Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

giovedì 30 settembre 2010

GLORIOSO EPILOGO DI UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE


Percorrendo sentieri a volte facili, a volte pieni di rovi, e di pietre aguzze che rendono difficile il cammino, oppure andando alla ricerca di tartufi senza il cane. Questo è stato un po’ il lavoro di Folgorata, sul quale non voglio, oltre questa metafora, trattenermi ancora, perché l’ho già fatto troppe volte. Oggi Folgorata compie un anno, essendo stata partorita proprio il 30 settembre 2009. Ho deciso di farmi un regalo, per questo primo compleanno, perché ormai è giunta l’ora di chiudere il cerchio: i tempi son maturi. Insomma, ho comprato i biglietti aerei per Torino, e ho prenotato per il concerto di Mimmo Locasciulli al Folkclub. Molto molto in anticipo, sia per auto-incastrarmi, sia per un motivo meramente economico: da quando per la prima volta avevo cercato informazioni sui voli, il prezzo del biglietto è quasi triplicato e continuerà ad aumentare, quindi mi son detta: “Forse è meglio acquistarli, questi benedetti biglietti, così se proprio non potrai partire, farai finta di aver comprato il solito paio di scarpe importabili che non abbandoneranno mai la scarpiera, e non perderai uno sproposito”. E già, perché aver acquistato i biglietti e aver prenotato per il concerto, non vuol dire avere automaticamente la certezza di esserci, ma semplicemente la speranza di poterci essere. Sarei davvero felice di suggellare quest’avventura nel modo più degno, e più opportuno, che è quello di sentire finalmente Mimmo in concert. Rimane da augurarsi che non capiti qualcuno degli spiacevoli imprevisti che per me sono pane quotidiano, essendo io un curioso miscuglio tra Paolino Paperino, Fantozzi, il Deragliato di Povero me, e Pinocchio (quest’ultimo per il naso, non per la sfortuna); rimane da prenotare un albergo il più vicino possibile al Folkclub, e infine, essendo io sola nella notte di una città straniera, da "abbordare", senza secondi fini, se non di farne il mio bodyguard per il breve tragitto, qualche anima buona che mi scorti dalla porta del locale alla porta dell’albergo, e il gioco è fatto.

Speriamo che il Cantante non cambi data (ho visto che in qualche altro caso è successo: tremo all’idea…) al suo concerto torinese, speriamo che non nevichi, ne’ che faccia un freddo siberiano: è tutto uno sperare e un incrociare le dita, questo scritto di anniversario. Sono proprio contenta di aver scelto il concerto del Folkclub, perché è un posto dove Mimmo è felice di suonare, dove si sente molto a suo agio, anche se devo dire che l’opzione, per il momento, era solo tra la Svizzera e Torino, e la prima era troppo al di sopra delle mie possibilità, ancor più fredda e con l’ostacolo della lingua. Magari ho avuto fretta, magari ci sarà un concerto a breve, in un luogo più caldo…(tutta questa preoccupazione climatica non dipende dal freddo in sé, che anzi mi attrae, ma dalla difficoltà di partire ben equipaggiata con un trolley piccolo) magari … magari… Alla fine ho seguito l’istinto, che mi diceva di non aspettare oltre: a questo punto niente conta più niente, mi riscalderò con qualche fumante cioccolata, mi comprerò un colbacco… Insomma cercherò di arrangiarmi e al di là del concerto, motivo primo del breve viaggio, cambierò aria per qualche giorno: tutta salute.
Qualcuno sostiene che non si devono svelare le cose che si desiderano, altrimenti non si realizzano. Io ho scelto di fare l’esatto contrario, ribellandomi a quest'atteggiamento scaramantico, tanto una percentuale di imponderabile esiste per tutti e per tutte le cose, quindi, speriamo che sia la volta buona: mi piace crogiolarmi nell’attesa e vivere di immaginazione, ma un anno di trepida attesa mi pare sufficiente; quanto all'immaginazione, in un anno non dico di aver dato fondo a tutte le mie scorte, imbastendo storie e cercando spunti anche laddove non è che ce ne fossero tanti, ma insomma, ne ho consumato una gran quantità.

Scenetta familiare, sabato scorso davanti a un programma televisivo di quelli che non piacciono a Mimmo Locasciulli, che in questo senso è molto "duro e puro". Sostiene Locasciulli che l’unica cosa decente, in tv, sono certe pubblicità, e non ha tutti i torti. Proprio guardando una pubblicità sentì The future, ne rimase attratto, anche se sulle prime non riuscì a individuare a chi appartenesse la voce, e incominciò a ricamarci sopra. Questa fu, in parte, la molla che lo spinse a concretizzare l'idea di un album di cover, che già da tempo gli ronzava per la testa.

