna e case di città. Le prime si somigliavano quasi tutte, e in quasi tutte si percepiva una sensazione di calore, che non proveniva solamente dai camini crepitanti, o dalle coperte sui divani, o dalle candele accese. Era un calore diverso, uno star bene lì dentro che veniva da dentro. C’era qualcuno che aveva freddo, labbra e braccia gelate, e qualcun altro che gli trasmetteva un calore rassicurante, e il freddo passava all’istante. Qualcuno che a un certo punto, sul far dell’autunno, sentiva l’esigenza di confessare segreti a un’altra persona che gli dormiva accanto. Uno che, pur dichiarando di non essere pronto per grandi cambiamenti, ha in realtà preso decisioni importanti, e comunica i segni che lo renderanno riconoscibile a chi vorrà percorrere un certo cammino per incontrarlo.

Mi sono affacciata a una finestra e ho visto un paesaggio innevato; ho staccato un pezzetto di ghiaccio dalla persiana e mi sono dissetata. Ho assaggiato le briciole di pane abbandonate sul vialetto d’ingresso. In un angolo, in penombra, c’era un uomo intento a scrivere, forse lettere, forse canzoni. L’ho visto soffermarsi davanti al camino e davanti alla finestra, l’ho visto ripercorrere la sua vita e sognare, progettare. Da un’altra finestra mi si è aperto davanti lo stesso scenario, ma è cambiata la stagione: mi sono apparse colline assolate e l’oro dei campi di grano e il rosso dei papaveri. Ho sentito il cinguettio degli uccellini, lo sciabordio delle acque di un ruscello. Ecco, sembra lo stesso uomo, eccolo appoggiato a un albero mentre suona la sua armonica: è stato lui a lasciare la porta accostata, grazie a lui sono riuscita a entrare. Vorrei ringraziarlo davvero, ma è talmente intento nella sua musica e nei suoi pensieri, è in un momento talmente suo, che mi sembra inopportuno: mi limito a osservarlo.

Mi dirigo verso altre case, quelle di città. Come sono diverse! Più piccole, meno calde; ci sono capitata di notte, e percepisco una certa inquietudine in chi le abita. Non riesce a dormire, forse aspetta qualcuno, guarda spesso attraverso i vetri della finestra, attratto o forse preoccupato da uno stridio di freni, da una macchina che si è fermata, incerto se uscire o meno. Ha le mani fredde e forse aspetta qualcuno che gliele riscaldi, chissà. Ha preso coscienza che senza amore non vuole più, e placa la sua inquietudine sotto il cuscino. Ha anche la tosse, fuma troppo. In queste case di città ristagna un acre odore di fumo, ci sono molti bicchieri e tazze di caffè, sul lavello, che non sono state lavate. C’è un’aria un po’ claustrofobica, un che di trascurato; vorrei aprire le finestre e mettere un po’ d’ordine, ma, seppur a malincuore, desisto.

In un’altra casa di città c’è uno che mi è simpatico, ama la vita, anche se non se la passa tanto bene. Vorrei cucinare per lui qualcosa che non sia un polletto della rosticceria sotto casa, e stirargli qualche camicia come si deve, scambiarci due chiacchiere dopo cena, ma pare che in questo mio percorso io possa solo guardare, toccare, sentire, annusare, ma non mi è consentito intervenire e modificare ciò che è stato già scritto e deciso da qualcun altro.




Vedo anche qualche stanza d’albergo; qualcuno mi sembra un po’ scalcinato, qualche altro ha l’aria di un romantico piccolo hotel de charme; vorrei entrare, ma il portiere deve aver avuto precise consegne: non mi permette di passare. Non si preoccupa di nascondere un sorriso sarcastico quando, bluffando, gli dico che sono attesa di sopra.

Esco per strada, attraverso uno dei portoni delle case di città. Atmosfere oniriche e notturne, spicchi di luna e cieli stellati, macchine che sfrecciano, cani che abbaiano, caffè che stanno per chiudere, baristi e disperati accomunati da qualcosa, sul banco l’ultimo bicchiere; donne bionde che ammiccano dai vicoli, una coppia che esce da un locale, lui l’abbraccia un po’ tentacolare, lei fa un po’ la preziosa, perché le hanno insegnato così, ma si sa come andrà a finire: andranno in una di quelle stanze d’albergo dove mi è stato vietato l’accesso?

