Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

giovedì 29 luglio 2010

UN INTERESSANTE FONDO DELLA DISCOTECA DI STATO


Mi è capitato di recente, in una occasione legata al lavoro, di sentire una conversazione di un signore che lavora all’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi, http://www.icbsa.it/ex Discoteca di stato, istituto che con questo nome continua ancora ad essere chiamato e conosciuto. La conversazione verteva sul diritto d’autore, in particolare le norme che regolano la riproduzione dei beni sonori e audiovisivi, materia quanto mai difficile e scivolosa e ancora regolata da una vecchia legge del 1941, la n.633, seppur con i numerosi aggiornamenti successivi. Questo signore si distingueva per il modo piacevole, non cattedratico, non ingessato, ma al contempo preciso e puntuale di esporre.
Mi è venuto in mente, ascoltandolo, che potesse esserci una qualche relazione tra lui e Mimmo, e riflettendoci un momento, ho trovato il possibile legame: mi sono ricordata di aver trovato in passato, forse all’inizio di questo lavoro, delle notizie su alcuni nastri registrati contenenti alcune canzoni di Mimmo, custoditi presso la Discoteca di stato. Avevo dedicato alla questione qualche riga in un commento, en passant, senza approfondire. Non mi ero stranamente posta il problema di come quelle registrazioni, probabili provini dal vivo, su nastro magnetico, fossero arrivate a far parte del patrimonio dell’Istituto.
Dopo aver sentito l’intervento, tornando a casa ci riflettevo, e cercavo di darmi delle risposte, che non avrei tardato a trovare. Ecco chiarito il mistero. Il signore della piacevole conversazione, Luciano Ceri, che lavora (così apprendo dal sito) al settore catalogazione dell’istituto, non fa solo il funzionario pubblico, bensì è giornalista e autore di libri legati alla musica, musicista e cantautore egli stesso, autore e conduttore radiofonico, nonché appassionato collezionista di dischi.
Non è finita qui. Anche lui frequentava il Folkstudio, di cui qui abbiamo parlato diverse volte, perché è stato, se non la culla, il primo lettino della formazione musicale cantautorale di Mimmo, e non solo, come ben sappiamo. Certo è nel suo cuore: penso che gli brillino gli occhi, quando ne parla, come penso brillino anche ad altri suoi amici e conoscenti che lì hanno le loro radici musicali, ma anche ricordi personali, intrecci di idee e sentimenti.
Mi permetto una considerazione: tutti quelli che hanno avuto a che fare con il Folkstudio, in quegli stessi anni in cui lo frequentava Mimmo, e non mi riferisco solo ai notissimi che hanno avuto il grande successo e la notorietà che dura tuttora, sono o sono state persone dalle menti fervide e dalle attitudini poliedriche, come se quel luogo, attraendo il meglio della gioventù dell’epoca, ne incanalasse le energie e le qualità e le rendesse amplificate. Insomma uno strano scambio molto stimolante, che vedeva coinvolta gente che, seppur nelle differenze, era unita da un sentire comune, da un comune senso di appartenenza, come usa dire Mimmo.
Indagando, dunque ho presto scoperto che i nastri con le canzoni di Mimmo non sono alla Discoteca di stato per caso, ne’ sono un’acquisizione peregrina, slegata da un contesto, ma fanno parte proprio di un fondo, l’Archivo Folkstudio, appunto, che nel 2002 è pervenuto alla D.d.s, proprio grazie alla precisa volontà di Luciano Ceri. Procediamo con ordine: Giancarlo Cesaroni, il fondatore del locale romano, aveva raccolto una ricca collezione di dischi, nastri, materiale visivo, foto e manifesti legati alla non breve vita del locale, che nasce intorno al 1960 e termina la sua attività alla morte di Cesaroni, avvenuta nel 1998. La paternità del locale e quindi la proprietà di questo ricco materiale era dell’Associazione Folkstudio 88, ridotta alla fine a un solo socio, che da solo non poteva certo continuarne l’attività. Si decise di estendere ad altre persone la partecipazione all’associazione, davanti a un notaio. Tra i nuovi membri c’era lo stesso Ceri, e l’assemblea dei nuovi soci decise di donare alla Discoteca di stato tutto il materiale, al fine di non smembrarlo e renderlo fruibile al pubblico gratuitamente.
Mimmo Locasciulli, dal quale prendiamo spunto per trattare questo argomento, è un piccolo segmento dell’archivio, la cui parte più importante è costituita dai nastri sui quali erano stati registrati alcuni dei concerti che si tennero al Folkstudio. Molto ben rapprensentate all’interno del fondo sono, per usare le stesse parole di Ceri, le tre linee d'azione sulle quali il Folkstudio muoveva la sua attività di ricerca e di proposta,vale a dire: la musica popolare,il jazz e la canzone di qualità o d'autore come la vogliamo chiamare.


Tutto questo materiale è stato studiato e catalogato ed è disponibile per chiunque necessiti consultarlo per fini di studio, o anche di semplice curiosità da appassionato. Vengo a sapere che una ragazza ha preparato una tesi proprio sul Folkstudio, consultandone l’archivio alla D.d.s. e forse a lei avrà fatto seguito anche qualcun altro, essendo ormai la notizia che me lo testimonia non più recentissima.
Prima o poi capiterà che qualcuno dedichi uno studio serio, naturale conseguenza e momento finale di un percorso di studi universitari, al mio artista preferito.
Nel 2002, alla Discoteca di stato (anche se ha cambiato nome e ampliato le sue funzioni e la sua sfera di competenza, anch’io mi adeguo alla consuetudine a continuo a chiamarla così) c’è stata una conferenza stampa di presentazione dell’Archivio Folkstudio, alla quale non so se Mimmo abbia partecipato fra il pubblico, perché ho trovato tra i relatori alcuni suoi colleghi, ma non lui.