Io, non così dura e pura, ma in questi ultimi anni assai poco affezionata alla tv, faccio un’eccezione il sabato pomeriggio, quando, tra una chiacchiera, un tentativo di appisolamento, e una carezza al morbido gatto recalcitrante, in preda a zapping talvolta nevrotico, mi soffermo un po’ su questo e un po’ su quello, dopo una settimana di astensione quasi totale.
Lo scenario è la settimana della moda milanese e un tizio che non so chi sia, ma che pare scoppiazzare un po’ lo stile "Jene", rincorre la filiforme e potentissima direttrice americana di una prestigiosa rivista di moda. La rincorre letteralmente, perché quella si da alla fuga, nel tentativo di consegnarle un cappuccino pericolosamente ballonzolante dentro un bicchiere di carta, la raggiunge e le comunica che vorrebbe essere il suo assistente; la signora non lo degna di uno sguardo, anzi gliene lancia uno atterrito, e continua la sua fuga: un lampo, scappa letteralmente e il tipo rimane da solo col suo cappuccino. (La capricciosa signora ama molto questa bevanda e ordina ai suoi sottoposti di portarle molti cappuccini, e si arrabbia molto se gli ordini non sono eseguiti bene e in fretta).
Una voce “amica” accanto a me: “Sandra, questa scena non ti fa venire in mente qualcosa? Immaginati una situazione simile a Torino, mutatis mutandis…”
E non mi ci vuole molto, io con l’immaginazione vado a nozze.
Avvisto il Cantante, che si avvia verso l’ingresso del locale: gli corro incontro con una bottiglia di Turriga in mano: “Mimmo, Mimmo, sono Folgorata, ti ho portato il Turriga, ti prego, assumimi come tua assistente! Lavoro gratis, ti faccio tutto: da ufficio stampa, ti fisso gli appuntamenti, ti preparo i lavori in power point per i tuoi convegni medici, ti scremo gli avvisi di google alert, ti stiro le camicie e i camici, ti lucido gli stivaletti e ti lavo anche la macchina, posso perfino trasportare un cartonato che ti rappresenti, grande come te, così i tuoi fans che desiderino una foto, possono farla con il tuo succedaneo, se tu non ne hai voglia, ti...” Più veloce del fulmine, con uno scatto da atleta, si volta solo per dirmi, secco: “Ho schiere di professionisti che lavorano per me, Lei è solo una dilettante nel senso deteriore del termine…” “Sicurezza, levatemi questa importuna di torno”.
Sirene spiegate, forze dell’ordine, manette ai polsi. Piazzata sul primo treno della notte, (che in realtà è un carro bestiame) con il foglio di via. Come Bocca di rosa, mutatis mutandis. Solo che alla stazione successiva, nessuno mandò un bacio e nessuno gettò un fiore. Lacrime calde solcano il volto sfiorito di Folgorata. "Povera me, me ne andasse una dritta, almeno una volta. Ho tanto bisogno di calore!" E fu così che si scolò d'un fiato l'intera bottiglia di Turriga.

venerdì 24 settembre 2010

POVERA ME: QUELLO CHE NON SO, LO SO...INVENTARE


Povero me è una delle mie canzoni preferite, una di quelle che posso ascoltare dieci volte di seguito senza stancarmi mai, immergendomi totalmente nel mare di sensazioni forti che mi fa provare, in apnea, lasciandomi travolgere dall’onda anomala dell’emozione, correndo quasi il rischio di annegare. Da sempre è stato così, è ancora così, e ancora lo sarà.

Da quando quei due l’hanno composta, quei due ragazzi irresistibili che sarebbero da comprare in blocco, ma non è roba che si compra, dischi a parte, ne’ che si vende, men che meno in offerta speciale, e meno male, mi è entrata nella pelle. La canzone degli sconfitti, dei vinti, dei perdenti, dei diseredati, di chi soffre disagio ed emarginazione, degli affamati d’amore, non solo di cibo, degli sfiduciati, di chi è allo sbando, degli abbonati alla totale mancanza di autostima, di chi non ha nemmeno un amico qualunque per bere un caffè, che come è noto, non si rifiuta a nessuno, di chi teme il silenzio, perché nel silenzio tutte le paure si amplificano, ma non sopporta nemmeno il rumore, che mischiato alle urla disperate che popolano la mente di tanti Povero me, le rende ancor più spaventose.

Ci sono diverse versioni, di questa canzone, composta da entrambi per quanto riguarda il testo, mentre la musica è di Francesco, diverse versioni di entrambi gli artisti. Nel 92 Mimmo l’ha inserita in Delitti perfetti e Francesco in Canzoni d’amore. Ancora Mimmo l’ha voluta in Aria di famiglia. Io nel mio lettore mp3 (ormai sono diventata anch’io un’ebete, una con lo sguardo de pisci alluau*, come si dice qui, mentre Mimmo mi canta nelle orecchie: ha davvero ragione una sua fan, quella fanciulla che dice che ascoltato in cuffia riscalda l’anima) ho tutte le versioni, che per un errore diventato alla fine un pregio, sono state riversate due volte ciascuna. La canzone è abbastanza nota, in particolare come canzone di Francesco. Molti non sanno che il primo a pubblicarla fu Mimmo; ci sono due fazioni: i fautori della versioni di F. e quelli della versione di M. Io, equanime, non posso non esprimere apprezzamento per entrambe le interpretazioni, anche se, con un mitra puntato (e anche senza) scelgo Mimmo, altrimenti non sarei la Folgorata che sono e voglio essere. Spesso la canto anch’io, e me la personalizzo, evidentemente: Povera me, diventa il ritornello. C’è su youtube una versione live di Mimmo,
http://www.youtube.com/watch?v=K-oV1fiPNuo molto bella, molto sentita, molto partecipe; il video è pessimo, ma l’audio è buono, tuttavia l’espressione del cantante, per quel poco che si può vedere, denota davvero una totale empatia con il disperato della canzone.