Strade di città grandi e strade di cittadine di provincia, strade che fanno pensare a una metropoli modernissima caotica e inquietante o a una romantica capitale europea in una dimensione temporale sospesa, ancora insegne di caffè, arredi urbani, panchine e lampioni. Gente che cammina, treni che partono: inquadro un passeggero che scrive il nome di una donna sul vetro del treno, e ne vedo la sagoma in un altro treno e in molti altri ancora.

Durante il mio peregrinare incontro tante figure maschili, o forse è lo stesso uomo in momenti diversi della sua vita, a tratti allegro, gioioso e giocoso, a tratti malinconico e pensoso, con uno sguardo rivolto al passato e ai ricordi, e uno al presente e ai progetti futuri; guarda sempre più spesso dentro di sé, ma non perde di vista ciò che lo circonda, è attratto dal mondo.




Mi imbatto anche in un signore non più giovane dall’aspetto noto, con la barba bianca, che forse non va più d’accordo con la vita.

Per strada attira la mia attenzione una donna che ha nelle tasche il fumo della ferrovia, lo sguardo perso. Vorrei entrare nei suoi pensieri. Incontro delle altre donne e delle ragazze, che si dirigono ciascuna verso il suo cammino; Nadia verso un’altra città, Lucy col volto ancora pieno di lividi, ma tutta tesa verso un’altra vita; ecco la bella signora senza nome, con un portamento altero e sensuale, che attrae tutti gli sguardi e non posa il suo su nessuno; un’altra giovane e spensierata, che sta così bene con la sua camicetta e la sua gonna giusta e la borsetta piena di segreti come tutte le ragazze della sua età, che va incontro alla vita. Vedo Lucia che rischia di essere investita da una macchina, intenta com’è a mangiarsi con gli occhi una lettera tutta spiegazzata, che ha l’aria di essere stata letta decine di volte. La strada continua ad affollarsi di sagome femminili: quelle due sembrano così amiche, hanno talmente tante cose da dirsi che l’una ruba le parole dell’altra, rimanendo quasi senza fiato. Infine ne incrocio un’altra, l’ultima, che quasi mi viene addosso, perché la sospinge la smania di arrivare da qualcuno che forse ancora non conosce, ma la accoglierà esclamando “Benvenuta”.

A un certo punto non riesco a vedere più niente, la vista mi si offusca, e mi sento molto stanca. Cerco di rientrare in casa, quella che mi piace di più, con la vista sulla collina innevata. La porta è ancora aperta e non vedo nessuno. La stanchezza mi fa perdere ogni ritegno e mi fa dimenticare di non essere a casa mia. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi distendo sul divano e mi avvolgo nella coperta. Vorrei tanto addormentarmi, ma non ci riesco. Rifletto: chi l’ha detto che le canzoni si ascoltano soltanto? Una canzone qualunque, forse, magari distrattamente, ma quelle di Mimmo si percepiscono con i cinque sensi. La vista è stata appagata, ho udito il cinguettio degli uccelli, il ticchettio della pioggia, i rumori della città, ho aspirato il profumo della legna nel camino, e quello di collina e di grano; ho sfiorato volti e incrociato sguardi, ho toccato oggetti, e mi è rimasto in bocca il sapore salato delle lacrime, sulle guance il rossore della fiamma, e sui capelli l’odore del fumo. Alla fine mi sono addormentata, e al risveglio ho provato una sensazione simile a quella che si prova dopo aver fatto un sogno molto bello che lascia addosso uno strano languore. Vivere in modo così intenso le canzoni in fondo è come sognare, o vivere in un’altra dimensione. Le amo, queste canzoni, e sono profondamente grata a chi le ha scritte, per avermi lasciato la porta socchiusa, e avermi permesso di entrare.

mercoledì 11 aprile 2012

ANTICIPAZIONE

La prossima puntata del mio serial blog sarà dedicata ai luoghi dove Mimmo ambienta le sue canzoni, e magari ai personaggi che vi agiscono. Non so ancora se vi entrerò in punta di piedi o se sarò un po' indiscreta; non so ancora come mi muoverò, ma mi propongo incautamente come guida per chi avesse voglia di essere preso per mano e condotto in queste stanze tanto amate.