Nell’Opac (acronimo che significa On line public access catalogue, catalogo in rete) del Icbsa è possibile avviare una ricerca, partendo dalla parola chiave archivio Folkstudio, e trovare visualizzati 400 risultati. Tra questi, e in questa sede è ciò che ci interessa maggiormente, dei nastri (che sono poi stati digitalizzati) contenenti alcuni brani di Mimmo Locasciulli, per voce e chitarra, forse (lui ci potrebbe chiarire di cosa effettivamente si trattasse) dei provini, un momento preparatorio a una eventuale successiva pubblicazione, probabilmente risalente al 1975. Ci sono alcune canzoni come A Rocco e Non rimanere là, che poi sono confluiti nel primo album di Mimmo, Non rimanere là, quello uscito proprio con l’etichetta Folkstudio, nel 1975, cui lui è profondamente legato. (Anch’io, sono molto dispiaciuta di non averlo conosciuto negli anni settanta, Mimmo, ma lo dico adesso, da cinquantenne: non so cosa avrebbe potuto pensarne l’adolescente di allora) e ci sono La mia gente se ne va, e Quasi un’altra città, che poi sono state inserite, con differenze nel testo, a quanto apprendo (e anche nel titolo, Quasi un’altra città diventerà Canzone per Nadia, il primo 45 di Mimmo) nel secondo album di Mimmo, (quello che io non ho mai sentito, la mia maggiore lacuna, spero prima o poi colmabile) Quello che ci resta. Ci sono delle altre canzoni di Mimmo, una si intitola Marilù (sentirla mi avrebbe permesso di aggiungere un piccolo tassello al mio post sulle canzoni di Mimmo dedicate alle donne, o meglio che avessero nel titolo un nome femminile) una Paradiso, e l’ultima Io non ti chiedo, che sono degli inediti. Quest’ultima è interrotta da Mimmo prima della fine naturale del pezzo. Cosa sarà accaduto? Che ricordo avrà il nostro artista di quella circostanza?
Vale la pena entrare e curiosare un po’ nel sito dell'Istituto, come vale la pena curiosare nel catalogo. Il materiale è consultabile, anzi ascoltabile. Si consiglia di prenotare, per telefono o via e-mail, soprattutto per il materiale non ancora digitalizzato, custodito nei magazzini: così si arriva e lo si trova disponibile per l’ascolto, e non si attende. La Discoteca di stato, mi pare proprio un istituto interessante, la memoria storica delle voci celebri del nostro paese, perché questa fu la prima finalità dell’Istituto, al momento della sua fondazione, nel 1928:costituire l’archivio delle voci. In un secondo momento divenne luogo deputato a conservare tutto ciò che documentasse il patrimonio sonoro e visivo nazionale; all’interno dell’Istituto, con una legge del 1999, è stato istituito un museo nazionale dell’audiovisivo, MAV (dal MOMA al MADRE al MART, a mille altri musei e altri istituti culturali ormai sono designati con acronimi e non col nome per esteso) che troverà (o ha già trovato, non ho capito bene se siano completati i lavori di restauro: trattandosi di strutture pubbliche i tempi non sono mai brevi, e spesso slittano di molto rispetto alle previsioni) ospitalità all’interno del Palazzo della civiltà italiana, all’Eur. Fa infatti parte del patrimonio dell’istituto una ricchissima raccolta di supporti, dai tardo ottocenteschi cilindri, ai 78 giri che sono rimasti in uso fino alla fine degli anni cinquanta, quando hanno iniziato a diffondersi i 33 giri, ai nastri e ai moderni supporti digitali che ci accompagnano oggi, nonché gli strumenti per l’ascolto, e immagino un ricco corredo di foto e manifesti d’epoca.
Se n’è fatta di strada dai 78 giri a oggi: non dico a caso, 78 giri, ma intenzionalmente, perché Mimmo, a casa sua, una casa dove come sappiamo, si ascoltava molta musica, da bambino ha visto e ascoltato quelli che ormai sono pezzi di antiquariato. Me lo vedo, quel salotto di casa Locasciulli degli anni cinquanta: il pianoforte, le fotografie, il grammofono, i 78 giri. Il piccolo Mimmo con la scarlattina, che non gli toglie la voglia di divorare le favole di Charles Perrault (si vedeva fin d’allora, che aveva stoffa, il piccolo malato che non stava a sedere nel suo lettuccio di malinconia, ma approfittava della malattia per leggere) la mamma che corregge i compiti, una commedia alla radio, la fiamma del camino e un cane che scodinzola sul tappeto. Ci manca solo Loreto impagliato e qualche merletto e siamo a posto, in pieno clima gozzaniano un bel po’ di decenni dopo. Magari quel salotto era minimalista ante litteram, la casa appena costruita e io come al solito mi faccio i film…

venerdì 23 luglio 2010

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO D'AMORE

I diversi lati dell’amore nelle canzoni di Mimmo Locasciulli.

Mimmo ha scritto moltissime canzoni d’amore, come tanti altri, perché l’amore, si sa, ispira molto. Banalmente si potrebbe dire che è il sale della vita, ma a quello che sembra un luogo comune, corrisponde una profonda verità. Il sale della vita, dunque: a volte sale sulla ferita, ma a volte, come dice Mimmo, il dolce nell’amaro. Mimmo ama scrivere canzoni d’amore, anche, per riportare concetti suoi, sulla scorta di una storia raccontata, di un film visto, o di suggestioni che gli possono derivare semplicemente vedendo passare delle persone. Il tutto filtrato dalla sua sensibilità personale. La tentazione potrebbe essere forte, ma non è dato sapere, ne’ ci pare corretto indagare oltre, anche in possesso di elementi che non abbiamo, quanto di suo, realmente vissuto, o sognato, ci sia nelle sue canzoni d’amore. La tentazione è forte, questo in generale, non riferito in particolare a Mimmo, perché spesso, non solo quando ascoltiamo delle canzoni, ma anche nel leggere un romanzo, indugiamo su questo pensiero, ci domandiamo se effettivamente quelle storie lì, l’autore le abbia realmente vissute, se siano autobiografiche. Non ci deve interessare, noi lettori, o noi attenti ascoltatori di canzoni, quest’aspetto, a meno che non sia l’autore stesso ad abbandonare remore e pudori e a dircelo chiaramente. Negli altri casi ci basti sapere che sempre chi scrive mette, se non fatti realmente accaduti, un po’ di sé nelle sue opere, un po’ dei suoi sentimenti, della sua sensibilità: qualcosa trapela sempre anche quando le storie siano quanto di più lontano possibile, in apparenza, dalla vita di chi le ha scritte. Se qualcuno che non conosce Mimmo Locasciulli mi chiedesse di raccontargli in poche parole un frammento di discorso amoroso locasciulliano, gli risponderei un grande bisogno di dare, più che di ricevere, un continuo desiderio di infondere calore, di riscaldare braccia fredde, di proteggere, di coprire occhi dormienti dalla luce che filtra dalla tendina. Un abbraccio tenero e avvolgente, con gli occhi chiusi. Il massimo che ci si possa aspettare, oltre questi abbracci, saranno baci: il resto ce lo possiamo solo immaginare, perché Mimmo non vuole essere troppo esplicito, quando parla d’amore, ma ci dà delle immagini sempre di grande tenerezza e delicatezza. Eccone un esempio in una canzone di una purezza e di una bellezza senza pari (o meglio pari solo ad altre canzoni di Mimmo) appena incrinata da un titolo che non le rende merito, Adesso che tutto è ok.