Non conoscevo il fatto che ha ispirato la canzone. Ne sono venuta a conoscenza leggendo il libro di Enrico Deregibus,
Quello che non so, lo so cantare : storia di Francesco De Gregori / Enrico Deregibus Firenze : Giunti, 2003 una monografia su Francesco, dove, è evidente, per il tipo di rapporto tra i due artisti trova spazio anche Mimmo. Non potevo, io sempre a caccia di notizie, e sempre più disperata (povera me) perché ormai non so più dove cercare (una soluzione potrebbe essere introdurmi nottetempo nella riserva e trafugare i diari di Mimmo: li terrà, li avrà tenuti i diari? Non gliene importa niente a nessuno, ma lo partecipo ugualmente: io per lunghissimi anni ho tenuto dei diari, e, in forma ridotta, continuo ad avere questa abitudine a mio avviso utilissima e terapeutica: prima o poi me ne disferò e li invierò a Pieve Santo Stefano, all’Archivio dei diari) non dissetarmi anche a questa fonte. Si tratta di un lavoro interessante che fornisce molte notizie sull’attività artistica e anche sulla vita personale di Francesco e in più, poiché nella trattazione si applica un ordine cronologico, si amplia il discorso puntanto l’attenzione anche sui fatti di rilievo che hanno caratterizzato gli anni in oggetto. Da leggere. Il titolo riprende un verso di una bella canzone di F. intitolata Battere e levare, all’interno dell’album Prendere e lasciare del 1996. Potrei rubarlo e parafrasarlo e applicarlo a questo mio lavoro, che, come dice Deregibus a proposito del suo, non so come sia venuto, ma nessun altro lo ha fatto (ah, che soddisfazione essere portatori di unicità!...) e dire “Quello che non so, lo so inventare” in riferimento a tutte le volte, molte, in cui mi son lanciata con le mie intuizioni: in alcuni casi “ci ho preso” in altri avrò preso delle cantonate.

Ecco cosa racconta Mimmo Locasciulli: Povero me è nata dal mio intercalare strascicato con accento dialettale abruzzese (pover’a mmé). Fui testimone di un incidente in cui due poveri operai autostradali erano stati travolti da una golf. Uno di loro non faceva altro che ripetere la frase “pover’a mmé, ecche ha finite li tribbulazione della vita me’ (qui sono finite le tribolazioni della vita mia). Quella drammatica singolare iella, (in quell’autostrada non passa quasi mai nessuno) fu la molla ispiratrice di una canzone, appunto, sulla sfortuna dei perdenti. È la canzone del no, della lontananza, della voglia di menare le mani, del non riconoscersi nei modelli correnti. “I simpatici mi stanno antipatici/I comici mi rendono triste”…

Sarei curiosa di sapere il seguito della storia, che ne è stato degli operai autostradali…

Eccola, Povero me, non c’è un verso che non condivida
.
Sono certa che la condivisione degli autori sia qualcosa di più di un mero fatto ideologico e intellettuale, che ci sia una vera partecipazione di cuore, e di fatti.

POVERO ME

Cammino come un marziano come un malato
Come un mascalzone per le strade di Roma Vedo passare persone e cani
E pretoriani con la sirena
E mi va l’anima in pena
Mi viene voglia di menare le mani
Mi viene voglia di cambiarmi il cognome
Cammino da sempre sopra i pezzi di vetro
E non ho mai capito come
Ma dimmi dov’è la tua mano
Dimmi dov’è il tuo cuore
Povero me povero me povero me
Non ho nemmeno un amico qualunque
Per bere un caffè
Povero me povero me povero me
Guarda che pioggia di acqua e di foglie
Guarda che autunno che è
Povero me povero me povero me
Mi guardo intorno e sono tutti migliori di me
Povero me povero me povero me
Guarda che pioggia di acqua e di foglie
Che povero giorno che è
Cammino come un dissidente un deragliato un disertore
Senza nemmeno un cappello o un ombrello da aprire
Con il cervello in manette
E dico cose già dette
E vedo cose già viste
I simpatici mi stanno antipatici
E i comici mi rendono triste
Mi fa paura il silenzio
Ma non sopporto il rumore
Dimmi dov’è la tua voce
Dimmi dov’è il tuo amore
Povero me povero me povero me….
Ed ecco anche


Battere e levare
Lo vedi tu com'è...bisogna fare e disfare.
Continuamente e malamente e con amore, battere e levare.
Stasera guardo questa strada e non lo so dove mi tocca andare.
Lo vedi, siamo come cani.
Senza collare.
Lo vedi tu com'è... è prendere e lasciare.
Inutilmente e crudelmente e per amore, battere e levare.
Ma non lo vedi come passa il tempo?Come ci fa cambiare?
E noi che siamo come cani. Senza padroni.
So che tu lo sai perfettamente, come ti devi comportare.
Abbiamo avuto tempo sufficiente per imparare.
E poi lo sai che non vuol dire niente dimenticare.
E tu lo sai che io lo so e quello che non so lo so cantare.
Lo vedi tu com'è... come si deve fare.
Precisamente e solamente, battere e levare.
Vedo cadere questa stella e non so più cosa desiderare.
Lo vedi, siamo come cani.
Di fronte al mare.

martedì 14 settembre 2010

PER CONCLUDERE UN DISCORSO INIZIATO UNA SETTIMANA FA...


Di tanto in tanto, ancora oggi, chiudo gli occhi e atterro sui giorni felici della mia infanzia, ed è un film bellissimo. ... Ogni volta che plano ritrovo innocenza e stupore ed ogni volta spero di poter cogliere in volo il senso della mia esistenza, delle mie scelte, del mio vivere oggi. ...



Se potessi, oggi, tornerei indietro per tutto il corso dei miei anni. E non cambierei nulla delle scene e dei personaggi della storia: fermerei qualche fotogramma, forse, ma solo per gustarne più a fondo il magnifico sapore.