A non so bene quando: forse ci impiegherò un po' di tempo, perchè non è escluso che mi metta a pulire i camini e a rassettare per bene, in quelle stanze, con la sindrome della fantesca di cui notoriamente soffro...

martedì 3 aprile 2012

CORRERE FORTE INCONTRO A UN ALTRO DESTINO



Viva la smania che mi prende al mattino
Di correre forte incontro a un altro destino,
Di respirare il traffico feroce,
Di far sentire forte la mia voce

lo posso andare forte o andare piano,
Ritornare indietro o fuggire lontano,
Sono così, una corsa magica di un tram,
Sono il vapore di una grande città

Da Questa illogica follia (Clandestina, 1987)



Ho iniziato a studiare; ho esaminato una trentina di testi - cercando quasi, cosa non facile, di uscire da me stessa - e in tutti quanti ho trovato, come previsto, una compresenza di elementi, una stratificazione di tematiche ricorrenti, e anche di situazioni, di immagini, di espressioni lessicali. Ogni canzone è un microcosmo, perfettamente inserito e inseribile dentro il macrocosmo del corpus del nostro Cantante. Ho trovato unitarietà dentro la molteplicità; c’è un filo che collega la produzione più lontana nel tempo a quella più recente, ed è un filo resistente, che rimane intatto anche nel mutamento: la sua impronta, il palmo della sua mano impresso in modo indelebile, quello che te lo fa riconoscere e amare anche se son passati tanti anni e non ne sapevi più niente.

Ascoltandolo, con il senso dell’udito e con quello del cuore, ti accorgi che è cambiato, ma non si è snaturato. Non voglio tentare di interpretare testi, almeno non nel senso di fornire di ciascuno un significato, di raccontare esattamente che cosa vogliano dire e a che cosa si riferiscano, perché, a parte quelli di lettura immediata e inequivocabile,( o almeno che tali appaiono) o quelli di cui ci ha fornito l’interpretazione lo stesso Cantante, di qualcuno posso avere una mia personale interpretazione che forse è totalmente fuori dagli intenti dell’autore. Di qualche altro posso avere un’idea alquanto nebulosa; per altri ancora invece posso, senza alcun timore, affermare di godermeli molto quando li ascolto, di essere coinvolta nella sfera emozionale, ma di non sapere proprio che cosa pensare. Deve sfiorarmi il dubbio di essere un po’ tonta? Delle canzoni si deve proprio capir tutto e spiegare tutto? A me in più di un’occasione viene il dubbio di essere un po’ tonta, non solo in relazione alla comprensione di una canzone; a volte il dubbio diventa perfino certezza, però alla fine che cosa me ne importa se non la so spiegare? Certa è una cosa: la so sentire, se mi suscita stati d’animo positivi, se mi lascio conquistare e trasportare, in un altrove, come si usa dire - a mio avviso troppo, oggi - dove non tutto mi è chiaro, ma mi sento a mio agio.

Uno dei capi di cui è costituito quel filo resistente e ritorto, è senz’altro l’idea del viaggio, nelle sue varie accezioni e sfumature. Amo molto le parole, da alcune sono conquistata come fossero esseri viventi, e in un certo senso lo sono. Mi piace immergermi dentro le parole, conoscerne i significati profondi, l’origine. Smembrarle, analizzarle, supporre parentele semantiche quando non le conosco con esattezza, indagare e scoprire la fondatezza delle mie analisi. Nella parola viaggio, arrivata in italiano attraverso il provenzale viatge, dal latino viaticum, (che esattamente significa ciò che può essere utile portare quando ci si sposta da un luogo all’altro), c’è il concetto di via, di cammino, di distanza che si deve percorrere per giungere da un luogo ad un altro, non necessariamente luoghi geograficamente, materialmente intesi. Ecco, in questo senso moltissime canzoni di Mimmo sono canzoni di viaggio, non solo quelli che si compiono con i treni (i mezzi di trasporto più presenti nella sua produzione, ma sembrano treni che permettono di gustare il paesaggio, di fare incontri, di pensare: se non è il treno locale che si ferma a tutte le stazioncine, non è l’alta velocità) con l’aereo, con i bastimenti, con le corriere, con le auto, monoposto o meno, lanciate a tutto gas.