E tu come un fiore che nessuno ha colto ancora
Che lo tiri per la mano perché giunga la tua ora,
Lui ti prenderà, ti colorerà
Foglia su foglia tutti i giorni che gli darai
Ad occhi chiusi col tempo che non passa mai.

O ancora emblematica in questo senso, questa parte di Canzone a mio nonno
Gli ha dato la mano e gli ha detto di sì
E così lui se l’è portata via
Nel cielo nel vento nella primavera
E dopo la notte dopo il paradiso
Un po’ per usanza un poco per ingenuità
Lei gli disse "Adesso prenditi la mia vita
È giusto che appartenga a te"

E ancora in Dicembre

E io ti volevo qui vicino
Coprirti le braccia dal freddo del mattino.
Dicembre è il gelo che non si scioglie sotto il sole
Io ti volevo dire ma non c’erano le parole.

Ne I giorni delle rose, ci sono alcuni versi che mi piacciono molto perché io li intendo in un modo, che, magari, non è come spesso accade, quello che l’autore intendeva. (Mimmo usa spesso la metafora della macchina guidata da un ubriaco, si sa da dove parte, ma non dove potrà arrivare: io preferisco dire che c'è una chiave diversa di lettura per ogni "fruitore" e di questo l'autore deve prendere atto). Io ci ho letto la speranza, ma meglio, la volontà, di far durare un amore oltre la passione giovanile, perché un amore non solo quello è, ma come ha detto bene qualcun altro, qualcosa che, anche, si costruisce e si innaffia.

Verranno i miei capelli bianchi e le mie mani sui tuoi fianchi
E il vino in fondo al mio bicchiere avrà il tuo stesso bel sapore
"Ça c’est la chanson de mon coeur pour toi
Ça c’est moi
E la malinconica tenerezza de L’autunno dopo tutto, di un uomo che mentre il suo amore, l’amore di una vita, si intuisce, dorme accanto a lui, ignara, si lascia andare a una confessione silenziosa.

Quando spegni la luce io ti guardo dormire
Ti trasformi in un angelo e io comincio a parlare
E ti dico le cose che non saprei come dire
E che forse neanche tu vorresti sentire
Sono i miei segreti desideri semplici
Confessioni e pentimenti che mi tengo dentro di me

E dopo queste parole non sarò certamente io a spezzare l’incanto e a commentare.

La recente La disciplina dell’amore, che contiene un assioma che riguarda Mimmo in altri campi, ma a quanto pare (non invento, l’ho letto in un’intervista: l’amore deve avere le sue regole, i suoi codici di comportamento, se ne sei fuori, c’è poco da fare: se uno dei due non rispetta le regole, da quell’amore è fuori) anche in amore.
Ma forse questo era un amore basato su qualche malinteso.
E io ti amata per quello che non sei
E tu mi hai dato le cose che non hai
E non ci sono più parole
Per descrivere
Che cosa sia un dolore

Io ti ho amata per come ti vorrei
E ho ascoltato le cose che non sai
Ma non ci sono più parole
Per tenere in piedi
Quello che ora cade

E ancora tornando un po’ indietro nel tempo, una canzone che mi emoziona molto, davvero coinvolgente, Come viviamo quest’età, in cui ci sono più piani di lettura, ma certo questi versi rendono molto bene la sofferenza d’amore, il senso d'inutilità senza la persona amata.

Vorrei bruciare i miei giorni
Bruciarne ancora di più
E cancellare i contorni
Di quello che non voglio più
Vorrei bruciare le strade
Chiese portoni e caffè
Perché ogni volta mi uccide
Viverli senza di te

Tantissime altre sono le canzoni d’amore di Mimmo, una più bella dell’altra, una più tenera, struggente, appassionata, delicata; solo un rapido riferimento agli altri testi di Clandestina, (oltre la già citata Adesso...) che auspico Mimmo possa un giorno, come aveva dichiarato ormai tanto tempo fa, ripubblicare con un arrangiamento più vicino al suo mondo musicale. Io sono totalmente innamorata di Clandestina, e dire che è stato un amore sofferto: non le volevo neppure ascoltare, quelle canzoni, perché mi suscitavano sensazioni troppo forti e io non ne volevo sentire di soffrire ascoltando canzoni. (Ah, che cuore sensibile e romantico, una vera wertheriana, sono.)

Ma ci saranno delle canzoni di Mimmo in cui l’amore è trattato in modo diverso, con un po’ di ironia, e anche un briciolo di spiritosa malizia, o con un po’ di cinismo? Si, qualcuna c’è. Di una in particolare, che è uno degli evergreen di Mimmo, una di quelle che canta ancora ai concerti, in piedi, con un tamburo a tracolla, e si diverte un sacco, quando la canta, ancora attuale sebbene sia intorno a trent’anni, è la mitica (io non amo molto quest’aggettivo, ma qui ci sta bene) Il treno della notte, con il suo corredo di bottiglie e trombette e quello che volete: chiamatele come vi pare, è irresistibile, questa canzone (Mimmo la scrisse subito aver assunto dosi massive di Tom Waits, che da poco era entrato nella sua vita).

Bambina dolce lasciami arrivare
In qualche stanza d’albergo ti saprò cercare
La mia trombetta è stanca d’aspettare
Fammela suonare fammela cantare
La mia bottiglia non può più aspettare
Fammela ballare ho voglia di te

Un’altra è una delle mie preferite, (saranno un centinaio, le mie preferite) Una vita che scappa, (il testo come sappiamo l’ha scritto Enrico) ma l’interpretazione, e qualche variazione nel testo, quando la canta, sono di Mimmo.
Resta così, fatti ancora sfiorare
lo te lo dico così, per poi poterti baciare

Diventa, in qualche caso,
Io te lo dico così, per poi poterti toccare
E, in un impeto di follia,
Io te lo dico così, ma ci vorrei provare!!!
Sono rimasta molto colpita quando ho sentito questa versione, molto particolare, (di cui ho già ampiamente parlato) e confesso di aver pensato: Era ora che ci provassi, è più di vent’anni che la vorresti baciare, i tempi son maturi per concludere il discorso, che ormai questa benedetta vita ha preso davvero la rincorsa e non possiamo continuare solo a baciarci per tutta la vita!
E che dire della particolare richiesta di aiuto che si trova nella canzone omonima, ma completata da un bel punto esclamativo (AIUTO!) quella che per usare l’espressione del suo ispirato autore, puzza molto di blues, e in cui c’è l’apporto della chitarra di Britti. Molto trascinante, questa canzone, con un tocco diverso, in bilico tra intenzioni un po’ ardite e ardue e la solita tenerezza e desiderio di calore. Comunque a questa ragazza si attribuisce un potere salvifico. Ma sarà davvero una ragazza, quella cui si chiede aiuto! in un modo tanto accorato, o rappresenta la solita metafora che nel nostro amico non sarebbe tanto inconsueta? Ognuno la intenda come crede, che almeno questa libertà, di leggerci le canzoni come ci pare, ce la possiamo prendere: questo mi pare l’unico concetto chiaro.
Certo che l’uomo in difficoltà, ha un sacco di energie, e non vede l’ora di spenderle.