Io un uomo così lo guardo come guarderei una creatura di un'altra galassia, e un po' lo invidio anche. Beato lui. Innegabilmente anch'io amo immergermi in certi ricordi, ma credo di averli in parte colorati con tinte che forse sono molto diverse da quelle originali. Sono brandelli di discorsi, sensazioni, atmosfere, persone, profumi e vestiti; la casetta delle bambole e la mia collezione di bottoni, una voliera con un pappagallo gigantesco che pare non sia mai esistito, lo sguardo di un bambino bellissimo affacciato alla finestra di fronte.

Anche io, potendo, tornerei indietro per tutto il corso dei miei anni, e in ciascuno di essi, però, vorrei cambiare qualcosa, scene, personaggi della storia, scelte, o non scelte. Più di tutti e di tutto, vorrei poter modificare alcune caratteristiche della protagonista della storia, e ri-tracciarne le rotte. Per riuscire ad essere straordinariamente felice.


Un giorno, o più giorni, la storia non dice, una dotta assise di signori, per lo più di mezza età, abituati, i più, a indossare cuffie e mascherine e guanti dopo essersi lavati le mani con molta cura, mani ferme e salde, indossa giacche scure, camicie chiare e cravatte, e si incontra davanti a un tramonto che infuoca le acque di un bel lago, in un bel borgo abruzzese. Questi signori, quasi tutti chirurghi, ma non solo, sono anche umanisti, amanti dell’arte e della storia, e delle dotte disquisizioni. Si confrontano, come in un simposio di antichi filosofi, e dalle loro dotte disquisizioni nasce un libro. Al simposio partecipa anche un chirurgo che noi conosciamo bene, un filosofo in pectore, che lascia la sua testimonianza tra le pagine di quel libro, Scanno : storia di gente di montagna : bisturi e tramonti sul lago / a cura di Guglielmo Ardito Pescara : ESA, 2004, uno di quei bei volumi patinati, ma di sostanza, che non credo (ma forse mi sbaglio) abbiano avuto larga diffusione fuori dall’Abruzzo.


Il capitolo di Mimmo Locasciulli, intitolato Un chirurgo sopra le note: " l'anomalia", quello da cui ho tratto le notizie sullo studente atipico asso in latino, consta di poco più di tre pagine, scritte in modo semplice, con linguaggio colloquiale e immediato, come se davvero l’autore stesse conversando con amici con cui si sente a suo agio. Io non so se questi signori si siano effettivamente trovati a Scanno davanti a un tramonto sul lago, per discutere anticipatamente gli argomenti che avrebbero trovato poi spazio nel libro, o, se, come è più probabile, ciascuno per proprio conto abbia scritto, per poi incontrarsi il giorno della presentazione, in occasione della edizione del 2004 del Premio del borgo abruzzese, ma la prima ipotesi è senz’altro suggestiva e a questa voglio dare credito. Alcuni di questi signori hanno discettato di chirurgia endocrina, altri di storia della chirurgia in Abruzzo, altri di arte e infine, per ultimo (a me piace immaginare che le cose siano andate così) per la sua “anomalia”, ha preso la parola Mimmo. Ha parlato di sé, nel tentativo di capire meglio egli stesso, indagando su di sé ancora una volta, per poi poterlo comunicare agli altri, dove affondi le radici la sua doppia vita, l'una vissuta nelle regole e nella disciplina, alla luce del sole, o meglio del neon dell’ospedale, l’altra vissuta alla luce della luna e delle stelle, sui palchi dei teatri e nei locali, davanti al pubblico o nel suo studio di registrazione, la sua vita creativa e artistica, la sua passione per la musica. A me non sembra in fondo che ci sia tutta questa anomalia, ne’ tutta questa differenza tra le due vite: in entrambe, e non solo nella prima, mi pare ci siano regole, diverse, certo, e in entrambe mi pare che ci sia passione. L’una pare essere indispensabile all’altra. All’artista è utile essere medico per non perdere il contatto con la realtà, col mondo, con i problemi reali della gente che soffre, (un luogo comune vuole che tuffandosi in quelli degli altri si esorcizzino i propri) con la quotidianità; al medico è indispensabile trovare linfa ed energia nell’attività creativa dell’artista, tuffandosi in una dimensione meno razionale e più sentimentale ed estetica, tanto nel senso etimologico del termine, quanto in quello filosofico.


Il bello di questo scritto, lo ribadisco, è la sua semplicità. Così come Mimmo ha il dono di condurre chi ascolta la sua musica dentro un mondo a sé, che non è necessariamente quello dell'autore, ma un mondo in cui chi desideri entrare può trovarsi perfettamente "nelle sue misure", allo stesso modo ha il dono di condurre il suo lettore dentro un mondo che, nel caso del breve scritto sull’anomalia, lo rappresenta invece totalmente.