Spesso questi mezzi alludono a metafore, e la velocità è l’esatta traduzione di un anelito di libertà, per sfuggire ai recinti, alle costrizioni, alle celle. Si va, si corre, ci si sposta, per raggiungere un luogo o qualcuno, ma si va spesso anche via, si raccolgono le cose amate e si punta verso un’altra direzione. Se la situazione è stagnante, meglio non attendere oltre, meglio cambiare aria. Se in un luogo o con qualcuno non si sta più bene, un cambiamento è quello che ci vuole, anche se spesso non è il malessere che spinge ad andare, ma un’inquietudine positiva, quella smania di correre forte incontro a un altro destino: partire per nuove esperienze è certo una sfida, è farsi sospingere da una pulsione eroica, misurarsi con sé stessi e scoprire che sfidare l’ignoto è molto eccitante. Niente acque ferme, ma torrenti cristallini, aria pulita, velocità e vento nei capelli, la certezza di poter avere diamanti dentro gli stivali, e si volta pagina. Anche se il giorno si configura come il più difficile, starsene a casa è inutile, meglio tuffarsi nelle strade lucide della città tentacolare. Tale è l’urgenza di andar via che si parte col buio, questa volta in due, perché non ha senso aspettare il mattino. Ci si può far guidare da una stella di vetro.


Spesso si parte, qualche volta si ritorna, magari solo col pensiero. Si viaggia attraverso il tempo, si ripercorrono piano piano le tappe della propria esistenza, che sono comuni ad un'intera generazione; si accarezzano immagini lontane, si fruga dentro il passato, si aprono vecchi cassetti che rivelano lettere ingiallite e squarci di memoria. Non sempre andar via è possibile, non tutti ne sono capaci, ma per per tutti deve esserci un’occasione, anche per i poveri cristi, ci deve essere un bon voyage, e ciascuno lo intenda come vuole intenderlo. Non sempre andare via è possibile, ma ci si può abbandonare a chiudere gli occhi e sognarsi un’altra vita, perché anche il sogno, è un viaggio, come un viaggio di ricerca dentro sé stessi permette di scoprire quel famoso passaggio segreto, che ciascuno di noi dovrebbe poter riconoscere e percorrere al momento opportuno. Il viaggio più impegnativo e insieme forse il più doloroso, che non comporta l’acquisto di un biglietto, è come ha detto bene Mimmo, quello che ci conduce negli scantinati di noi stessi. A volte può essere una discesa negli inferi, ma ci costringe a guardarci allo specchio e a vederci per quello che realmente siamo, se ne siamo capaci. Per Mimmo una discesa notturna, che rende più agevole il percorso interiore, quando intorno c'è silenzio ed una oscurità illuminante.

Ciascuno di noi ha un suo portamento turistico, conferisce l’impronta di sé nei vari viaggi che si trova ad affrontare, dentro, fuori, intorno, nel tempo, in altre dimensioni, dentro un’altra persona, nel sogno: il viaggio come sfida, scoperta, arricchimento, evasione, esigenza profonda di mutamento; anche l’amore è un viaggio, anzi il conto di un viaggio, verso o con un’altra persona, se questa ne ha voglia e non è a sua volta impegnata in un altro viaggio. Il viaggio che è una costante nella vita dei musicisti, girovaghi per necessità e per vocazione, che spesso di una città vedono solo il palco dove suonano, la camera dell’hotel e l’aeroporto, ma non vogliono catene, e da questi viaggi non portano souvenir, sia nei bagagli sia nel cuore: forse hanno ragione loro.


Ci sono poi i viaggi di chi parte e non si sa se arriva, è in questo caso la molla è la disperazione che porta verso false terre promesse, che non sono in grado di mantenere nessuna promessa.

Accade anche a un certo punto che un uomo navigato, che ha solcato molti mari, calmi o tempestosi, volato, esplorato lande a tutte le latitudini, senta il bisogno di fermarsi a riflettere, in un luogo d’elezione - con il poco o il molto che ritiene opportuno portare con sé - dove chi lo desideri e ne condivida i pensieri possa recarsi e trovare accoglienza. Io credo di aver fatto quest’ultimo tipo di viaggio, sono andata a trovarlo, forse anche senza il bagaglio giusto, il giusto viatico. Mi sono dovuta adattare alle asperità del cammino, a momenti di entusiasmo si sono succeduti momenti di difficoltà, di scoramento: nonostante tutto ancora non ho smesso. Però, che bel viaggio, quello verso Mimmo, che tenacia sono stata capace di tirar fuori, partendo da quest’occasione… Indiscreta, ho anche frugato nei suoi bagagli, perchè lui ha un set di valigie sempre pronte: una per ogni occasione, ognuna con un contenuto diverso, però in tutte, ho trovato un sogno e un po’ di polvere di stelle: non ho saputo resistere e gli ho rubato un sogno, e mi ci son tuffata dentro. La polvere di stelle mi è rimasta impigliata tra i capelli, mi ha illuminato gli occhi e mi ha fatto starnutire. Ho richiuso frettolosa le valigie e sono fuggita senza voltarmi indietro.

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