Sto arrivando aspettami
Ti prego non andartene
Stanotte posso spendere
Voglio una notte intera
E non c’è limite
E non mi fa paura
E non c’è un termine
La vita è un’avventura
……..
Ehi se viene il freddo scaldami
Ehi se resto indietro spingimi
Ehi se sono solo prendimi
Chiedi quelli che vuoi
Ma fa’ qualcosa per me

Un po’ birichino, in una canzone dell’ultimo album, Giorno di noia, Mimmo lo è. Conquiste dell’età? La canzone, considerata un po’ la sorella minore tra tante bellissime dell’album,(io ormai dopo tanti ascolti ho deciso: premio L’attesa e Passato presente, che rappresentano le due diverse anime dell’album) è in realtà piacevole e raffinata, e poi mi presenta Mimmo in questa veste inedita e io non posso sorvolare su una cosa così rilevante. Non posso estrapolare solo quel verso, la trascrivo tutta, che è stanca di fare la sorella minore, questa canzone.

E' un giorno noioso d'aprile
Un giorno che vorrei dormire
Senza telefono senza giornali
Senza sentire nessuno
Per non dovere parlare
Della politica e del pallone

Vorrei soltanto dormire
Voglio dormire e sognare
Che non ho niente da fare
Vorrei soltanto sognare
Che poi mi posso svegliare
In qualche posto migliore

Invece è un giorno noioso e crudele
Che ti svegli quando viene la sera
E illumini i tuoi pensieri
E capisci che sei rimasto dov'eri

Vorrei soltanto dormire
Voglio dormire e sognare
Che ho qualcos'altro da fare
Vorrei soltanto sognare
Che c'è qualcosa da fare
Per non morire così

E' un giorno di noia e di pioggia
Che ti vorrei qui vicino
Nel letto a trafficare

Infine una canzone a dir poco stupenda, tratta da un album che è un vero giardino di delizie: I musicisti son così, da (Adesso glielo dico.)
Un po’ cinica, questa canzone, forse l’unica canzone cinica di Mimmo, ma, si sa, i musicisti, son così, senza catene e souvenir…

Non mi va di contare i tuoi capelli
Perché non l’ho fatto mai
Non ho i numeri per contare le stelle
Che mi dai
………
Domani mi sveglierò
E chi lo sa dove sarò
Un’altra stanza e un altro hotel
E un’altra donna come te
Ma i musicisti son così
Gente che prende quel che può
E non si guarda indietro mai
E non asciuga le lacrime
Non scommette con l’amore
Spacca le regole a metà

Si, un po’ cinica, e anche amara, ma i musicisti son così, quindi non illudiamoci troppo, ragazze, se ne incontriamo qualcuno: prendiamo, se vogliamo, quello che può darci, ma non corriamo dietro a sogni, e soprattutto, non corriamogli dietro, che sarebbe sprecare fiato ed energia. I musicisti son così. L’ha detto Mimmo: io credo a tutto quello che dice. Mimmo dixit, ha l’autorevolezza per farlo, lui, (senza bisogno di
essere autoritario.)