Non so se sono riuscita a rendere l’idea o se il pensiero espresso risulti contorto. Mi spiego meglio: in quelle tre pagine Mimmo da voce ai suoi ricordi e riesce a prendere per mano il lettore, a condurlo con sé a ritroso nel tempo, a farlo calare perfettamente nell'atmosfera e nelle situazioni evocate. Io mi sono seduta nel salotto della sua casa paterna di Penne e ho assistito alla prima lezione di pianoforte, ho preso posto nel banco di legno della primina (io sono nata a ottobre, ma neppure fossi nata a gennaio avrei fatto la primina…) ho visto brillare al buio le lucciole (non potevano mancare le lucciole nella sua infanzia magica) e ho sentito l’abbaiare dei cani, ho tremato di emozione davanti ai tramonti rossi dietro il Gran Sasso, ho guardato i granelli di sabbia al microscopio, ho preso otto in latino e letto il Roversi (ce l’ho anch’io! Veramente ce l’ha un sacco di gente), ho suonato al Tortuga e ho trascorso le notti ad ascoltare Radio Lussemburgo. Ho seguito clandestinamente il corso monografico su Svevo all’Università per stranieri di Perugia; ho conosciuto il vichingo norvegese che mi ha presentato il signor Robert Allen Zimmerman, ho studiato come una matta e ho fatto le ore piccole al piano bar in Via dei Priori. Mi sono trasferita a Roma e ho condiviso l’appartamento di studenti con mio fratello e mia sorella, che si disperava perchè con quella chitarra le toglievo la concentrazione necessaria ai suoi studi, mi sono presentata timidamente, ma con una certa convinzione, al Folkstudio e alla fine sono riuscita a cantare e suonare il piano con la faccia rivolta al pubblico, e non al muro, ho cantato-suonato-studiato e infine ho raccolto i frutti di tutto questo incessante ed entusiasmante fare. Mi sono laureata in medicina, ho dato l’abilitazione, ho intravisto da lontano, ma ho distolto lo sguardo per discrezione, un giovane uomo innamorato, pronunciare promesse d’amore lungamente mantenute, sono stata assunta come venticinquista all’Ospedale Santo Spirito e, un mese dopo, ho pubblicato il mio primo disco.


Ma non è finita qui: ho conosciuto tutti i componenti della famiglia, ho potuto finalmente capire (per me è fondamentale avere dati certi) quale fosse il nonno del mandolino (Osvaldo, nonno paterno) e quale il nonno “americano” (Domenico, nonno materno); i ragazzi L. hanno preso i nomi dei nonni, una tradizione che ha voluto onorare anche Mimmo, dando al primogenito il nome di suo padre, Guido, il veterinario-cantante. (L'anomalia è proprio nei cromosomi.) Ho visto le terre dei nonni, i tori, la bella casa della piazza, i campi di grano, le libellule conservate nel cloroformio dalla "famosa" zia Elsa, allora laureanda in biologia, di cui Mimmo leggeva i libri; mi son letta, non senza fatica, Bertrand Russel e Marcuse, e ho fatto anche molto di più: ho collezionato i proverbi del nonno Domenico, che il nipote ha ricevuto come eredità (uno in particolare gli ho sentito usare diverse volte: Corre l'acqua per l'orto, e glielo rubo immediatamente, perchè con l'arrivo di queste pagine, per il quale benedico il meraviglioso servizio che è il prestito interbibliotecario, un po' d'acqua è corsa anche per il mio orticello, fornendomi due spunti di scrittura...) ho fantasticato su quello che Mimmo non dice, sulle altre figure della sua vita di cui non parla, e poi, poi sono stata, per lo spazio della lettura e anche per quello della scrittura, terribilmente felice, anche se per me la felicità è uno stato si, raggiungibile con poco, ma molto effimero, mentre per Mimmo, che ha saputo tracciare bene le sue rotte, e seguirle meglio, pare essere, o almeno essere stato, un fatto permanente. Per questo io lo frequento tanto, perché la felicità è contagiosa, e fa bene frequentare gente felice, anche a distanza, anche senza nessun contatto diretto. Datemi retta: non limitatevi alle sensazioni che vi riporto io: se non l’avete ancora fatto, leggetevi un po’ di Mimmo, un po' di quel poco che c'è, che vi farà bene.


Non son capace di rinunciarvi, io, ai parallelismi: Mimmo a sei anni, se avete studiato bene ormai dovreste saperlo, lesse con trasporto, pur con la scarlattina, (aiuto! mi viene in mente un altro, che ha avuto la scarlattina, però da grande: non oso pensare cosa possa aver fatto per trascorrere al meglio il tempo, non so se sappia leggere…) un grande tomo illustrato delle favole di Perrault. Lui era in seconda, a sei anni, sapeva leggere molto speditamente. (Mi levo un sassolino dalla scarpa: io quelli che hanno fatto la primina li ho sempre invidiati molto: era questione di status, come il microscopio, o il pianoforte... o la fortuna di avere una mamma tedesca e di essere perfettamente bilingue.)


Io, a sei anni, in prima, lessi invece un libretto, comprato con mia mamma all’Upim vicino alla mia casa di allora, intitolato Trottolino: il primo della mia vita di nata per leggere (non necessariamente per capire tutto...). Aveva una bella copertina rosa di cartoncino, su cui era raffigurata una pecora, con suo figlio, un agnellino di nome Trottolino. (Nella formazione di certe bambine sarde di origine barbaricina le pecore hanno un ruolo fondamentale, per questo poi non riescono a cibarsene.) Mi piacerebbe poter sostenere di averlo letto quando ero a letto con la varicella, che ho avuto proprio a sei anni, ma purtroppo non posso affermarlo con certezza, e mentire su fatti così seri non mi piace.

martedì 7 settembre 2010

UN ASSO IN LATINO: IL COMPITO IN CLASSE DI UNA PROF A TEMPO DETERMINATO







Ho seguito una traccia, che mi ha portato dritta alla fonte: alcune pagine di Mimmo Locasciulli all’interno di una pubblicazione più ampia. Non anticiperò nello scritto odierno di che cosa si tratti, e neppure parlerò diffusamente del contenuto. Questo non tanto per suscitare curiosità e suspence nel mio minuscolo “parco lettori”, quanto perché ne verrebbe fuori un pezzo chilometrico. La prossima puntata del feuilleton svelerò traccia e fonte, che certe belle cose non sono da tenere solo per sè. Per ora mi limiterò a dire che, come sempre, l’aver recuperato una testimonianza non mediata, ma di prima mano, cioè uno stralcio di vita di Mimmo Locasciulli scritta da lui medesimo, mi ha dato qualche momento di felicità pura. L’ho già detto altre volte, ma mi piace rimarcare questa mia capacità di saper gioire di piccole cose: in certi casi ho le stesse reazioni di una bambina, non viziata, dei miei tempi, davanti a un dono lungamente desiderato.