sabato 17 luglio 2010

RITRATTO DI UN UOMO

Aspettavo con ansia la data odierna da quando, ben più di un mese fa, avevo saputo che avrei visto Mimmo in Tv, magari per pochi minuti, ma l'avrei visto. In questi casi non posso fare altro che indossare il solito ventaglio di penne (o piume?) di pavone, che già mostra segni di usura perchè, dichiarazioni programmatiche a parte, lo indosso molto spesso, e mettermi a scrivere. Forse avrei dovuto farlo prima, per darne annuncio alla nazione, ma la parte della nazione interessata, lo sa già, e non aspetta i miei proclami. Per farla breve, nella seconda serata di Rai uno, intorno alle 23,45, sarà trasmessa la serata di gala del Premio internazionale del vino 2010, in cui Mimmo, ma non solo lui, una nutrita schiera di cosidetti vip, (alcuni da non perdere) consegneranno gli ambiti "Oscar del vino". Allora io da fan assatanata che cosa faccio? Santifico il mio sabato notte (che di solito trascorro in vesti succinte, appollaiata su un cubo, in una discoteca equivoca) attaccata al piccolo schermo, in attesa che appaia il nume in tutto il suo splendore, per vederlo mentre (già ho la scena davanti) vestito di scuro consegna, con un sorriso e una stretta di mano, il premio a un'azienda toscana rinomata. Forse canterà anche una canzone, scommetto La disciplina dell'amore, e io starò lì buona buona, o magari un po' scalpitante, perchè stasera sono di pessimo umore e in più anche sorda ad un orecchio, completamente "tappato" per usare un termine altamente scientifico, (come il protagonista di un bel racconto di Raymond Carver, che si consola bevendo spumante di pessima qualità direttamente dalla bottiglia: pessima scelta, ma quello non è un fine intenditore, è un alcolista che non va tanto per il sottile...) in attesa che la gentile conduttrice, sempre lei, quella che di me ne fa due, (GRRR) annunci ispirata: "Consegna il premio Mimmo L.".
In genere queste manifestazioni sono un po' noiose, un po' lente, ma oggi mi tocca: la biografa autrice di novanta post (aiuto, fa paura: ma quanto ho scritto? Sempre incinta come la mamma dei cretini...) seppur non accreditata, non può esimersi: semplicemente deve, il ruolo glielo impone. Comunico fin d'ora che terrò per me le sensazioni intime che scaturiranno dal breve incontro con Mimmo, stanotte. Cioè domani all'alba, quando mi alzerò, eviterò, seppur con un certo sforzo, di mettermi a raccontare cosa si è agitato nel mio povero cuore, in questa rovente notte africana piena di zanzare.
E ora eccoci alla parte più interessante dello scritto, che si rifà al titolo.
Ho deciso di inserire su Folgorata uno scritto non mio, ma di un signore amico di Mimmo, che è stato suo produttore musicale per un decennio circa, tra gli ottanta e i novanta, anch'egli personalità poliedrica, mi pare, che si chiama Riccardo Rinetti. Non vorrei sbagliarmi ma mi pare di ricordare che quello della canzone di Sergio Caputo, Io e Rino, (Un sabato italiano, 1983) fosse proprio lui. Almeno così racconta Sergio, (è venuto di recente vicino a Cagliari, Sergio, si è esibito in un piccolo club) che mi ha fatto compagnia, musicalmente parlando, negli anni ottanta e novanta, e che ora vive in California, e per il quale per fortuna non ho avuto neo-folgorazioni, che l'energia non mi sarebbe bastata davvero per seguirne due. Questo signore, del quale sono andata a cercare notizie, imbattendomi nel sito di un Riccardo Rinetti fotografo, che intuisco sia la stessa persona con più emanazioni, ma anche notizie che mi fanno supporre operi nel campo della pubblicità, nonchè che sia, o sia stato, giornalista musicale, ha scritto, un "ritratto" di Mimmo che mi ha profondamente colpito, e al quale voglio rendere omaggio trascrivendolo qui. Non sono andata a scovarlo chissà dove, si trova nel sito di Mimmo, ma non è proprio accessibilissimo: uno deve essere proprio molto molto molto interessato e paziente, altrimenti si ferma prima e lì di sicuro non ci arriva. Non ci arriva neppure se lo metto qui, per i ben noti motivi di calo dell'audience, ma davvero ne sono rimasta conquistata, e ho fatto anche di più: l'ho inviato per posta elettronica a un' amica (una sola, quella a cui posso raccontare senza timore anche i segreti più inconfessabili, con lo stesso entusiasmo dell'adolescenza: in fondo non è cambiato niente) che conosce la mia condizione di mimmotica grave, per condividere un tale piccolo gioiello. C'è tutto Mimmo, lì dentro. Mi verrebbe una gran voglia di fare l'esegesi del brano, ma devo correre a trovare un rimedio per questo maledettissimo orecchio che non mi dà tregua. Intanto dalle mie finestre aperte arrivano gli echi dello spettacolo di un gruppo teatrale comico locale, che stasera, all'interno di una rassegna estiva del genere panem et circenses, si esibisce proprio a cinque minuti da casa mia. Che faccio, mi vesto e vado a dare un'occhiata? Sono le 22: se mi impegno riesco a sentire qualcosa e poi ad arrivare in tempo per la premiazione, che non me la posso perdere: la aspetto dal 6 di giugno.
E ora ecco il ritratto di Mimmo, che non commento se non per dire che concentrata dentro queste poche righe c'è tutta l'inquietudine e la complessità di un uomo erroneamente recepito da molti come tranquillo, semplice e umile. A me non sembra per nulla umile, Mimmo, e umile è una parola che racchiude un concetto che non mi piace neppure. Odio l'arroganza, ma non amo neppure l'umiltà. La tollero nei santi, gli unici a vestirsi di umiltà con nobiltà.
Ho immaginato di entrare in un negozio, una di quelle vecchie botteghe di paese che profumano di tutto perché hanno di tutto. Sapete, uno di quegli empori che ci ricordiamo da bambini, dove sembra che la pubblicità non abbia mai messo piede, dove tutto ciò che si vende è puro, dove si domanda e si esce soddisfatti. Con esattamente ciò che si desiderava. Ecco, in questa bottega ho immaginato di chiedere: "mi dia un uomo". E zac, eccolo: Mimmo Locasciulli. Proprio un uomo. Non è poco. Cosa si può raccontare, cosa si può aggiungere su qualcuno che "è" esattamente come sembra? Locasciulli è scopertamente interprete di se stesso, si racconta facile facile, a cominciare naturalmente dalle sue canzoni, dove c’è tutto ciò che serve per scoprire le sue verità, le sue reticenze, la sua pudicizia. Tenerezze di una personalità ruvida. Per saperne qualcosa di più basta guardare come si muove, sopra un palcoscenico o per la strada... non c’è quasi differenza. Locasciulli ha sempre quel suo modo d’andare "un po’ così", che non si capisce mai se arriva o se parte; sempre quell’espressione dispersa su una faccia piena di segni, e naso, e occhi. Un’espressione che ho visto ben definita soltanto al di sopra di un camice bianco tra le corsie dell’ospedale. Assolutamente perfetta: l’espressione di un uomo che va a letto ogni sera dopo Carosello. E invece non dorme mai. Anzi, adesso che ci penso, mi sembra di non aver mai visto un letto in casa Locasciulli. Fachiro o riservato fino in fondo? Chissà... Comunque deve dormire davvero poco, sennò come farebbe a fare anche il medico? Questa è una delle cose di cui non parlerà mai nelle sue canzoni, ed è un riserbo che dice molto di Locasciulli. Uomo e musicista. Per lui la musica non è mai scivolata nel "mestiere"; è rimasta sempre e soltanto autentica passione.

mercoledì 14 luglio 2010

ANCORA UN GIRO DI GIOSTRA


Da qualche settimana ascolto un disco, e lo ascolto con grande interesse ed entusiasmo. Mi coinvolge molto, mi fa provare sensazioni belle e struggenti, mi fa chiudere gli occhi e sognare, ma mi dà anche una grande sferzata di travolgente allegria. Mi fa venire una sfrenata voglia di ballare e al contempo di illanguidirmi in pensieri romantici. Mi scatena un gran desiderio di salirci pure io, su quella giostra, una giostra antica, tutta colorata, di quelle che trovi ancora in molte città, o in qualche mercatino dell’antiquariato, sotto forma di carillon. Certo, il fatto che su quella giostra ci volesse salire anche Mimmo Locasciulli, ha influito non poco a farmi provare questa gran smania, che alla fine, mi ci ha condotto e non mi fa quasi più scendere, da quella giostra.

Antefatto… Io che esistesse un gruppo chiamato I Ratti della Sabina, lo ignoravo fino a qualche anno fa, quando seppi che dovevano essere ospiti a una manifestazione legata a un piccolo aspetto della mia vita che mi ha tenuto compagnia per un anno, poco più, poco meno, e sul quale qui è opportuno sorvolare. Mi incuriosì il nome, naturalmente cercai qualche informazione, mi piacque il logo, ma tutto finì lì. Non andai alla serata cui I Ratti erano ospiti. Non ci pensai più, finchè…finchè ci fu la solita molla, che si chiama Mimmo, il mio tramite con tanti altri mondi che nell’era pre-mimmiana mai mi sarei sognata di aprire, o solo di sfiorare. Se andiamo sul suo sito, alla pagina “collaborazioni”, dopo quelle più note cui ho dedicato spazio in diverse altre occasioni, notiamo che ce ne sono alcune altre “minori”. (La definizione è mia, nel sito non si parla di minori, semplicemente di "altre collaborazioni".) Una di queste è stata quella che ha visto Mimmo artista ospite nell’album A passo lento, uscito nel 2006, di questo gruppo, I Ratti della Sabina, appunto, composto di otto artisti che condividono con Mimmo, mi pare, il convincimento di voler fare musica per passione, fuori da certo tipo di logiche commerciali, e che continuano ciascuno a svolgere, accanto alla musica, il proprio mestiere o la propria professione. Inserisco subito il link del sito dei Ratti. http://www.rattidellasabina.it/ Io qui non intendo recensire in modo degno del termine, perchè non è il mio mestiere, ne’ fornire troppe informazioni, ma dò la chiave d’accesso, se qualcuno avesse voglia, essendo a digiuno, di farsi un’idea.
L’album è bellissimo. Mimmo canta (bene, con una voce accattivante e un entusiasmo contagioso) nel brano La Giostra, con Roberto Billi, che dei Ratti è l’artefice, e a sentirgli dire che su quella giostra ci vuole salire anche lui, io, non ho resistito, e ho pensato non solo di scrivere un pezzo, di quelli estemporanei, non meditati, ma anche di espormi alle critiche di chiunque si affacci qui, e di pubblicare una mia foto, recente, di una di quella giostre magiche che ci lanciano subito in un mondo che non c’è più o forse non c’è stato mai, una specie di Paese dei Balocchi, gioia di tutti i bambini grandi e piccoli. Ho voluto far stare nell’inquadratura sia la cassa, che la giostra, ma di quest’ultima ho dovuto sacrificare un pezzo, perché non ci stava. Alla cassa mi sono avvicinata e ho comprato un biglietto illimitato, così Mimmo ci può salire tutte le volte che vuole, se gli piace, su quella giostra. Nel brano La giostra, Mimmo suona anche il piano, e sempre in veste di pianista lo apprezziamo anche in un’altra canzone dell’album, Non fa paura la notte, una delle mie preferite, di grande suggestione, dove ho avuto modo di conoscere e ammirare una voce femminile che fa vibrare corde profonde. La voce appartiene a Raffaella Misiti: scopro che fa parte di un gruppo che si chiama Acustimantico, di cui io non so davvero niente, ma approfondirò, prometto, (più che altro a me stessa) lo farò. Mimmo è come un grande fiume pieno di affluenti, o come una strada principale da cui si dipartono tante strade e stradine laterali; molti affluenti li ho navigati, malsicura, su una piccola imbarcazione, altri su un battello più solido, così come pure molte stradette e sentieri laterali ho cercato di percorrerli, ma certo non tutto ho potuto, o sono stata in grado, di approfondire. Certo è che molti sono i concetti di cui prima ero totalmente all’oscuro, con i quali ora ho almeno un minimo di confidenza, per non parlare di una certa terminologia tecnica, della quale, per forza di cose, mi son dovuta impratichire.

La canzone Non fa paura la notte, per il testo, (alcuni versi per rendere l'idea)

Ovunque sei, ovunque andrai, porta con te dei ritagli di luce

So che ne sarai capace, so che già ne sei capace.

Qualunque strada percorrerai, tieni con te dei pezzetti di cielo,

So che lo farai davvero e li userai quelle volte

Che vorrai provare a volare più in alto del vento

Là dove solo il sogno riesce ad arrivare.

ma anche per la musica, mi sembra particolarmente locasciulliana.
Insomma, che bella avventura è stata incontrare questi Ratti: ho trovato da loro tutto ciò che mi piace, atmosfere struggenti e musiche trascinanti, testi poetici e filastrocche, riferimenti a Gianni Rodari, tutto un mondo retrò e surreale, personaggi da vecchio libro per bambini illustrato, vecchi giocattoli di latta, ironia e allegria, e poi Mimmo, ci ho trovato, che su quella giostra, un po’ fuori dalle norme di sicurezza, mi ha legato stretta e non mi fa scendere più. Ogni tanto mi slaccio e scendo, ma solo per andare davanti allo specchio e cantare Il re dei topi. Faccio anche un sacco di smorfie, allo specchio. Sto bene attenta a tenere chiuse le finestre, quando accade: fuori ho una reputazione di seria signora di mezza età, con gli occhiali, il tubino, e il filo di perle, da difendere, ma dentro casa, quella reale e quella virtuale, lontano da occhi indiscreti, è tutta un’altra storia…

venerdì 9 luglio 2010

MIMMO DENTRO UN FILM


Il titolo del post è volutamente ingannevole: no, non credo che si sia realizzato il desiderio tardo-adolescenziale di Mimmo di fare l’attore: il film cui faccio riferimento in realtà è un libro, che s’intitola appunto Il film delle emozioni. L’autore è Raffaele Calabretta, che è già apparso su queste pagine tempo fa, quando si è accennato alle Doparie. Raffaele è il papà delle Doparie, ma prima di tutto è un ricercatore del CNR, nonché docente, e mi pare uno che, al di là del suo lavoro, si guarda intorno, si interroga, cerca di trovare risposte, su aspetti personali, privati, e su aspetti legati alla incidenza del singolo nella collettività, alla partecipazione. Ha scritto, ormai da qualche anno, nel 2006, questo libro, una commistione di generi, tra il romanzo, il diario, il testo scientifico, che racconta, in una sorta di flashback, la storia di Gabriele, uno molto insoddisfatto, molto metodico (si segna tutte le e-mail inviate, tutti i libri letti e i film visti, le persone incontrate… gli stati d’animo provati e le reazioni ad essi: l’analisi profonda delle emozioni, appunto) che pare, almeno per molti aspetti che mi sono noti, un alter ego di Raffaele: entrambi hanno un nome da arcangelo, entrambi sono ricercatori, entrambi vanno a fare ricerca a Yale, entrambi provengono da un paesino della Calabria, entrambi di sicuro apprezzano Mimmo Locasciulli. E in questo modo siamo entrati nel cuore della questione, perché Raffaele, lo inserisce nel suo libro, Mimmo, anzi di più: lo rende destinatario, insieme ad altri personaggi noti, artisti e intellettuali che il protagonista stima, di e-mail di invito a far sentire, loro che possono, la loro voce per manifestare dissenso. Ma non finisce qui, che sarebbe poco e non giustificherebbe un post (anche se ogni spunto è buono). Mimmo è il cantautore preferito di Gabriele e della sua fidanzata, con cui ha deciso di chiudere. Una sera in cui è molto angosciato per la scelta amorosa di cui è pentito, va a sentire un concerto di Mimmo. Effetto terapeutico, va da sé: Mimmo cura; non solo, regala a Gabriele un CD. (Che ovviamente tira fuori dalla tasca delle sorprese.) Dopo il concerto Gabriele si ascolta assorto Stella di vetro, soffermandosi in particolare su due versi, Quel che perdi lo perdi per sempre/ quel che cerchi non può mai finire, rivive i momenti trascorsi con la donna che ha lasciato, e tutto gli appare più chiaro. Tralascio di inoltrarmi nelle tematiche scientifiche enunciate nel libro, come tralascio anche di spiegare il perché del titolo: se qualcuno volesse saperne di più, si legga Il film delle emozioni, Gaffi, 2006, 12 euro. Volendo si può scaricare gratuitamente, ma gli autori in genere sono più contenti se i loro libri si acquistano.