Nel corso della mia attenta e rapita lettura, scopro che Mimmo al liceo era un asso in latino, aveva otto negli scritti, anche se un anno fu rimandato a settembre perché non studiava la letteratura. Aveva due: otto più due, la somma la sa fare anche una come me che aveva appunto, otto in latino, scritto e orale, ma due in matematica, fa dieci. Dieci diviso due fa cinque, (so fare anche le divisioni semplici) voto col quale sicuramente l’insegnante volle spronare lo studente discontinuo e poco disposto a soggiacere alle regole, anche allo studio della letteratura, rinviandolo a settembre.

Questa notizia mi ha dato lo spunto per divertirmi un po’. Mi è venuto in mente di assegnare tre versioni di latino all’Asso in questione, e ho pensato a tre autori, che potessero avere connessioni con tre aspetti della sua vita, tutti importanti. Mi sono messa a lavorare di buona lena, e ho individuato tre personaggi della letteratura latina molto noti, ciascuno per la sua sfera di competenza. Nessun autore poco conosciuto, o conosciuto solo da latinisti, nessuna ricerca di effetti speciali. Il primo è Aulo Cornelio Celso, vissuto nella prima età imperiale, erudito, enciclopedista, di cui ci è giunta un’opera che si intitola De medicina composta di otto libri. Se Celso fosse egli stesso medico, non è del tutto certo. Il settimo e l’ottavo libro trattano di chirurgia.



Il piccolo brano scelto, tratto appunto dal settimo libro,La *chirurgia : libri 7. e 8. del De medicina / A. Cornelio Celso ; testo, traduzione, commento a cura di Innocenzo Mazzini. - Macerata : Università degli studi ; Pisa [etc.] : Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 1999. - 385 p. ; 24 cm. ((Testo orig. a fronte. - Seguono appendici. riporta un elenco delle caratteristiche che un chirurgo debba possedere per esercitare al meglio la sua arte. Da allora la chirurgia si è molto evoluta, e al chirurgo per fortuna non si richiede più di essere adulescens

Esse autem chirurgus debet adulescens aut certe adulescentiae propior; manu strenua, stabili, nec umquam intremescente, eaque non minus sinistra quam dextra promptus ; acie oculorum acri claraque; animo intrepidus ; misericors sic, ut sanari velit eum, quem accipit, non ut clamore eius motus, vel magis quam res desiderat properet, vel minus quam necesse est secet; sed perinde faciat omnia, ac si nullus ex vagitibus alterius affectus oriatur.


Il secondo brano è tratto dal Laelius: De amicitia di Cicerone. La scelta è caduta su quest’opera, perché il Nostro Amico da una grande importanza a questo valore e sentimento, e sicuramente in un rapporto di amicizia vero rivela doti di accoglienza e generosità e condivisione (non solo della cantina e della mensa, ma di piacevoli disquisizioni, di attenzioni, di cure, di ascolto, di rassicurazioni, di risate). Anche qui la parte selezionata è quella in cui l’illustre oratore enumera quali debbano essere le qualità di un buon amico. La versione è un po’ più impegnativa, il latino quello classico ciceroniano.

Firmamentum autem stabilitatis constantiaeque est eius, quam in amicitia quaerimus, fides ; nihil est enim stabile, quod infidum est. Simplicem praeterea et communem et consentientem, id est qui rebus isdem moveatur, eligi par est. Quae omnia pertinent ad fidelitatem ; neque enim fidum potest esse multiplex ingenium et tortuosum ; neque vero qui non isdem rebus movetur naturaque consentit aut fidus aut stabilis potest esse. Addendum eodem est, ut ne criminibus aut inferendis delectetur aut credat oblatis, quae pertinent omnia ad eam, quam iam dudum tracto, constantiam. Ita fit verum illud, quod initio dixi, amicitiam nisi inter bonos esse non posse. ...
Accedat huc suavitas quaedam oportet sermonum atque morum, haudquaquam mediocre condimentum amicitiae. Tristitia autem et in omni re severitas habet illa quidem gravitatem, sed amicitia remissior esse debet et liberior et dulcior et ad omnem comitatem facilitatem proclivior.

Infine, come non pensare, trattandosi di assegnare un compito a Mimmo, di rendergli il lavoro un po’ divertente, magari proponendogli di tradurre una ricetta tratta dal De re coquinaria di Apicio? Leggere quest’opera è un’autentica avventura che consiglio anche a chi non abbia alcuna confidenza con il latino. Ho scoperto il lavoro, rigoroso, e al contempo di piacevole lettura, di un autore che, guardacaso, oltre che storico é anche medico, e, guardacaso, è più o meno coetaneo di Mimmo, e ha studiato a Perugia. (Continuo a navigare nel mio mare di coincidenze.) Nel libro
I *cibi di Roma imperiale : vita, filosofia e ricette del gastronomo Apicio / Gianni Gentilini ; con l'edizione critica del De re coquinaria. - Milano : Medusa, [2004]. - 608 p., [16] c. di tav. : ill. ; 25 cm. si ricostruiscono la vita e il periodo storico di Apicio, che visse verosimilmente nel primo secolo dopo Cristo, mentre il De re coquinaria che è pervenuto fino a noi è probabilmente un rifacimento del quarto secolo, di un’opera di molto anteriore.