Mimmo questo libro lo ha letto, e il risultato della lettura è contenuto nel seguente giudizio: Mi ha colpito soprattutto per la forma insolita con cui viene proposta la storia e tutte le sue implicazioni. A volte non servono troppe parole, e Mimmo in alcuni casi non ne spreca tante. Mi risulta però che M. sia intervenuto alla presentazione del libro, con altre persone, e immagino che in quell’occasione abbia usato un numero maggiore di parole. Per certo so che a seguire ha regalato ai convenuti un breve intervento musicale. Gli avrà cantato Stella di vetro, a Raffaele/Gabriele? Non lo so, ma qualsiasi cosa abbia cantato, immagino che l’autore del libro sia stato felice, come anche delle parole, poche o tante, spese durante la conversazione. Io di come i due si siano conosciuti non sono al corrente, non so se la conoscenza fosse precedente alla scrittura del Film… o se sia una conseguenza. Certo Mimmo, per quanto signore molto educato, non mi pare uno che accetti di andare a presentare un libro di chicchessia per mera formalità, se non è interessato, almeno un po’, alla questione. Di Raffaele avrà una certa stima, e ha come sappiamo apprezzato anche la sua creatura, Le doparie.

E così finisce la storia di Mimmo dentro un film che invece è un libro.
Mi hanno raccontato che Mimmo viene nominato in un film, certo non un capolavoro, un filmetto della fine degli anni ottanta su una rockstar italiana celebre. Io non l’ho visto, ma il mio informatore mi ha riferito che in una scena del film ci sono un ragazzo e una ragazza che ascoltano della musica in macchina, e a un certo punto lei chiede: Hai anche dell’altra musica? - Si - risponde lui - Ho una cassetta di Mimmo Locasciulli. Pare che la fanciulla non abbia apprezzato e abbia lanciato la cassetta. Scema, anzi scema doppia.
Bene o male purchè se ne parli, magari quello che tale non sembra è un amichevole omaggio. Non ho idea.

Una cosa però la so con certezza e anche se è un po’ personale, non ho timore di esternarla: se rinasco… se rinasco voglio (attenzione, voglio, non vorrei) essere nell’ordine: Mimmo, così ho la possibilità di vivere tre o quattro vite in una; Carmen, perché Mimmo è un suo devoto ammiratore: sarei la donna più felice e fortunata del mondo, oltre che una splendida cantante piena di personalità e talento; Frankie, perché M. dice sempre che è molto intelligente e questa secondo me è una delle cose più gratificanti che un essere umano possa sentirsi dire. Infine, last, but not least, Raffaele, perché M. gli ha presentato il libro, ha adottato le Doparie e, se non a lui a Gabriele, ha regalato un disco. Utopie: lo so già che se rinasco, rinasco Folgorata, ormai son imprigionata nel personaggio; una povera Folgorata con una sola vita, che canta sufficientemente male, con un’intelligenza tutta da verificare, senza nessun libro da presentare, e con un discutibile senso dell’umorismo.

Che ci volete fare, ognuno ha il karma che si merita!

martedì 6 luglio 2010

BUON COMPLEANNO, MIMMO!



Mi sono posta il problema, se fosse opportuno o meno, da parte di una fan autrice di “blog monotematico” come sono io, fare gli auguri al Dottore, che tra poco più di un'ora compirà gli anni, proprio attraverso il blog. Non ho nessuna esperienza diretta di cosa prescriva il galateo del fan in casi simili, e quindi devo affidarmi semplicemente a ciò che sento: “Perché no” - mi sono detta. “Son felice di farlo, e non mi pare di arrecare danno alcuno.” Come si comportano le fans che si rispettino, in casi del genere? Mandano peluches ai loro beniamini, foto e lettere con baci impressi? Altri regali reali, che magari il divo preferito non vedrà neppure? So che succedono davvero queste cose, in certi casi, ma forse, anzi me lo auguro proprio, non a un signore serio come Mimmo, e mi auguro non gli siano mai accadute, neanche in passato, perché non mi pare il genere di tributo adatto a lui. (A dire il vero neanche il blog mi sembra troppo adatto, anche se persevero nell’errore: l’unica forma di tributo che vedo del tutto congeniale al suo modo di essere, è il seguito affettuoso e costante di un pubblico maturo e sensibile, interessato alla sua musica, che ascolta i suoi lavori e lo applaude ai concerti.) Magari mi sbaglio, magari è contento di ricevere orsetti Trudi, magari ne ha una ricca collezione in una stanza, a casa: il “tempietto” dei peluches delle ammiratrici, corredati di letterine piene di bacetti. Io gli auguri glieli faccio molto volentieri, come li farei a una persona cara, perché se non, per evidenti motivi, proprio a lui persona, all’idea di lui sono molto affezionata. Quest’idea, che ho tanto nutrito, merita certo auguri e doni, seppur virtuali.