Ci si immerge in un mondo molto diverso dal nostro per certi aspetti, e si rimane colpiti dalla grande varietà di pietanze e condimenti, alcuni certo poco adatti ai nostri gusti, e anche dal fatto che nel ricettario, compaiono molti piatti a base di animali, volatili in particolare, ma non solo, che oggi nessuno si sognerebbe di cucinare. Mi viene da pensare ai leggiadri fenicotteri che colorano di bellissime nuances di rosa i nostri stagni, poveretti, spennati spellati e sbollentati, e conditi con ogni genere di spezie e liquamina. Oppure ai ghiri. Certo dovevano essere piatti per classi alte, cibi per una ristretta cerchia, non per il popolo che come al solito si doveva accontentare di cibi meno rari e raffinati, anzi improntati a una certa semplicità e rusticità.

Per Mimmo ho scelto una ricetta di Ventricula, cioè stomaco di maiale ripieno. Roba per palati robusti, ma insomma, una ricetta abbastanza normale, paragonata ad altre. Spezie a parte, nel ripieno di alcune versioni della cima alla genovese ci sono ingredienti (carne trita, cervello, uova) comuni a quelli della ricetta di Apicio.



Ventricula
1) Ventrem porcinum : bene exinanies, aceto e sale, postea aqua lavas, et sic hanc impensam imples : pulpam porcinam tunsam tritam, ita ut enerviata commisceas cerebella tria et ova cruda, cui nucleos infundis et piper integrum mittis et hoc iure temperas. Teres piper, ligusticum, silfium, anesum, gingiber, rutae modicum, liquamen optimum et olei modicum. Reples acqualiculum sic ut laxamentum habeat, ne dissiliat in coctura. Surclas, ambas, et in ollam bullientem summittis. Levas et pungis acu, ne crepet. Cum ad dimidias coctum fuerit, levas et ad fumum suspendis ut coloretur. Et denuo cum perelixabis, ut coqui possit, deinde liquamine, mero, oleo modico temperabis, et cultello aperies et cum liquamine et levistico adponis.
2) Ventrem ut tostum facias, in cantabro involve, postea in muriam mittis et sic coque.


Nella cucina sarda dei pastori veniva preparato un piatto a base di stomaco di pecora riempito con il sangue dell'animale (‘entre ‘e samene in lacune zone, in altre frente, o zurrete) e formaggio pecorino fresco, menta, tocchetti di pane raffermo e, nella versione di lusso, gherigli di noce. Cucito a dovere, si faceva bollire. Si serviva tiepido, tagliato a fette. Mia madre racconta che era una vera prelibatezza. Credo che sia quasi del tutto caduto in disuso, forse riportato in auge in qualcuno di quei pranzi per turisti preparati dai pastori, che tanto successo riscuotono oggi, o riservato a occasioni particolari.

La
Folgorata che ha deciso di mostrarsi senza pelliccia e senza occhiali da sole. Un po’ la faccetta da maestrina ce l’ha. Corre un rischio non da poco nel mostrarsi, perché Mimmo studente, seppur ricco di talenti, era un po’ discontinuo, e il suo profitto dipendeva anche dalla faccia dei professori: se non gli andava a genio, prendeva in antipatia la materia, rendeva poco. Qui si gioca d’azzardo, quindi F. non ha problemi a metterci la faccia, la faccia di una che ha una voglia matta di essere professoressa di latino per lo spazio di un post, e non di una classe scalmanata, ma di un allievo un pochino anomalo. Che bello per una volta vestire i panni di professoressa di latino di Mimmo, prof che, poverina, purtroppo non potrà mai sapere se l’allievo avrà intanto letto il compito assegnato, se lo avrà svolto, se avrà tradotto all’impronta o con l’aiuto del vocabolario, se avrà barato andando a cercare le opere con il testo tradotto, e soprattutto se avrà gradito la scelta, fatta dalla professoressa occasionale, in funzione dell’allievo un pochino anomalo. Chissà. Da queste parti su tutto aleggia il più cupo mistero, la più totale incertezza, e, brancolando nel buio, è facile andare a cozzare contro qualche spigolo. Lividi a parte, quanto però è più affascinante, ciò che è oscuro, incerto e misterioso!