Andando indietro nel tempo, penso proprio che la fata madrina che assiste alla nascita di molti bambini, non di tutti purtroppo, abbia messo un impegno particolare nel fare il suo mestiere, in quel giorno d’estate, quel 7 di luglio del 1949: la sua borsa di trina, una borsa di fata, era colma di stelle, e di mille altri doni, e lei ne ha sparso a piacimento sul capo di quel piccino. Il bimbo, crescendo, ha saputo far fruttare i talenti della fata madrina, e li ha uniti alle sue non poche doti naturali, a una grande determinazione e volontà, e i risultati sono quelli che conosciamo. A sua volta ha distribuito stelle a piene mani, e proprio per questa sua generosità, non ne è mai rimasto a corto: sembrano non finire mai, le stelle di Mimmo.

Io vorrei, per lo spazio del mio scritto, assumere le sembianze di una fata madrina e, dalla mia borsa di trina, tirar fuori dei piccoli doni per Mimmo: per prima cosa gli vorrei regalare un frammento di ossidiana, il vetro vulcanico che abbonda in alcune zone della mia isola, e che i miei lontanissimi antenati usavano per costruire utensili, lame, punte di freccia. Era molto preziosa, l’ossidiana: una merce di scambio di notevole valore. Il frammento che gli regalo io è piccolo e si può tenere in tasca, nella tasca di Mary Poppins, come portafortuna. Molti artisti ricorrono a rituali scaramantici, possiedono oggetti portafortuna; Mimmo io lo vedo molto razionale e poco incline a questo genere di cose, però mi piacerebbe che lo tenesse con sè, il mio frammento di oro nero, e gli desse una carezzina prima dei suoi concerti: se ne gioverebbe la voce, e potrebbe essere più intenso il feeling con il pubblico.

Gli vorrei regalare un po’ di vento, perché so che gli piace tanto, ne mette spesso un po’ nelle sue canzoni, e non solo. Qui ce n’è davvero in abbondanza: ho l’imbarazzo della scelta, ma siccome devo scegliere, perché Eolo me lo ha imposto, gli mando un bel maestrale, non troppo forte, di quelli che rinfrescano, ma senza infastidire troppo. Gli raccomando di usare un bel paio di occhiali scuri per proteggere gli occhi, perché per quanto leggero, il nostro maestrale un po’ di polvere la solleva, e non voglio che a causa del mio dono gli occhi debbano soffrire.
Qui ce n’è sempre tanto, di vento, è vero, ma anche se ne avessi un solo refolo, glielo donerei lo stesso, un vento profumato di mare e di macchia mediterranea.
In un cesto dispongo con cura dei rametti di cisto, lentischio, mirto, elicriso e rametti di erica e corbezzolo e ginepro. Il mio corriere sarà proprio il vento, incaricato anche di portare un altro cesto, dove, su un telo di fine lino bianco, sono posati dei dolci bellissimi che sembrano rose, o stelle: sono di una pasta sottilissima, ripieni di nocciole tritate cotte nel miele o nella sapa. Sono i dolci più belli, a mio avviso, tra i tanti bellissimi dolci sardi. Si chiamano caschettas e se ne contendono il marchio di proprietà due ridenti e piccoli paesi montani della Barbagia. Nascono dalla maestria delle sapienti mani femminili di quelle zone, donne dalle quali io mi vanto di aver preso alcuni aspetti di tempra montanara, e la buona memoria, ma non l’abilità nel confezionare le caschettas, che sono invece bravissima a mangiare. (Sono da mangiare, anche se sembra di profanarle, da quanto sono belle.) Con le caschettas potrei abbinarci del moscato di Tempio, o della malvasia di Bosa, o ancora una vernaccia buonissima della valle del Tirso, o un cannonau dolce di Oliena, ma preferisco che sia Mimmo a scegliere con quale vino accompagnare i dolci della sposa, da ottimo intenditore quale è.
Gli vorrei donare anche delle launeddas, perché la musica tradizionale gli interessa. Me lo vedo che le suona di notte, sotto le stelle, quando va nella sua casa di campagna ed esce a respirare il profumo di terra e di pioggia.

Non ho concluso; infilo una mano nella borsa fatata e trovo ancora qualcosa: un foglio su cui ho trascritto dei versi. Io come ho già scritto in un’altra occasione, ho composto una poesia per lui, un bel po’ di tempo fa, dal titolo molto originale: L’uomo con il cappello, ma ho troppo pudore (anche se non traspare) e troppo senso critico (non la giudico particolarmente ben riuscita) per imporgliela, come dono di compleanno, o come dono e basta. Rimarrà per sempre nei miei archivi segreti, la poesia.
Ne ho scelto invece due di Alda Merini. Dalla prima ho tratto solo i primi tre versi, tralasciando il resto: so che non si dovrebbe mutilare una poesia, non è molto rispettoso, ma il senso era quello di cercare versi che con Mimmo potessero avere una qualche attinenza; il resto della poesia, certamente bellissima, non ne ha. La seconda la trascrivo integralmente. Mimmo come sappiamo è un grande appassionato di poesia, e, contrariamente a quanto gli accade, di solito, con la narrativa, segue con attenzione anche la poesia contemporanea, e non solo quella del passato. Mi pare più prudente trascriverle, le poesie, e non affidarle al vento, come gli altri doni, perché il vento, talvolta, può divertirsi a fare piccoli dispetti, e disperderle tra le valli, e tra i monti, e non farle giungere mai a destinazione, le poesie che ho scelto per Mimmo. Così sono sicura che arriveranno, se il festeggiato avrà voglia di leggere e di accettare i doni.
Tanti auguri, Mimmo Locasciulli, che la vita continui a sorriderti e a sorprenderti, che ti renda, come ami dire tu, ebbro di gioia, e ti riservi ancora molti incontri stimolanti, mani da stringere e sguardi da incorniciare, libri di poesia dentro ai quali perderti, e ti doni una sempre rinnovata ispirazione. Sai, noi tuoi affezionati, stretti stretti nella nicchia, che nelle notti piovose bussiamo per poter entrare nella tua riserva, saremmo felici se tu pensassi a un nuovo viaggio interiore, così, senza fretta, senza tempi: lo sappiamo che tu non vuoi avere tempi. Piano piano, l’importante è che accada: continueremo a seguirti. Io, che sono donna di pochissime certezze, una almeno ce l’ho: non ti perderò più di vista, finchè avrai voce e voglia di cantare.

La cosa più superba è la notte

La cosa più superba è la notte
Quando cadono gli ultimi spaventi
E l’anima si getta all’avventura.

Alda Merini, Superba è la notte, Torino, Einaudi, 2000

I poeti lavorano di notte
I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
Alda Merini, Destinati a morire, Poggibonsi, Lalli, 1980

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