giovedì 2 settembre 2010

QUANDO IL DOVERE ISTITUZIONALE COINCIDE CON UN INCOMMENSURABILE PIACERE

In tutte le occasioni in cui il nostro artista, protagonista di questo piccolo spazio virtuale, è stato in procinto di esibirsi, ho, “per dovere istituzionale” dato rilievo alla notizia, prendendo spunto dai concerti per allargare il discorso, e per dare libero sfogo alla mia consueta, compulsiva fame di scrittura. Rifletto spesso su queste mie “compulsioni”: lettura, scrittura, in particolare legata a questo blog, ma non solo, talvolta cibo, talvolta, ahimè, spinta irrefrenabile a fare una certa cosa, immediatamente, quando sarebbe molto meglio fermarsi ed aspettare lo svolgersi degli eventi, con calma e distacco, e poi ancora musica, in particolare quella del nostro amico, diventata in quest’ultimo anno onnipresente nella mia vita. Per quanto sia del parere che la dipendenza, quando come tale il soggetto che ne è portatore, la percepisce, non sia mai un fatto positivo, (anche se già averne coscienza lo è), mi sembra che in fondo parte delle mie compulsioni costituiscano una forma di disturbo benigno, per tutti gli effetti collaterali positivi che portano con sé, di gran lunga superiori a quelli negativi. Ci riflettevo mentre, in fila a uno sportello di lottomatica per pagare il bollo della macchina, vedevo davanti a me delle persone, donne, anziane, di condizione modesta, che spendevano quello che a me sembrava uno sproposito per rincorrere un sogno molto difficilmente realizzabile, o, dall’altro lato del locale, uomini, sconfitti, non riuscire a dire basta, ma ancora ancora e ancora una volta ancora, mentre, con lo sguardo perso, nutrivano delle pericolose slot machines con enormi quantitativi di monete. C’era la fila, una fila incalzante, per cui tutto questo era un rito da consumare velocemente, perché dietro, un altro uomo, aspettava di nutrire il mostro fagocitante. Mi sono spaventata a vedere gente che trascorre il suo tempo davanti a una slot machine, davanti a quel nulla sterile, alla noia, all’insoddisfazione, alla totale mancanza di interessi, di senso. Mi ha colpito la rigida divisione tra i sessi: maschi alle macchinette mangia soldi e femmine schiave del lotto. Dopo sono rientrata a casa e, come mio solito, a proposito di rituali compulsivi, ho fatto il consueto giro tra sito di Mimmo e sito di Carta da musica, trovando in entrambi questa volta una notizia interessante, (reperibile anche da altre parti) ma essendo dipendente dalla scrittura, nonostante ciò (fino a che punto io sarò meglio di quelli che guardo con orrore???) indosso le vesti istituzionali, rigidine e paludate, e sono molto felice di comunicare che Mimmo Locasciulli parteciperà, il giorno 4 settembre, sabato, alle ore 21,00 a una manifestazione con fine benefico, che si chiama Music and friends, alla sua seconda edizione, che si svolgerà a Nespolo, un paesino di montagna della Sabina, in provincia di Rieti, ma vicino vicino alla provincia dell’Aquila. Io come al solito ho imparato una cosa nuova: non sapevo, ma credo tanti con me, che esistesse, questo paesino, dal nome curioso, ma quanti ad esempio, fuori dai confini isolani sanno che esiste un paese chiamato Magomadas, o Tadasuni, dove, per inciso, c’è un piccolo museo di strumenti musicali tradizionali, o Pompu? (cito intenzionalmente nomi particolari). Mi sono anche domandata come mai, la manifestazione avesse come sede questo paesino, e ho trovato la risposta nel comunicato trovato appunto su Carta da musica, che riporto integralmente, perché mi pare soddisfi molto bene questa e altre curiosità. Mi sono permessa di inserire un link, http://www.sindrome-eec.it/ che fornisce informazioni sulla rara patologia sulla quale si incentra quella che come abbiamo detto, è una serata di solidarietà. Spero vivamente riscuota un grande successo e che le offerte libere siano molto generose.

MIMMO LOCASCIULLI A MUSIC AND FRIENDS
Dopo il grande successo ottenuto il 31 agosto 2009 a Campo Volo di Fossa (AQ) in occasione del concerto per l'Abruzzo, con la presenza di alcuni fra i migliori artisti italiani, Music and Friends, un'iniziativa ideata da Nicky Nicolai e Stefano Di Battista, promuove quest'anno un secondo appuntamento sui temi della solidarietà con musica e spettacoli, a Nespolo, piccolo paese dell'alta Sabina, a pochi chilometri da Carsoli (AQ).
La serata di raccolta fondi (a ingresso gratuito) focalizzata sui problemi lagati alla ricerca delle malattie rare dei bambini e in particolare della sindrome di EEC (nel linguaggio medico EEC sta per Sindrome Ectrodattilia-diplasia ectodermica-palatoschisi, malattia lesiva di molte parti dell'organismo), è dedicata a Beatrice, bimba nespolese di quattro anni, che purtroppo è affetta da EEC.
"Lasciare spazio alla creatività jazz di tutti quegli artisti che ne prenderanno parte e regalare così una serata semplice e coinvolgente - afferma Stefano Di Battista - è per questo che si impegna la nostra associazione Music and Friends ed io personalmente perché credo fortemente che la musica possa dare senso alle cose, anche alle più dolorose, e che l'arte come gioia aiuti moltissimo, anche nel concreto."
Sul palco si alterneranno musicisti e cantanti come Nicky Nicolai, versatile interprete di brani jazz e pop, Stefano Di Battista sassofonista fra i più noti, il cantautore Mimmo Locasciulli, Fabrizio Bosso grandissimo jazzista di fama internazionale, Roberto Tarenzi al pianoforte, Roberto Pistolesi alla batteria, Francesco Puglisi al contrabbasso, Walter Ricci raffinato e giovane crooner e ancora ospiti a sorpresa, tra questi gli Zero Assoluto.
Gli artisti, particolarmente sensibili a questa problematica, interverranno a favore dell’AIEEC, associazione che, con l’aiuto di Telethon, si occupa della ricerca su questa malattia rara.
"Non essere abbandonati al proprio singolare destino attraverso la presenza affettuosa degli altri aiuta a far rinascere il sentimento della speranza in quelle persone così duramente colpite dalla realtà - dice Nicky Nicolai - sono orgogliosa di essere fra i promotori di questa iniziativa, solidale con i genitori di Beatrice e spero continui negli anni con questo spirito di umanità. Sono molto felice anche per il luogo dell'evento, Nespolo, paese d'origine di mia madre Flora, nome che ho dato insieme a Stefano alla mia bambina".
L'iniziativa è realizzata dal comitato dei festeggiamenti pro Nespolo Sabino che ricorda nell'occasione anche la festività di antica tradizione popolare legata alla Madonna delle Grazie e a San Vincenzo.

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